RECENSIONI
Hilma Wolitzer
La figlia del dottore
Nutrimenti, Pag. 292 Euro 16,00
Ambaraba cicci coccò tre civette sul comò, che facevano l'amore con la figlia del dottore ...Viene presentato come un libro su scrittura e terapia. In realtà ha la stessa valenza psicopatologica di un film di Hitchcock (che era sì un genio del cinema, ma non una cima quando si trattava di fare i conti con l'analisi): dietro questa storia di rapporti umani e di incomprensioni c'è una risultanza freudiana da far accapponare la pelle. Il povero psicanalista e neurologo austriaco ridotto a giochetto insulso per insulsi meccanismi di pseudo-verità.
Alice Brill è una mancata scrittrice che decide di fare l'editor (questa è davvero l'unica verità del libro: in genere gli editor sono degli scrittori mancati e pretendono pure di fare i maestri); ha un cattivo rapporto col marito, uno complicato col padre, vecchio primario ora ricoverato presso un Istituto di igiene mentale, uno con un giovane scrittore che si è affidato alle sue cure e in più ha un curioso peso e dolore al petto (mia madre, che non è scrittrice, ha solo la quinta elementare, definisce una sensazione del genere 'apostema' che viene dal greco... e se siete curiosi andate a spulciare il vocabolario, sempre meglio che leggere un libro irrisolto di 292 pagine).
Alice Brill (apocope di brilliant, cioè brillante? La vedo francamente dura), come dice la seconda di copertina è pure indagatrice dell'anima (tiè!) ed investiga su quel 'peso'. Per scoprire che è ossessionata da una visione di lei bambina di fronte alla stanza del padre. Solo durante una nevicata (in inglese 'snow') riesce ad intuire che alla base del suo tormento c'è l'immagine del suo genitore che se la fa con la segretaria Snow (capito la finezza??). E realizza anche che alla base del suo disturbo infantile di sbattere in continuazione gli occhi c'era l'incredulità di aver assistito ad una scena che mai avrebbe voluto vedere.
Giuro, i termini della questione stanno così: c'è un ulteriore aggiustamento della vicenda, sempre di carattere freudiano che per decenza tralascio, ma la sostanza è pressoché questa.
Non solo, la Wolitzer si permette pure l'affronto. A pag. 85 dice: Ero sconvolta,non solo per ciò che era successo a mia madre durante la mia assenza, ma perché non ero stata presente mentre era successo, e per ciò che avevo fatto nel frattempo: avevo scritto i miei raccontini appassionati e non avevo fatto altro che parlare di narrativa, questa inadeguata imitazione della vita.
Dunque ricapitoliamo: la protagonista è una scrittrice che siccome sa di non avere grandi qualità, fa l'editor, ma non disdegna ogni tanto di buttar giù qualche storiellina, ma è talmente insicura di sé e dei suoi mezzi che si fa prendere anche dai sensi di colpa quando trascura i suoi affetti per la scrittura.
Consiglierei alla Wolitzer un buon psicanalista, ma non di origine freudiana, ma non perché siano i peggiori, ma perchè per la loro attitudine a voler spiegare tutto attraverso i segni c'è il rischio poi che dalla penna della scrittrice americana (tra l'altro insegnante di scrittura creativa che ha avuto tra i suoi allievi Michael Cunningham... e finalmente si spiega la noia che spesso ci attanaglia a leggere l'autore de Le ore e la sua recentissima debacle narrativa!) ci arrivi un altro tomo indigesto come questo.
Mi chiedo: ma perché in questa bella collana della Nutrimenti dedicata alla letteratura americana ci sono cose belle e degnissime e altre veramente insulse? Consiglierei una cernita preventiva. O forse aveva ragione Jane Austen quando su Orgoglio e pregiudizio, a proposito delle donne diceva: sono meschini tutti i trucchi che le signore, talvolta, si abbassano a usare, per sedurre. Tutto ciò che ha una qualche affinità con l'astuzia, è deprecabile.
Infatti la Wolitzer ha provato a fare la furbetta (la cosa brutta sarebbe che invece fosse proprio così!).
di Alfredo Ronci
Alice Brill è una mancata scrittrice che decide di fare l'editor (questa è davvero l'unica verità del libro: in genere gli editor sono degli scrittori mancati e pretendono pure di fare i maestri); ha un cattivo rapporto col marito, uno complicato col padre, vecchio primario ora ricoverato presso un Istituto di igiene mentale, uno con un giovane scrittore che si è affidato alle sue cure e in più ha un curioso peso e dolore al petto (mia madre, che non è scrittrice, ha solo la quinta elementare, definisce una sensazione del genere 'apostema' che viene dal greco... e se siete curiosi andate a spulciare il vocabolario, sempre meglio che leggere un libro irrisolto di 292 pagine).
Alice Brill (apocope di brilliant, cioè brillante? La vedo francamente dura), come dice la seconda di copertina è pure indagatrice dell'anima (tiè!) ed investiga su quel 'peso'. Per scoprire che è ossessionata da una visione di lei bambina di fronte alla stanza del padre. Solo durante una nevicata (in inglese 'snow') riesce ad intuire che alla base del suo tormento c'è l'immagine del suo genitore che se la fa con la segretaria Snow (capito la finezza??). E realizza anche che alla base del suo disturbo infantile di sbattere in continuazione gli occhi c'era l'incredulità di aver assistito ad una scena che mai avrebbe voluto vedere.
Giuro, i termini della questione stanno così: c'è un ulteriore aggiustamento della vicenda, sempre di carattere freudiano che per decenza tralascio, ma la sostanza è pressoché questa.
Non solo, la Wolitzer si permette pure l'affronto. A pag. 85 dice: Ero sconvolta,non solo per ciò che era successo a mia madre durante la mia assenza, ma perché non ero stata presente mentre era successo, e per ciò che avevo fatto nel frattempo: avevo scritto i miei raccontini appassionati e non avevo fatto altro che parlare di narrativa, questa inadeguata imitazione della vita.
Dunque ricapitoliamo: la protagonista è una scrittrice che siccome sa di non avere grandi qualità, fa l'editor, ma non disdegna ogni tanto di buttar giù qualche storiellina, ma è talmente insicura di sé e dei suoi mezzi che si fa prendere anche dai sensi di colpa quando trascura i suoi affetti per la scrittura.
Consiglierei alla Wolitzer un buon psicanalista, ma non di origine freudiana, ma non perché siano i peggiori, ma perchè per la loro attitudine a voler spiegare tutto attraverso i segni c'è il rischio poi che dalla penna della scrittrice americana (tra l'altro insegnante di scrittura creativa che ha avuto tra i suoi allievi Michael Cunningham... e finalmente si spiega la noia che spesso ci attanaglia a leggere l'autore de Le ore e la sua recentissima debacle narrativa!) ci arrivi un altro tomo indigesto come questo.
Mi chiedo: ma perché in questa bella collana della Nutrimenti dedicata alla letteratura americana ci sono cose belle e degnissime e altre veramente insulse? Consiglierei una cernita preventiva. O forse aveva ragione Jane Austen quando su Orgoglio e pregiudizio, a proposito delle donne diceva: sono meschini tutti i trucchi che le signore, talvolta, si abbassano a usare, per sedurre. Tutto ciò che ha una qualche affinità con l'astuzia, è deprecabile.
Infatti la Wolitzer ha provato a fare la furbetta (la cosa brutta sarebbe che invece fosse proprio così!).
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