RACCONTI
Mauro Zollo
Vincere non ha prezzo, perdere costa mille lire.
Il primo round non era andato molto bene. L’avversario era partito forte, costringendo Maicol a mettersi sulla difensiva.
‘Rom, questo picchia’.
‘Ho visto Maicol’.
‘Le mani pare che ce l’ha buone entrambe’.
‘Senti, proprio di questo volevo parlarti. Non sono riuscito a entrare nel suo spogliatoio per spaccargli le mani’.
‘Figlio di puttana mi avevi detto che…’.
‘Ma…’.
Il suono della campanella sancì l’inizio del secondo round, interrompendo le parole di Rom.
Altri due minuti di sofferenza, seppur alla fine della ripresa, Maicol si reggesse ancora sui suoi piedi.
Si sedette all’angolo e Rom gli spruzzò acqua gelida in volto che non fece altro che innervosirlo di più.
‘Che cazzo sta succedendo?’.
‘Tutto risolto. È vero che non sono riuscito a spaccargli le falangi, però poi ho parlato col suo agente e tra agenti ci capiamo’.
‘Sto tranquillo. Di’ Rom, di’’.
‘Tranquillo, tutto parlato’.
Al suono della campana, Maicol notò che l’immagine della signorina col cartellone cominciava a farsi meno limpida ai suoi occhi. Subì colpi pesanti e i pochi presenti all’incontro, perlopiù divorziati di mezza età senza occupazione, stavano già abbandonando la palestra. Solo un miracolo salvò Maicol, che alla fine della terza ripresa vedeva il tappeto ancora da una posizione eretta.
Le sue parole all’angolo, apparivano sempre meno chiare.
‘Dimmi la verità Romualdo’.
‘Tranquillo. Stai andando bene, bravo!’.
‘Mi sta massacrando, ma c’hai parlato con ‘sto cazzo d’agente o no?’.
‘Certo che sì. È tutta finzione questa, per non far capire che l’incontro è truccato. Tra un po’ va al tappeto, ma tu cerca di colpirlo’.
Dieci secondi dopo l’inizio della quarta ripresa, Maicol cadde a terra perdendo i sensi. Gli furono fatali un sinistro nella pancia dello stomaco e un gancio sull’occhio destro. Quando lo trascinarono fuori dal ring, la sua lingua penzolante lasciò una scia di umido lungo tutto il perimetro del quadrato.
Rom e l’agente del suo avversario non si erano capiti molto bene. Il mondo è pieno di fraintendimenti.
Nel profondo della notte si svegliò in ospedale. Sobbalzò dal letto, convinto ancora di essere in tempo nei dieci secondi per rialzarsi e continuare il match.
Uscì dalla sua camera, urlando in cerca di un’infermiera mentre attraversava il corridoio del reparto. Non aveva un bell’aspetto, e la flebo che gli avevano attaccato prima, ora penzolava lungo il suo fianco sinistro.
Un’infermiera gli corse incontro.
‘E lei dove crede di andare?’.
‘Datemi dove firmare, voglio andare a casa’.
‘È sicuro?’ domandò l’infermiera col viso dominato dall’impero delle rughe.
‘C’ho cose importanti da fare, io’.
‘Nel caso le succedesse qualcosa…’.
‘Sì lo so, la responsabilità ricadrebbe tutta su di me. Diciamo che non è la prima volta che faccio a botte’.
L’infermiera restò pensierosa, poi Maicol lanciò un urlo.
‘Allora, mi fate firmare o no?’.
Miss Rughe si rivolse verso due suoi colleghi che giocavano a scopa in uno stanzino.
‘Questo con la faccia gonfia vuole andar via. Che faccio?’.
Uno sollevò solo le spalle, facendo attenzione a non distrarsi per non perdere il conto delle carte, mentre l’altro riuscì a proferir qualche illuminante parola.
‘E vabbè, fallo firmare’.
Non appena entrò nel suo monolocale, una ventina di minuti più tardi, iniziò a parlare da solo a denti che seppur stretti, parevano grandi finestre che si affacciano su maestose piazze, confronto agli occhi che si ritrovava in quel momento.
‘Maledetto Rom, questa volta me la paghi. Ti pensi d’essere furbo te, ma deve nascere ancora chi frega Maicol. Che poi da dove cazzo l’avrà mai tirato fuori ‘sto nome mio padre. Maicol? Boh. A ‘sto punto chiamami Mike, poi io mi sarei fatto chiamare Iron e vedi come lo vincevo un incontro. Gli avversari sarebbero caduti al tappeto non appena sentito il nome. E invece no, Maicol m’ha chiamato. Maledetto babbo’.
Cacciò una bottiglia di scotch scadente dal frigo, e si ci attaccò al collo. Ne versò anche un po’ su di un fazzoletto per passarselo sull’occhio, ma quando l’alcol entrò a contatto con la pelle, urlò una squallida bestemmia che per poco Padre Pio non venne giù dal quadro sulla parete difronte a lui, per tirargli due sberle per la sua idiozia permanente.
Maicol aveva da sempre la fissa per la boxe. Sapeva di non essere un campione, per questo il suo obiettivo era di vincere un incontro e poi ritirarsi. Non importava come, bastava vincere. E non importava nemmeno dove, perfino una vittoria in una rissa da bar gli sarebbe andata bene. Ma l’unica volta che ci provò a fare a botte in un bar, rimediò sei punti di sutura sulla testa, poiché andò a pescare l’unico che beveva birra artigianale da dieci euro a bottiglia, che avevano un culo di vetro spesso quanto a quello di sua cugina obesa, il giorno dopo che aveva partorito due gemelli.
A due metri dal tavolo c’era il sacco da box con cui di solito si allenava. Su di esso era stampata l’immagine della donna che più di tutte aveva amato. Forse era l’unica con cui era mai stato. Provava una grande soddisfazione nel riempirla di pugni dopo che lei lo aveva lasciato dopo soli tre giorni, non appena l’effetto delle droghe psichedeliche svanì del tutto.
Si sentiva un grande uomo dopo aver schiaffeggiato un’ immagine, nonostante dopo ogni allenamento dovesse passare tre ore con buste di ghiaccio sulle mani.
Tre quarti dei lavori di ampliamento della gelateria difronte, li stava finanziando lui con le sue scorte di acqua congelata.
Lo scotch stava finendo di stenderlo, ma con un filo di voce continuava a pronunciare parole.
‘La prossima volta è quella buona lo so. Stavolta però pretenderò garanzie. Con chi crede di aver a che fare Rom, mica son scemo io’.
Crollò sul tavolino. Tre ore dopo si sarebbe dovuto alzare per andare a lavorare nel magazzino di un negozio di roba elettronica. Con lo spazio visivo che il gonfiore degli occhi gli avrebbe concesso, sarebbe stata una dura giornata a lavoro.
Avrebbe fatto recapitare una 25 pollici a un ordine da 52, e una 52 a un ordine da 25, anche se questo probabilmente gli capitava di farlo anche in condizioni apparentemente normali.
Era stata una lunga notte per Maicol. Il peggio era alle spalle.
Dal sorger del sole, si sarebbe messo sotto di nuovo a lavorare sodo, per cercare di risparmiare al più presto mille euro da dare a Rom per sperare di vincere un incontro.
La prossima magari sarebbe stata quella buona.
‘Rom, questo picchia’.
‘Ho visto Maicol’.
‘Le mani pare che ce l’ha buone entrambe’.
‘Senti, proprio di questo volevo parlarti. Non sono riuscito a entrare nel suo spogliatoio per spaccargli le mani’.
‘Figlio di puttana mi avevi detto che…’.
‘Ma…’.
Il suono della campanella sancì l’inizio del secondo round, interrompendo le parole di Rom.
Altri due minuti di sofferenza, seppur alla fine della ripresa, Maicol si reggesse ancora sui suoi piedi.
Si sedette all’angolo e Rom gli spruzzò acqua gelida in volto che non fece altro che innervosirlo di più.
‘Che cazzo sta succedendo?’.
‘Tutto risolto. È vero che non sono riuscito a spaccargli le falangi, però poi ho parlato col suo agente e tra agenti ci capiamo’.
‘Sto tranquillo. Di’ Rom, di’’.
‘Tranquillo, tutto parlato’.
Al suono della campana, Maicol notò che l’immagine della signorina col cartellone cominciava a farsi meno limpida ai suoi occhi. Subì colpi pesanti e i pochi presenti all’incontro, perlopiù divorziati di mezza età senza occupazione, stavano già abbandonando la palestra. Solo un miracolo salvò Maicol, che alla fine della terza ripresa vedeva il tappeto ancora da una posizione eretta.
Le sue parole all’angolo, apparivano sempre meno chiare.
‘Dimmi la verità Romualdo’.
‘Tranquillo. Stai andando bene, bravo!’.
‘Mi sta massacrando, ma c’hai parlato con ‘sto cazzo d’agente o no?’.
‘Certo che sì. È tutta finzione questa, per non far capire che l’incontro è truccato. Tra un po’ va al tappeto, ma tu cerca di colpirlo’.
Dieci secondi dopo l’inizio della quarta ripresa, Maicol cadde a terra perdendo i sensi. Gli furono fatali un sinistro nella pancia dello stomaco e un gancio sull’occhio destro. Quando lo trascinarono fuori dal ring, la sua lingua penzolante lasciò una scia di umido lungo tutto il perimetro del quadrato.
Rom e l’agente del suo avversario non si erano capiti molto bene. Il mondo è pieno di fraintendimenti.
Nel profondo della notte si svegliò in ospedale. Sobbalzò dal letto, convinto ancora di essere in tempo nei dieci secondi per rialzarsi e continuare il match.
Uscì dalla sua camera, urlando in cerca di un’infermiera mentre attraversava il corridoio del reparto. Non aveva un bell’aspetto, e la flebo che gli avevano attaccato prima, ora penzolava lungo il suo fianco sinistro.
Un’infermiera gli corse incontro.
‘E lei dove crede di andare?’.
‘Datemi dove firmare, voglio andare a casa’.
‘È sicuro?’ domandò l’infermiera col viso dominato dall’impero delle rughe.
‘C’ho cose importanti da fare, io’.
‘Nel caso le succedesse qualcosa…’.
‘Sì lo so, la responsabilità ricadrebbe tutta su di me. Diciamo che non è la prima volta che faccio a botte’.
L’infermiera restò pensierosa, poi Maicol lanciò un urlo.
‘Allora, mi fate firmare o no?’.
Miss Rughe si rivolse verso due suoi colleghi che giocavano a scopa in uno stanzino.
‘Questo con la faccia gonfia vuole andar via. Che faccio?’.
Uno sollevò solo le spalle, facendo attenzione a non distrarsi per non perdere il conto delle carte, mentre l’altro riuscì a proferir qualche illuminante parola.
‘E vabbè, fallo firmare’.
Non appena entrò nel suo monolocale, una ventina di minuti più tardi, iniziò a parlare da solo a denti che seppur stretti, parevano grandi finestre che si affacciano su maestose piazze, confronto agli occhi che si ritrovava in quel momento.
‘Maledetto Rom, questa volta me la paghi. Ti pensi d’essere furbo te, ma deve nascere ancora chi frega Maicol. Che poi da dove cazzo l’avrà mai tirato fuori ‘sto nome mio padre. Maicol? Boh. A ‘sto punto chiamami Mike, poi io mi sarei fatto chiamare Iron e vedi come lo vincevo un incontro. Gli avversari sarebbero caduti al tappeto non appena sentito il nome. E invece no, Maicol m’ha chiamato. Maledetto babbo’.
Cacciò una bottiglia di scotch scadente dal frigo, e si ci attaccò al collo. Ne versò anche un po’ su di un fazzoletto per passarselo sull’occhio, ma quando l’alcol entrò a contatto con la pelle, urlò una squallida bestemmia che per poco Padre Pio non venne giù dal quadro sulla parete difronte a lui, per tirargli due sberle per la sua idiozia permanente.
Maicol aveva da sempre la fissa per la boxe. Sapeva di non essere un campione, per questo il suo obiettivo era di vincere un incontro e poi ritirarsi. Non importava come, bastava vincere. E non importava nemmeno dove, perfino una vittoria in una rissa da bar gli sarebbe andata bene. Ma l’unica volta che ci provò a fare a botte in un bar, rimediò sei punti di sutura sulla testa, poiché andò a pescare l’unico che beveva birra artigianale da dieci euro a bottiglia, che avevano un culo di vetro spesso quanto a quello di sua cugina obesa, il giorno dopo che aveva partorito due gemelli.
A due metri dal tavolo c’era il sacco da box con cui di solito si allenava. Su di esso era stampata l’immagine della donna che più di tutte aveva amato. Forse era l’unica con cui era mai stato. Provava una grande soddisfazione nel riempirla di pugni dopo che lei lo aveva lasciato dopo soli tre giorni, non appena l’effetto delle droghe psichedeliche svanì del tutto.
Si sentiva un grande uomo dopo aver schiaffeggiato un’ immagine, nonostante dopo ogni allenamento dovesse passare tre ore con buste di ghiaccio sulle mani.
Tre quarti dei lavori di ampliamento della gelateria difronte, li stava finanziando lui con le sue scorte di acqua congelata.
Lo scotch stava finendo di stenderlo, ma con un filo di voce continuava a pronunciare parole.
‘La prossima volta è quella buona lo so. Stavolta però pretenderò garanzie. Con chi crede di aver a che fare Rom, mica son scemo io’.
Crollò sul tavolino. Tre ore dopo si sarebbe dovuto alzare per andare a lavorare nel magazzino di un negozio di roba elettronica. Con lo spazio visivo che il gonfiore degli occhi gli avrebbe concesso, sarebbe stata una dura giornata a lavoro.
Avrebbe fatto recapitare una 25 pollici a un ordine da 52, e una 52 a un ordine da 25, anche se questo probabilmente gli capitava di farlo anche in condizioni apparentemente normali.
Era stata una lunga notte per Maicol. Il peggio era alle spalle.
Dal sorger del sole, si sarebbe messo sotto di nuovo a lavorare sodo, per cercare di risparmiare al più presto mille euro da dare a Rom per sperare di vincere un incontro.
La prossima magari sarebbe stata quella buona.
CERCA
NEWS
-
12.11.2024
La nave di Teseo.
Settembre nero. -
12.11.2024
Tommaso Pincio
Panorama. -
4.11.2024
Alessandro Barbero
Edizioni Effedi. La voglia dei cazzi.
RECENSIONI
-
Han Kang
La vegetariana
-
Han Kang
Atti umani
-
Giuliano Pavone
Per diventare Eduardo
ATTUALITA'
-
Ettore Maggi
La grammatica della Geopolitica.
-
marco minicangeli
CAOS COSMICO
-
La redazione
Trofeo Rill. I risultati.
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La gita scolastica
-
Marco Minicangeli
Juniper - Un bicchiere di gin
-
Lorenzo Lombardi
IL NERD, IL CINEFILO E IL MEGADIRETTORE GENERALE
RACCONTI
-
Fiorella Malchiodi Albedi
Ad essere infelici sono buoni tutti.
-
Roberto Saporito
30 Ottobre
-
Marco Beretti
Tonino l'ubriacone