RECENSIONI
Ezio Sinigaglia
Il pantarèi
Terrarossa Edizioni, Pag. 318 Euro 15,50
Come definirlo? In tanti modi. Si può dire, ad esempio, che abbiamo in mano una deliziosa raccolta di esercizi di stile. Con una grande differenza rispetto a Queneau: mentre questi ripete continuamente lo stesso episodio, Sinigaglia fa procedere il personaggio in una storia. Ma che personaggio, che stili, e che storia? Per arrivarci dobbiamo dire che questo libro è una scatola cinese, che contiene tante altre scatole. Fra l’altro una raccolta di saggi letterari che mettono a fuoco alcune delle più notevoli figure del Novecento. Combinando alcuni espedienti ingegnosi, e di certo divertendocisi molto, Sinigaglia ha costruito un congegno che ammicca alla complicità del lettore. Il protagonista, Daniele Stern, è un modesto scrittore squattrinato a cui una casa editrice affida (inaspettato colpo di fortuna!) la stesura di alcune pagine di enciclopedia dedicate alla letteratura contemporanea. Ed ecco la prima sorpresa: non solo qui si racconta il lavoro di scrittura del protagonista, ma si riproducono esattamente i suoi testi man mano che egli li elabora. Così il romanzo si riempie di pagine in corsivo non meno appassionanti delle vicende personali di Stern. Ci aspetta poi una sorpresa ancora più straordinaria: man mano che l’autore descrive i diversi stili letterari, egli applica le variazioni di stile agli episodi della tormentata vita del protagonista. Così si esibisce in spericolati flussi di coscienza, alternati alla scrittura tradizionale, e poi a una meticolosa analisi dei meccanismi mnemonici, a un pedante linguaggio forense, alla narrazione in forma enigmistica, e così via, sciorinando talvolta catene di neologismi con cui frusta il lettore che vigile deve seguirlo in sempre nuove acrobazie. E c’è un altro romanzo, infine: il romanzo scritto dal protagonista, Stern, dopo tanto studio sui romanzi altrui. Come dicevo, una scatola cinese, un tangram, un gioco caleidoscopico di inesauribili scoperte.
Ma come nasce questo libro? L’origine è lontana, e ce la svela nella prefazione lo stesso Sinigaglia. Si tratta di un’impresa di gioventù, iniziata verso la fine degli anni Settanta, in un momento in cui si sentiva dire da ogni parte che il romanzo era morto. Da qui il progetto:
… scrivere un romanzo per dimostrare che il romanzo non era affatto morto.
La genesi dell’idea, le intuizioni improvvise che hanno determinato le scelte in corso d’opera, lo sviluppo del lavoro durato tre anni, in un percorso costellato di felici scoperte, fanno della prefazione un romanzo nel romanzo (ancora una sorpresa nella scatola!). E il fatto che Il pantarèi venga di nuovo pubblicato oggi lo arricchisce di un certo sapore di antico, simile al fruscio di un disco in vinile (meglio ancora, al ticchettio della macchina da scrivere che all’epoca era l’unica tecnologia consentita in alternativa alla scrittura a mano).
C’è ancora da dire qualcosa del protagonista, perché anche il suo carattere fa parte del gioco mimetico letterario. Stern infatti è il tipo di antieroe tipico del romanzo del Novecento. Un uomo senza qualità, uno Zeno, un Dedalus… Pieno di indecisioni e di contraddizioni, intento ad auto analizzarsi, in continuo dialogo conflittuale con il suo doppio, e con una vita affettiva insoddisfacente e complicata dalla bisessualità. Ancora virtuosismi, dunque, ma la cosa davvero sorprendente è che all’interno di questo frullatore stilistico, enigmistico e finemente intellettuale, il povero Stern è vivo. Egli pensa, sente e patisce come un qualunque essere umano. Voglio dire che al di là del gioco in cui è intrappolato riesce comunque a rendere il lettore partecipe della sua storia.
Dopo aver letto il suo più recente (trent’anni di distanza!) Eclissi, recensito tempo fa sul Paradiso, è interessante scovare in questo primo romanzo quello che nella scrittura di Sinigaglia era destinato a passare e quello che doveva rimanere. Passate le intemperanze giovanili, la sfida, la sperimentazione estrema, il gioco spericolato, ecco che cosa era destinato a superare il crogiolo del tempo: una scrittura dall’eleganza sopraffina, il gusto di giocare con la lingua e con le lingue, e una propensione (questa davvero originale) a mescolare le emozioni umane con l’astronomia. Già, perché se nell’ultimo romanzo si parla di eclissi, nel primo vanno in scena (precocemente, rispetto ai tempi) i buchi neri. Che c’entrano, si dirà, nella storia di Stern i buchi neri? Chi leggerà avrà il piacere di scoprirlo.
di Giovanna Repetto
Ma come nasce questo libro? L’origine è lontana, e ce la svela nella prefazione lo stesso Sinigaglia. Si tratta di un’impresa di gioventù, iniziata verso la fine degli anni Settanta, in un momento in cui si sentiva dire da ogni parte che il romanzo era morto. Da qui il progetto:
… scrivere un romanzo per dimostrare che il romanzo non era affatto morto.
La genesi dell’idea, le intuizioni improvvise che hanno determinato le scelte in corso d’opera, lo sviluppo del lavoro durato tre anni, in un percorso costellato di felici scoperte, fanno della prefazione un romanzo nel romanzo (ancora una sorpresa nella scatola!). E il fatto che Il pantarèi venga di nuovo pubblicato oggi lo arricchisce di un certo sapore di antico, simile al fruscio di un disco in vinile (meglio ancora, al ticchettio della macchina da scrivere che all’epoca era l’unica tecnologia consentita in alternativa alla scrittura a mano).
C’è ancora da dire qualcosa del protagonista, perché anche il suo carattere fa parte del gioco mimetico letterario. Stern infatti è il tipo di antieroe tipico del romanzo del Novecento. Un uomo senza qualità, uno Zeno, un Dedalus… Pieno di indecisioni e di contraddizioni, intento ad auto analizzarsi, in continuo dialogo conflittuale con il suo doppio, e con una vita affettiva insoddisfacente e complicata dalla bisessualità. Ancora virtuosismi, dunque, ma la cosa davvero sorprendente è che all’interno di questo frullatore stilistico, enigmistico e finemente intellettuale, il povero Stern è vivo. Egli pensa, sente e patisce come un qualunque essere umano. Voglio dire che al di là del gioco in cui è intrappolato riesce comunque a rendere il lettore partecipe della sua storia.
Dopo aver letto il suo più recente (trent’anni di distanza!) Eclissi, recensito tempo fa sul Paradiso, è interessante scovare in questo primo romanzo quello che nella scrittura di Sinigaglia era destinato a passare e quello che doveva rimanere. Passate le intemperanze giovanili, la sfida, la sperimentazione estrema, il gioco spericolato, ecco che cosa era destinato a superare il crogiolo del tempo: una scrittura dall’eleganza sopraffina, il gusto di giocare con la lingua e con le lingue, e una propensione (questa davvero originale) a mescolare le emozioni umane con l’astronomia. Già, perché se nell’ultimo romanzo si parla di eclissi, nel primo vanno in scena (precocemente, rispetto ai tempi) i buchi neri. Che c’entrano, si dirà, nella storia di Stern i buchi neri? Chi leggerà avrà il piacere di scoprirlo.
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