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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Luca Martini

Ada love Eva

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Ada si sveglia di soprassalto.

Il clima di festa le fa tremare le palpebre.

È il ventiquattro dicembre di un anno qualunque e quel Bianco Natale cantato da un vago coro di babbi sguaiati, vestiti da supermercato, l'ha trascinata fuori da un sonno malsano.

Ada accende la luce, guarda fuori dalla finestra e vede i vestiti rossi allontanarsi nel buio del viale. Poi allunga la mano e prende il telefono.

Osserva la cornetta, come per chiederle di parlare.

Nessuno risponde ma dentro di lei qualcosa ancora sussurra.

Compone un numero.

Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.

In sottofondo si avverte la voce stonata di una bambina, forse la figlia.

Ada tentenna.

Segnale acustico.

Riaggancia e se ne resta qualche secondo a pensare a quelle sette cifre, ancora impresse nella sua mente dopo tanto tempo.

Per ogni numero scorrono cento ricordi, qualcosa che fa male, farfalle che devastano la pancia, che fanno singhiozzare, mentre tutti quelli che conosci ti sfottono.

Ada è inquieta.

Non c'è spazio per la tristezza.

Fuori tutti si stanno divertendo.

Tutti tranne lei.

La testa le gira, è intontita dal Tavor trangugiato due ore prima, nella disperata ricerca di una calma artificiale.

La calma, però, non è mai stata così lontana.

Il pensiero la ossessiona ancora.

Non è servito nemmeno un matrimonio per dimenticare, figuriamoci ora un divorzio.

Qualcosa la tormenta.

Forse il tempo, che sa passare così in fretta per poi ripiombare tra le ossa come un fulmine in una sera afosa d'estate.

Si sente soffocare. I muri sembrano avanzare verso di lei, opprimendola, e d'improvviso la casa diventa troppo piccola.

Qualcosa la schiaccia.

Ha bisogno d'aria, un senso di nausea la pervade.

Si infila in fretta i pantaloni, poi la maglietta ed il maglione ruvido di lana grigia. Poi si mette gli stivali, che ha lasciato aperti sul tappeto, come sfioriti.

Due margherite appassite.

Ed esce, cercando in strada quello che non ha trovato in camera.

Fa freddo, le gocce ghiacciate che piovono dal cielo cadono diritte sul suo viso e si vanno a conficcare tra il collo e la nuca, nell'unico pertugio lasciato libero dalla sciarpa di ciniglia.

Nell'aria c'è una certezza dimenticata di inverno ed un sospetto di noia che il Natale non esita ad elargire.

Attorno scorrono bande di ragazzi allegri, mentre dalle case arrivano suoni di stoviglie e di dolci appena sfornati.

Come vorrebbe sotterrare insieme a lei quell'inutile gioia.

Una macchina di ragazzi con la radio altissima sgomma dalla strada laterale e si ferma di colpo a pochi centimetri dalle sue caviglie.

Ada ha un sussulto ed indietreggia di scatto. Il cuore le schizza in gola.

"Ehi bella, che ci fai tutta sola?", dice il passeggero, ubriaco.

"Dai, vieni a divertirti con noi", dice quello di dietro aprendo lo sportello e rischiando di cadere.

"Andatevene via", risponde Ada senza riguardo.

"Ehi, ma che ti prende? Dai, stronza, sali in macchina".

"Vattene a fare in culo, tu", grida Ada, guardandoli con una rabbia scaduta.

"Ma che ti prende? Stiamo solo scherzando. È Natale, dai".

"Lasciala perdere, andiamo via. Questa qui è fuori di testa, non hai visto che faccia?", dice quello che guida.

"Hai ragione. Buon Natale, stronza", e la macchina se ne va via a tutta velocità, alla ricerca di uno scampolo di felicità, in una notte nella quale tutti sembrano aver sottoscritto un contratto col buonumore.

Ada si gira e continua a camminare per le vie della città, verso una meta senza contorni.

La sua firma, su quel contratto, non c'è.

La testa inizia a pulsare e Ada si ferma, cercando a fatica di raggiungere una panchina nascosta tra gli alberi di un giardino condominale. Sopra di lei un enorme abete addobbato con festoni dozzinali, e sul tronco una scritta: Ada love Eva.

Non le serve la luce. Ada la trova a tastoni, la sente seguendo le lettere con le dita, ricordando ogni millimetro di quella scritta solcata tanti anni addietro, prima sul cuore e poi sul legno.

Buon Natale, Ada.

Si siede e si accuccia sulla panchina, tenendosi il capo con le mani, ed osserva le finestre accese del palazzo di fronte. Appese al davanzale ci sono due paia di calze color carne, proprio come quelle che usava Eva.

Ada rivede le sue cosce, così sinuose e tornite, profumate di vaniglia.

La sua prima volta.

Un mistero nascosto tra le gambe, una dominazione senza padroni, un brivido percorso a piedi, tra la pelle screpolata e la saliva dolce, come nettare meritato.

E poi gli incontri, il batticuore, la normalità di un piacere divenuto abitudine.

Forse se le meritava quella felicità, anche se non la cercava.

Con lei ha vissuto il periodo più bello della sua vita.

Ada sorride, sa che è tutto finito, che non è bastato sposare Alberto per colmare quell'assenza. E sa anche che è stato un errore farlo. Ma è fiera almeno di non avere messo al mondo bambini. Sarebbe stato ingiusto far pagare a loro le insoddisfazioni di una vita espiate attraverso scelte sbagliate.

La notte si fa sempre più buia, il freddo sempre più pungente e adesso anche le voci e le musiche sembrano soffocare.

Il Natale va morendo mentre nasce il rimorso.

Qualcuno sta di certo facendo l'amore, nel caldo rassicurante e umido del piumone imbottito. Qualche moglie starà fingendo un orgasmo, qualche altra non lo farà nemmeno ma alla stupida domanda del marito sei stata bene? risponderà con un sì, senza nemmeno cercare di essere credibile. E lui, il marito, si convincerà, perché gli fa comodo così, perché è meglio credere in qualcosa che ritrovarsi senza nulla cui aggrapparsi.

Ada decide di tornare a casa, con la testa zeppa di pensieri.

Passa vicino al campo sportivo.

Gira il capo ed osserva l'ultimo piano.

Le finestre sono tutte spente, la festa deve essere già finita.

Sopra una panchina due ragazzi si annusano il viso.

Ada si ferma e li osserva.

Desidera essere entrambi quei ragazzi.

Il sesso non c'entra, contano solo le labbra.

Il ricordo si trasfigura e pare illuminare a giorno la notte che si fa piccola, come le mani gelate.

Non è stato soltanto sesso.

E lo scopri soltanto ora?

No, tu lo sapevi benissimo, soltanto speravi che non fosse così. Farlo non è mai stato fondamentale per te, Ada. Almeno fino a quando non l'hai conosciuta. E poi? E poi cadi in un buco che diventa sempre più grande e il tuo cervello sempre più piccolo, fin quasi a sparire. E quando capisci dove stai andando è troppo tardi, lei non ti vuole più, perché per lei è diverso.

Per lei era soltanto sesso.

Ada non crede nemmeno a questo ma qualcosa dovrà pur raccontarsi.

Sottovoce, come una preghiera, sussurra una frase biascicata, perduta in un pensiero senza forma, che le ruba ogni forza residua e la condanna alla vita.

Ancora uno sguardo e Ada ricomincia a camminare, senza peso né luce.

Percorre la strada che dal maneggio porta fino al centro commerciale, passando per le stradine dei cortili, spogli e senza luna, fino ad imboccare la sua via.

Rientra in casa infreddolita.

Sono quasi le tre. La testa le duole, i piedi le fanno male e ha soltanto voglia di sparire.

Si leva gli stivali, rimettendoli sul tappeto nella medesima posizione, sempre come fiori appassiti. Appoggia il cappotto sul divano ed entra in camera. Si butta nel letto, sfinita, e cerca di spegnersi.

È Natale già da un pezzo.

Chissà Alberto dove sarà stanotte.

Forse in montagna, come l'anno scorso, ma senza di lei stavolta.

Ada capisce che Alberto non le manca, che non le è mai mancato, o che forse le è mancato soltanto quando era con lei.

Di Eva, invece, ha sempre avvertito la necessità, soprattutto quando non la conosceva.

Spegne la luce e si concentra.

Non riesce a dissolversi.

Nel buio qualcosa la disturba.

È la segreteria.

Lampeggia.

Ada guarda il led luminoso ed impiega l'ultima energia rimasta per spingere il pulsante.

Una telefonata, ore dueequaratantre.

Segnale acustico.

Silenzio.

Tu tu tu.

Vorrebbe sapere, forse sperare, di certo morire.

Molti hanno la vocazione al martirio e alla fine rimangono con un pugno di mosche.

È quello che pensa le stia accadendo.

Un pugno di mosche.

Nient'altro.

Niente santi e niente martiri.

Solo insetti.

Sono le treezerozero.

Pensa che se impugna il telefono è fatta. Potrà finalmente parlare e dire tutto.

Dire cosa?

Tutto lo squallore di un'esistenza è nelle sue mani, ora, e non sa come controllarlo.

È tutto senza forma, senza peso, senza convinzione.

Ada pensa di volare, di andarsene via, di non chiamare più nessuno.

Carezza la sua solitudine e piange.

Poi accende la luce.

Serve un altro tranquillante, uno grande come la vita, che duri almeno un anno intero.

Un bel regalo, per il prossimo Natale, forse.





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