RECENSIONI
Iban Zaldua
Avvenire
Gran via, Pag. 175 Euro 14,50
Discutevo giorni fa con un collega a proposito di racconti: sì perché, bontà sua, sempre il collega, ha avuto la fortuna di vedersi pubblicare un libro da un editore romano e disquisiva sulla difficoltà del genere 'corto', almeno in Italia, di avere fortuna o comunque di fare mercato.
E' una vecchia storia che il Paradiso, in più di un'occasione, ha sviscerato (termine questo che andrebbe preso letteralmente, perché il lavoro che facciamo noi orchi spesso è un'analisi spietata e profonda dell'arte del narrare): diciamocela tutta, le antologie o le crestomazie sono sempre più spesso come i dischi che si fanno oggidì, cioè, si salva qualche pezzo ed il resto è sostanza molle e riempitiva, come il silicone che s'insinua tra gli interstizi per non far piovere.
Dunque il problema non è la potenzialità mercantile di un libro di racconti, ma la sua effettiva e 'totale' portata culturale. Insomma, bisogna vedere se allo scrittore 'oltre che er core je regge er passo'.
Solo partendo da questi presupposti che si può valutare con serenità e discernimento un libro come Avvenire.
Zaldua è uno scrittore di origini basche, ha superato la quarantina e come tutti gli 'intellettuali di adesso che non vendono milioni di copie, si arrabatta facendo il giornalista, i corsi di laboratorio di scrittura e in più fa parte del consiglio di redazione di una rivista elettronica. Se si esclude un suo racconto presente nell'antologia Nuovi racconti baschi (sempre per le edizioni Gran via) questo è davvero il suo primo libro pubblicato in Italia.
La particolarità delle sue storie è che pur affrontando tematiche care a certe 'etnie' (in questo caso l'irrisolvibile incognita basca) lo fa con un tocco leggero e apparentemente superficiale. Come quando il protagonista di Sette cose trova la scritta di un'organizzazione indipendentista su un ascensore o quando, parlando di musica, in Viaggio estivo, un automobilista cita un gruppo basco.
Insomma piccole impronte di un mondo che non è più al centro dell'attenzione, ma che lascia segni imprescindibili.
Poi Zaldua fa altro: nel senso che, approfittando dello strumento corto, affronta stili e forme diverse. Si passa dalla separazione tra un uomo e una donna a causa di un divano (Il divano), ad un'avventura fantastica in cui un uomo torna indietro nel tempo per uccidere la donna che l'ha tradito (Non c'è rimedio), ad una vera e propria storia di respiro ottocentesco con sullo sfondo una stirpe di tessili (La fabbrica, oppure a, e, i , o, u) ad una 'traccia' fantascientifica (La soluzione al problema della casa) in cui si intrecciano anche problematiche relazionali.
Insomma un poutpourri non sempre perfettamente riuscito (domanda che mi pongo spesso: ma l'eterogeneità è un pregio o un difetto nella costruzione delle trame?), ma che a volte lascia il segno.
Perché questo avviene nelle antologie: e torniamo al discorso iniziale o al classico cane che si morde la coda.
Col bau finale.
di Alfredo Ronci
E' una vecchia storia che il Paradiso, in più di un'occasione, ha sviscerato (termine questo che andrebbe preso letteralmente, perché il lavoro che facciamo noi orchi spesso è un'analisi spietata e profonda dell'arte del narrare): diciamocela tutta, le antologie o le crestomazie sono sempre più spesso come i dischi che si fanno oggidì, cioè, si salva qualche pezzo ed il resto è sostanza molle e riempitiva, come il silicone che s'insinua tra gli interstizi per non far piovere.
Dunque il problema non è la potenzialità mercantile di un libro di racconti, ma la sua effettiva e 'totale' portata culturale. Insomma, bisogna vedere se allo scrittore 'oltre che er core je regge er passo'.
Solo partendo da questi presupposti che si può valutare con serenità e discernimento un libro come Avvenire.
Zaldua è uno scrittore di origini basche, ha superato la quarantina e come tutti gli 'intellettuali di adesso che non vendono milioni di copie, si arrabatta facendo il giornalista, i corsi di laboratorio di scrittura e in più fa parte del consiglio di redazione di una rivista elettronica. Se si esclude un suo racconto presente nell'antologia Nuovi racconti baschi (sempre per le edizioni Gran via) questo è davvero il suo primo libro pubblicato in Italia.
La particolarità delle sue storie è che pur affrontando tematiche care a certe 'etnie' (in questo caso l'irrisolvibile incognita basca) lo fa con un tocco leggero e apparentemente superficiale. Come quando il protagonista di Sette cose trova la scritta di un'organizzazione indipendentista su un ascensore o quando, parlando di musica, in Viaggio estivo, un automobilista cita un gruppo basco.
Insomma piccole impronte di un mondo che non è più al centro dell'attenzione, ma che lascia segni imprescindibili.
Poi Zaldua fa altro: nel senso che, approfittando dello strumento corto, affronta stili e forme diverse. Si passa dalla separazione tra un uomo e una donna a causa di un divano (Il divano), ad un'avventura fantastica in cui un uomo torna indietro nel tempo per uccidere la donna che l'ha tradito (Non c'è rimedio), ad una vera e propria storia di respiro ottocentesco con sullo sfondo una stirpe di tessili (La fabbrica, oppure a, e, i , o, u) ad una 'traccia' fantascientifica (La soluzione al problema della casa) in cui si intrecciano anche problematiche relazionali.
Insomma un poutpourri non sempre perfettamente riuscito (domanda che mi pongo spesso: ma l'eterogeneità è un pregio o un difetto nella costruzione delle trame?), ma che a volte lascia il segno.
Perché questo avviene nelle antologie: e torniamo al discorso iniziale o al classico cane che si morde la coda.
Col bau finale.
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