RECENSIONI
Thor Gotaas
Storia della corsa
Odoya edizioni, Pag. 443 Euro 20,00
Mi sarebbe piaciuto leggere una storia morale della corsa, considerando i tempi. Dove l'atto fosse visto con finalità diverse da quelle di oggi: magari sì legate comunque ad un obiettivo vincente, ma non strettamente assicurato dal mercato.
Gotaas fa del suo meglio (a volte con considerazioni argute e storicamente attendibili) riscrivendo un po' il percorso di quello che insieme al camminare è il gesto forse più naturale dell'essere umano. E lo fa partendo dall'antichità dove la corsa, meglio ancora, i corridori erano utilizzati con scopi esclusivamente di comunicazione accelerata (quello che è il servizio della posta ai nostri giorni, al di là della poca funzionalità della 'priorità' della nostra amministrazione) e che grazie proprio al continuo esercizio erano abituati a percorrere distanze impossibili (ecco il primo mito da sfatare: Filippide. Di lui Gotaas ci dice: Secondo il mito Filippide fu anche colui che portò ad Atene la notizia della vittoria dei Greci a Maratona, dopodiché crollò e morì. La cosa risulta d'altronde alquanto improbabile, dato che Filippide, che era un messaggero professionista di vasta esperienza, non sarebbe mai potuto morire di stanchezza dopo soli 40 km percorsi da Maratona ad Atene, distanza facilmente percorribile rispetto a molte altre missioni portate a termine sia da lui che dai suoi colleghi.
Ci sembra altrettanto ponderato ed arguto l'appunto dell'autore a proposito del rapporto tra cristianesimo e sport, dove il primo vedeva nell'attività fisica un allontanamento graduale e continuo dalla sfera spirituale e quindi da Cristo (della serie: i cristiani e i loro succedanei ne avessero azzeccata mai una!). Curioso poi venir a sapere che fu proprio l'Italia del quattordicesimo secolo a permettere che le donne si affacciassero per la prima volta nell'agonismo grazie alla corsa: Solo' donne rispettabili' potevano partecipare, ma se non ce n'erano allora potevano gareggiare anche le prostitute. Quelle stesse donne che alla fine dell'ottocento costituirono attraverso lo sport ed il correre nello specifico una prima ondata di orgoglio femminile ed un interessante punto di riferimento per il futuro.
Si diceva prima delle argute considerazioni di Gotaas a proposito dell'evoluzione di questo sport. Prendiamo ad esempio l'avvento del cronometro. L'autore coglie, con precisione, il nesso tra la misurazione per rendere più attendibili i risultati e la rivoluzione industriale: La maratona era il simbolo di una nuova epoca inquieta a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, un'età che richiedeva una nuova efficienza della produttività industriale e nella quale l'orologio divenne il potente arbitro della vita lavorativa.
Poi arrivò la pianificazione scientifica della corsa e di tutte le altre attività sportive: Bannister, il primo uomo che scese sotto la storica barriera dei quattro minuti nel miglio, si allenava con una metodicità impressionante o lo stesso Bikila, il leggendario vincitore delle maratone alle Olimpiadi di Roma e Tokio, contrariamente a quanto potessero pensare molti occidentali... non era uno che correva perché era stato catturato sulle montagne e costretto a farlo.
Più recentemente ci fu il doping di Stato, messo a punto dalla DDR che con poco più di quindici milioni di abitanti, divenne ben presto tra le prime tre potenze mondiali in tutti gli sport.
E poi Ben Johnson.
Poi Florence Griffith Joyner.
Poi Marion Jones.
E quel fulmine chiamato Usain Bolt? Mah... chissà.
P.S.
L'introduzione di Leonardo Cohen, breve, centrata e commovente, vale quanto tutto il resto.
di Alfredo Ronci
Gotaas fa del suo meglio (a volte con considerazioni argute e storicamente attendibili) riscrivendo un po' il percorso di quello che insieme al camminare è il gesto forse più naturale dell'essere umano. E lo fa partendo dall'antichità dove la corsa, meglio ancora, i corridori erano utilizzati con scopi esclusivamente di comunicazione accelerata (quello che è il servizio della posta ai nostri giorni, al di là della poca funzionalità della 'priorità' della nostra amministrazione) e che grazie proprio al continuo esercizio erano abituati a percorrere distanze impossibili (ecco il primo mito da sfatare: Filippide. Di lui Gotaas ci dice: Secondo il mito Filippide fu anche colui che portò ad Atene la notizia della vittoria dei Greci a Maratona, dopodiché crollò e morì. La cosa risulta d'altronde alquanto improbabile, dato che Filippide, che era un messaggero professionista di vasta esperienza, non sarebbe mai potuto morire di stanchezza dopo soli 40 km percorsi da Maratona ad Atene, distanza facilmente percorribile rispetto a molte altre missioni portate a termine sia da lui che dai suoi colleghi.
Ci sembra altrettanto ponderato ed arguto l'appunto dell'autore a proposito del rapporto tra cristianesimo e sport, dove il primo vedeva nell'attività fisica un allontanamento graduale e continuo dalla sfera spirituale e quindi da Cristo (della serie: i cristiani e i loro succedanei ne avessero azzeccata mai una!). Curioso poi venir a sapere che fu proprio l'Italia del quattordicesimo secolo a permettere che le donne si affacciassero per la prima volta nell'agonismo grazie alla corsa: Solo' donne rispettabili' potevano partecipare, ma se non ce n'erano allora potevano gareggiare anche le prostitute. Quelle stesse donne che alla fine dell'ottocento costituirono attraverso lo sport ed il correre nello specifico una prima ondata di orgoglio femminile ed un interessante punto di riferimento per il futuro.
Si diceva prima delle argute considerazioni di Gotaas a proposito dell'evoluzione di questo sport. Prendiamo ad esempio l'avvento del cronometro. L'autore coglie, con precisione, il nesso tra la misurazione per rendere più attendibili i risultati e la rivoluzione industriale: La maratona era il simbolo di una nuova epoca inquieta a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, un'età che richiedeva una nuova efficienza della produttività industriale e nella quale l'orologio divenne il potente arbitro della vita lavorativa.
Poi arrivò la pianificazione scientifica della corsa e di tutte le altre attività sportive: Bannister, il primo uomo che scese sotto la storica barriera dei quattro minuti nel miglio, si allenava con una metodicità impressionante o lo stesso Bikila, il leggendario vincitore delle maratone alle Olimpiadi di Roma e Tokio, contrariamente a quanto potessero pensare molti occidentali... non era uno che correva perché era stato catturato sulle montagne e costretto a farlo.
Più recentemente ci fu il doping di Stato, messo a punto dalla DDR che con poco più di quindici milioni di abitanti, divenne ben presto tra le prime tre potenze mondiali in tutti gli sport.
E poi Ben Johnson.
Poi Florence Griffith Joyner.
Poi Marion Jones.
E quel fulmine chiamato Usain Bolt? Mah... chissà.
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