RACCONTI
Isabelle Dubois
Alla finestra
All'inizio dell'estate, quando i sipari delle finestre si riaprivano sulla commedia umana, lei rivedeva il suo vecchietto. Non sapeva niente di lui, se non che era il suo dirimpettaio, al di là della strada. Si meravigliava, ogni volta, che si fosse mantenuto in vita nel lungo inverno. Si vedeva bene che era un uomo arrivato al capolinea della vita. Eppure stava fermo lì, in bilico, anno dopo anno. La stanza che lei vedeva era una sala da pranzo. Mobili e tappezzeria erano di quelli che non si usano più. Non era antiquariato, solo roba vecchia, e vi doveva ristagnare un sentore di stantio. Così le pareva.
La sera lei assisteva alla cena del vecchio. Lentezza e solitudine dettavano il ritmo. Quando le capitava di gettare lo sguardo al di là della finestra vedeva la tavola già in parte apparecchiata: uno scenario vuoto in cui il vecchietto faceva la sua comparsa arrancando per portare qualcosa. Una bottiglia, un piatto. Avanzava come se ogni passo dovesse essere l'ultimo, così incerto che lei tratteneva il respiro finché non lo vedeva seduto. Il pasto era un triste rito. Le dita adunche spezzavano il pane con fatica, il cucchiaio compiva piano il suo cammino in cerca della bocca. L'uomo masticava lentamente, chiuso in un suo mondo ottuso che ormai doveva aver escluso il resto del mondo. Eppure lei gli era affezionata. Lo sorvegliava. Immaginava che un giorno o l'altro il suo vecchio cuore avrebbe ceduto. Poteva darsi che succedesse proprio lì, all'ora di cena. Lei sarebbe stata allora l'unica testimone. Si immaginava nell'atto di dare l'allarme. Una telefonata, poi l'urlo della sirena. Non sarebbe certo vissuto in eterno, il vecchio, ma lei poteva impedire che morisse solo.
Finita la cena lui abbandonava la tavola, si avvicinava alla finestra e abbassava la serranda, ma non fino in fondo. Dallo spazio che rimaneva spuntava una mano, e fra le dita la brace di una sigaretta. Lei sorrideva immaginando l'uomo nascosto, condividendo il suo piccolo segreto.
Non si era mai data pensiero del fatto che lui potesse coglierla nell'atto di spiarlo. Lo sguardo del vecchio era uno sguardo spento, come se fosse rivolto tutto all'interno, nel mondo dei ricordi. Oppure troppo lontano, già al di là della vita.
Una sera l'eternità si interruppe. In casa del vecchietto c'era qualcuno. Lo vedeva di spalle, in piedi davanti al vecchio che stava a tavola. Sembrava un uomo giovane, atletico, coi capelli scuri e ricciuti. Lei ebbe quasi una fitta di gelosia. Doveva essere un parente, forse un nipote. Perché dunque non sedeva a tavola con lui? Allora non era un parente ma un mercenario, un ragazzo assunto dal vecchio per accudirlo. Ne aveva bisogno, pensò.
La sera dopo era di nuovo solo. Lo vide cenare con la consueta lentezza, poi indugiare a tavola. Sulla facciata del palazzo la sua finestra era l'unica illuminata e aperta. Sembrava un piccolo palcoscenico, da cui l'uomo presentava al pubblico la sua triste commedia.
Lei aveva spento la luce, per meglio guardare fuori. Era una serata calda. Sentì suonare il campanello. Non s'aspettava una visita a quell'ora. Anche lei era sola. Pensò alla vicina di casa. Una vecchietta che a volte le chiedeva aiuto. Si staccò a malincuore dalla finestra.
Dallo spioncino non si vedeva nulla. Mise la catenella alla porta e aprì uno spiraglio. Il pianerottolo era deserto, in parte oscurato dalla gabbia massiccia dell'ascensore. Aprì del tutto. Forse lei non aveva sentito subito il campanello. Forse la vecchia Ninetta si era già rintanata in casa. Fece qualche passo fino alla porta della vicina. Per le scale regnava il silenzio. Alzò la mano per suonare, ma esitò. Poteva essersi sbagliata. Forse la vecchia dormiva.
Le sembrò di sentire qualcosa dietro di sé, come uno spostamento d'aria. Si voltò. Non vide nulla. La porta di casa era rimasta aperta. Si affrettò a rientrare.
Appena fu dentro la porta si richiuse. Nel buio dell'ingresso non era sola. Si sentì afferrare, piegare le braccia dietro la schiena. Doveva essere un uomo robusto. Non era ricca, ma era ancora giovane. Succedono brutte cose d'estate.
Ansimò, cercando il fiato per gridare, ma una mano le tappava la bocca. L'uomo era dietro di lei e la teneva stretta. Si sentì spingere in avanti, camminò per non cadere. L'uomo la stava trascinando nel soggiorno, dove poco prima era stata alla finestra. Con un colpo di gomito lui accese la luce. Com'è stupido, pensò in un lampo, com'è stupido, così si farà vedere. Dalla finestra spalancata si vedeva il palazzo di fronte, con le finestre chiuse e spente. Solo quella del vecchietto era ancora illuminata. Il vecchio stava in piedi, guardando fuori con un lieve sorriso ebete. Se potesse vedermi, pensò lei, se potesse capire. Forse sarà lui a salvare me.
Si agitava, cercando di raggiungere la finestra, ma non ce n'era bisogno. L'uomo la spingeva. Con un gesto deciso le aveva strappato il vestito sul petto, scoprendole il seno. Ora lei aveva la bocca libera, ma non riusciva a gridare. Sentiva una lama puntata contro la gola.
- Sì, fatti vedere bene, - bisbigliò l'uomo spingendola più vicina alla finestra. - Fatti vedere, troia. E' lui che mi paga.
Affacciato alla finestra di fronte, dondolando lievemente il capo come in un cenno di assenso, il vecchietto continuava a sorridere.
La sera lei assisteva alla cena del vecchio. Lentezza e solitudine dettavano il ritmo. Quando le capitava di gettare lo sguardo al di là della finestra vedeva la tavola già in parte apparecchiata: uno scenario vuoto in cui il vecchietto faceva la sua comparsa arrancando per portare qualcosa. Una bottiglia, un piatto. Avanzava come se ogni passo dovesse essere l'ultimo, così incerto che lei tratteneva il respiro finché non lo vedeva seduto. Il pasto era un triste rito. Le dita adunche spezzavano il pane con fatica, il cucchiaio compiva piano il suo cammino in cerca della bocca. L'uomo masticava lentamente, chiuso in un suo mondo ottuso che ormai doveva aver escluso il resto del mondo. Eppure lei gli era affezionata. Lo sorvegliava. Immaginava che un giorno o l'altro il suo vecchio cuore avrebbe ceduto. Poteva darsi che succedesse proprio lì, all'ora di cena. Lei sarebbe stata allora l'unica testimone. Si immaginava nell'atto di dare l'allarme. Una telefonata, poi l'urlo della sirena. Non sarebbe certo vissuto in eterno, il vecchio, ma lei poteva impedire che morisse solo.
Finita la cena lui abbandonava la tavola, si avvicinava alla finestra e abbassava la serranda, ma non fino in fondo. Dallo spazio che rimaneva spuntava una mano, e fra le dita la brace di una sigaretta. Lei sorrideva immaginando l'uomo nascosto, condividendo il suo piccolo segreto.
Non si era mai data pensiero del fatto che lui potesse coglierla nell'atto di spiarlo. Lo sguardo del vecchio era uno sguardo spento, come se fosse rivolto tutto all'interno, nel mondo dei ricordi. Oppure troppo lontano, già al di là della vita.
Una sera l'eternità si interruppe. In casa del vecchietto c'era qualcuno. Lo vedeva di spalle, in piedi davanti al vecchio che stava a tavola. Sembrava un uomo giovane, atletico, coi capelli scuri e ricciuti. Lei ebbe quasi una fitta di gelosia. Doveva essere un parente, forse un nipote. Perché dunque non sedeva a tavola con lui? Allora non era un parente ma un mercenario, un ragazzo assunto dal vecchio per accudirlo. Ne aveva bisogno, pensò.
La sera dopo era di nuovo solo. Lo vide cenare con la consueta lentezza, poi indugiare a tavola. Sulla facciata del palazzo la sua finestra era l'unica illuminata e aperta. Sembrava un piccolo palcoscenico, da cui l'uomo presentava al pubblico la sua triste commedia.
Lei aveva spento la luce, per meglio guardare fuori. Era una serata calda. Sentì suonare il campanello. Non s'aspettava una visita a quell'ora. Anche lei era sola. Pensò alla vicina di casa. Una vecchietta che a volte le chiedeva aiuto. Si staccò a malincuore dalla finestra.
Dallo spioncino non si vedeva nulla. Mise la catenella alla porta e aprì uno spiraglio. Il pianerottolo era deserto, in parte oscurato dalla gabbia massiccia dell'ascensore. Aprì del tutto. Forse lei non aveva sentito subito il campanello. Forse la vecchia Ninetta si era già rintanata in casa. Fece qualche passo fino alla porta della vicina. Per le scale regnava il silenzio. Alzò la mano per suonare, ma esitò. Poteva essersi sbagliata. Forse la vecchia dormiva.
Le sembrò di sentire qualcosa dietro di sé, come uno spostamento d'aria. Si voltò. Non vide nulla. La porta di casa era rimasta aperta. Si affrettò a rientrare.
Appena fu dentro la porta si richiuse. Nel buio dell'ingresso non era sola. Si sentì afferrare, piegare le braccia dietro la schiena. Doveva essere un uomo robusto. Non era ricca, ma era ancora giovane. Succedono brutte cose d'estate.
Ansimò, cercando il fiato per gridare, ma una mano le tappava la bocca. L'uomo era dietro di lei e la teneva stretta. Si sentì spingere in avanti, camminò per non cadere. L'uomo la stava trascinando nel soggiorno, dove poco prima era stata alla finestra. Con un colpo di gomito lui accese la luce. Com'è stupido, pensò in un lampo, com'è stupido, così si farà vedere. Dalla finestra spalancata si vedeva il palazzo di fronte, con le finestre chiuse e spente. Solo quella del vecchietto era ancora illuminata. Il vecchio stava in piedi, guardando fuori con un lieve sorriso ebete. Se potesse vedermi, pensò lei, se potesse capire. Forse sarà lui a salvare me.
Si agitava, cercando di raggiungere la finestra, ma non ce n'era bisogno. L'uomo la spingeva. Con un gesto deciso le aveva strappato il vestito sul petto, scoprendole il seno. Ora lei aveva la bocca libera, ma non riusciva a gridare. Sentiva una lama puntata contro la gola.
- Sì, fatti vedere bene, - bisbigliò l'uomo spingendola più vicina alla finestra. - Fatti vedere, troia. E' lui che mi paga.
Affacciato alla finestra di fronte, dondolando lievemente il capo come in un cenno di assenso, il vecchietto continuava a sorridere.
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