CLASSICI
Alfredo Ronci
Scomode “confessioni”: “La vigna di uve nere” di Livia De Stefani.
Quando ho scritto La vigna di uve nere – confesserà l’autrice – pensavo che avrei avuto successo solo in Sicilia, invece i siciliani disprezzarono il libro, lo considerarono un’offesa, tanto che per molto tempo non sono potuta tornare nell’isola. Sono dovuti passare venticinque anni perché l’atteggiamento mutasse.
In realtà non furono solo i siciliani a disprezzare la sua opera, ma anche diversi critici di allora e anche parte dell’opinione pubblica. I motivi, potremmo dire col senno di poi, furono legati ad una visione maschilista della letteratura. Come osava, lei donna e meridionale, parlare di incesti e di suicidi procurati? Perché La vigna di uve nere proprio di questo parlava.
Non fu facile nemmeno procurarsi un editore perché il romanzo prendesse vita. Ci pensò proprio Arnoldo Mondadori, che non accettò il primo testo inviatogli dalla De Stefani, e cioè quello che poi sarebbe comunque stato pubblicato, Gli affatturati, a consigliarle di esprimersi in modo diverso.
La vigna di uve nere uscì nel 1953, e nonostante alcuni giudizi non proprio positivi, ottenne un buon successo e vinse anche il premio Salento. Vediamo la vicenda.
Casimiro Badalamenti è un uomo duro e spietato che vive a Cinisi, dove coltiva la sua vigna di uve nere e porta avanti i suoi loschi affari (la De Stefani accenna ad alcun episodi di stampo mafioso, quando ancora in letteratura non erano usciti, tanto per citarne alcuni, né Banditi a Partinico di Danilo Dolci, né Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia). Lì si sposa con Concetta, donna di malaffare che gli è molto devota e con cui darà alla luce quattro figli. I figli, per volere di Casimiro, vengono allontanati dalla famiglia e saranno cresciuti da altri contadini, all’oscuro gli uni degli altri.
Anni dopo Casimiro decide di riportarli in famiglia, ma tra i due giovani, Nicola e Rosaria, nascerà un’insana passione che li porterà dritti all’incesto (incesto che si capirà molto meglio successivamente, quando cominciano le prime nausee della ragazzina). Per sfuggire ai giudizi malsani dei concittadini, Casimiro allontanerà dalla famiglia Nicola e costringerà la piccola Rosaria al suicidio.
Come è ovvio, siamo di fronte ad una vera e propria tragedia (la tragedia – ha dichiarato una volta l’autrice, è un meccanismo. Vi si muovono pochi personaggi legati da opposti sentimenti che s’intrecciano tra loro e che portano tutti a uno stesso precipizio.), che la De Stefani racconta con uno stile asciutto e potente. Che sia neorealista, come qualcuno ha voluto sottolineare, secondo noi non è un problema. Si erge un linguaggio quasi sfrenato, dove la figura del maschio dominante è addirittura al di sopra di cose umane e non umane. Casimiro, in qualche frangente, sembra accostarsi di sicuro a Dio. La visione neorealista è in qualche modo superata, non dalla condizione dei siciliani e della Sicilia che invece ne rispecchia la tradizione, ma da un malessere che supera le stesse istanze comportamentali.
Nonostante appunto certe critiche un po’ di parte (ebbe invece un’accoglienza positiva da parte di Montale che parlò di un vivo interesse per la coraggiosa disinvoltura del tono, o addirittura di Carlo Levi che, nell’introduzione alla nuova pubblicazione Rizzoli del 1975, parlò del romanzo come di un mondo di magia: e non perché avvengono fatti prodigiosi, vi si usino formule o incanti o esorcismi o maledizioni, ci si rivolga a influssi o stregonerie (…) Ma è un modo magico nella sua natura, nel mondo della visione, nel significato delle cose, nel giudizio) il romanzo comunque ebbe la sua fortuna. Se ne volle fare un film con protagonista principale Anna Magnani, e a lei dedicato, ma il progetto non andò in porto. A riprenderlo sarà Sandro Bolchi, che firmerà la regia dello sceneggiato televisivo mandato in onda su Raidue nel 1984. Nel cast, tra gli altri, Mario Adorf e Lea Massari.
Nata a Palermo nel 1913, la De Stefani non si accontentò solo di questo romanzo. Nel 1958 pubblicherà Passione di Rosa e dichiarerà, in una lettera all’editore, che era il più importante dei miei scritti. Ne seguiranno altri, da La stella Assenzio all’ultimo volume pubblicato di prosa, La mafia alle mie spalle (Mondadori), storia feroce e divertente della rotta di collisione tra l’autrice e Cosa nostra, sul campo di battaglia del latifondo di famiglia.
Come a dire un punto d’incontro con certe tematiche che apparentemente comparivano su La vigna di uve nere, ma che comunque costituiranno il modo di essere e soprattutto di stare in una società non più legata a imposizioni “politiche”.
L’edizione da noi considerata è:
Livia De Stefani
La vigna di uve nere
Isbn edizioni
In realtà non furono solo i siciliani a disprezzare la sua opera, ma anche diversi critici di allora e anche parte dell’opinione pubblica. I motivi, potremmo dire col senno di poi, furono legati ad una visione maschilista della letteratura. Come osava, lei donna e meridionale, parlare di incesti e di suicidi procurati? Perché La vigna di uve nere proprio di questo parlava.
Non fu facile nemmeno procurarsi un editore perché il romanzo prendesse vita. Ci pensò proprio Arnoldo Mondadori, che non accettò il primo testo inviatogli dalla De Stefani, e cioè quello che poi sarebbe comunque stato pubblicato, Gli affatturati, a consigliarle di esprimersi in modo diverso.
La vigna di uve nere uscì nel 1953, e nonostante alcuni giudizi non proprio positivi, ottenne un buon successo e vinse anche il premio Salento. Vediamo la vicenda.
Casimiro Badalamenti è un uomo duro e spietato che vive a Cinisi, dove coltiva la sua vigna di uve nere e porta avanti i suoi loschi affari (la De Stefani accenna ad alcun episodi di stampo mafioso, quando ancora in letteratura non erano usciti, tanto per citarne alcuni, né Banditi a Partinico di Danilo Dolci, né Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia). Lì si sposa con Concetta, donna di malaffare che gli è molto devota e con cui darà alla luce quattro figli. I figli, per volere di Casimiro, vengono allontanati dalla famiglia e saranno cresciuti da altri contadini, all’oscuro gli uni degli altri.
Anni dopo Casimiro decide di riportarli in famiglia, ma tra i due giovani, Nicola e Rosaria, nascerà un’insana passione che li porterà dritti all’incesto (incesto che si capirà molto meglio successivamente, quando cominciano le prime nausee della ragazzina). Per sfuggire ai giudizi malsani dei concittadini, Casimiro allontanerà dalla famiglia Nicola e costringerà la piccola Rosaria al suicidio.
Come è ovvio, siamo di fronte ad una vera e propria tragedia (la tragedia – ha dichiarato una volta l’autrice, è un meccanismo. Vi si muovono pochi personaggi legati da opposti sentimenti che s’intrecciano tra loro e che portano tutti a uno stesso precipizio.), che la De Stefani racconta con uno stile asciutto e potente. Che sia neorealista, come qualcuno ha voluto sottolineare, secondo noi non è un problema. Si erge un linguaggio quasi sfrenato, dove la figura del maschio dominante è addirittura al di sopra di cose umane e non umane. Casimiro, in qualche frangente, sembra accostarsi di sicuro a Dio. La visione neorealista è in qualche modo superata, non dalla condizione dei siciliani e della Sicilia che invece ne rispecchia la tradizione, ma da un malessere che supera le stesse istanze comportamentali.
Nonostante appunto certe critiche un po’ di parte (ebbe invece un’accoglienza positiva da parte di Montale che parlò di un vivo interesse per la coraggiosa disinvoltura del tono, o addirittura di Carlo Levi che, nell’introduzione alla nuova pubblicazione Rizzoli del 1975, parlò del romanzo come di un mondo di magia: e non perché avvengono fatti prodigiosi, vi si usino formule o incanti o esorcismi o maledizioni, ci si rivolga a influssi o stregonerie (…) Ma è un modo magico nella sua natura, nel mondo della visione, nel significato delle cose, nel giudizio) il romanzo comunque ebbe la sua fortuna. Se ne volle fare un film con protagonista principale Anna Magnani, e a lei dedicato, ma il progetto non andò in porto. A riprenderlo sarà Sandro Bolchi, che firmerà la regia dello sceneggiato televisivo mandato in onda su Raidue nel 1984. Nel cast, tra gli altri, Mario Adorf e Lea Massari.
Nata a Palermo nel 1913, la De Stefani non si accontentò solo di questo romanzo. Nel 1958 pubblicherà Passione di Rosa e dichiarerà, in una lettera all’editore, che era il più importante dei miei scritti. Ne seguiranno altri, da La stella Assenzio all’ultimo volume pubblicato di prosa, La mafia alle mie spalle (Mondadori), storia feroce e divertente della rotta di collisione tra l’autrice e Cosa nostra, sul campo di battaglia del latifondo di famiglia.
Come a dire un punto d’incontro con certe tematiche che apparentemente comparivano su La vigna di uve nere, ma che comunque costituiranno il modo di essere e soprattutto di stare in una società non più legata a imposizioni “politiche”.
L’edizione da noi considerata è:
Livia De Stefani
La vigna di uve nere
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