RACCONTI
Mauro Petrelli
Gli angeli volano bassi
La distanza tra l'uomo e la terra è notevole. La distanza tra l'uomo e Dio è abissale. L'essere organismi pensanti ci dà il diritto di vivere e decidere della vita degli altri e di non soccombere davanti alle quotidiane prove della vita. Il tempo delle persone è limitato, il tempo è sempre limitato, non ce né mai a sufficienza, fai tardi al lavoro, fai tardi dal dottore, fai tardi nella vita.
Ogni momento potrebbe essere quello giusto per ogni cosa, ma potrebbe anche essere quello sbagliato, potresti aver deciso di andare a prendere un caffè in un bar, proprio quando entrava la donna della tua vita e magari avevi il coraggio di presentarti a lei e tre giorni dopo ci saresti uscito, dopo altri due giorni ci avresti fatto sesso e dopo due anni eravate marito e moglie e lei avrebbe riempito la tua vita d'amore e gioie. Avresti potuto. Ma se non l'avessi fatto? Se avessi deciso di prendere meno caffè? Magari lei incontrava un altro uomo, all'inizio innamorato, ma poi violento e infedele e la sua vita sarebbe stata un inferno. Il caffè non fa sempre male.
Le probabilità di riuscire nella vita sono le stesse di non riuscire e l'essere banale ha la stessa probabilità di essere giusto e io mi sento giusto, quindi banale, quindi solo. Sono solo da sempre. A scuola non avevo amichetti con cui giocare, dicevano tutti che puzzavo, che la mia casa era una fogna e questo perché mio padre era un netturbino. Mio padre era un gran lavoratore, molto orgoglioso e silenzioso. Non lo sentivi mai mio padre. Sapeva fare tutto in silenzio. Passai quasi tutta l'infanzia con i miei cugini, ma poi ben presto anche loro mi abbandonarono, per le ragazzine, per seguire le mode e io fui di nuovo solo. Conobbi la prima ragazza a trent'anni passati, era bellissima, era ucraina e diceva di essersi innamorata di me a prima vista sembrava coinvolta ma allo stesso tempo molto seria, non accettò subito di venire a casa mia, lo fece il giorno dopo. Mi parve incredibile, anche perché lei insisté tanto, quasi mi pregò. Mangiammo a casa mia, cucinai dei tortellini in brodo, ma dimenticai di mettere il sale all'acqua, preparai anche un rollè di tacchino che sembrava di polistirolo e bevemmo del Tavernello rosso. Lì capì che, o lei era follemente innamorata di me, oppure, aveva in mente qualcosa. Si complimentò con me in maniera smodata sulla cena e mi baciò. Andammo in camera da letto, lei andò in bagno, al suo ritorno spense la luce, intravedevo la sua sagoma e i bordi scuri delle mutandine, intravidi anche una figura che si scagliò sul letto e cominciò a colpirmi, poi mi assestò un colpo alla nuca facendomi svenire. Mi svegliai dolorante e confuso, la testa mi scoppiava, tutti i cassetti erano stati rovesciati: mi avevano derubato. Andai in sala da pranzo e l'orologio da tavolo d'oro che mi aveva regalato mio padre era sparito. Per forza, non c'era nient'altro da rubare. Era l'unica cosa cui tenessi veramente. Ero vuoto, solo e in mezzo alla stanza, tra camicie e calzini buttati qua e là, alla rinfusa. Uscii di casa e andai a prendermi un caffè doppio.
Ero sconvolto, frustrato e deluso, non tanto per il raggiro e il furto, ma piuttosto per il fatto che gli occhi di lei mi volevano avvertire di quello che sarebbe successo, non era malvagia, ne ero sicuro. Entrai nel bar, non c'erano né tavolini né sedie, al bancone c'era solo un signore con dei lunghi capelli bianchi poggiato, con i gomiti sul banco che beveva un non so cosa. Mi avvicinai e ordinai un caffè.
Avevo i brividi, ero vestito leggero, si stava facendo notte e avevo freddo. Alla radio c'era un tizio che parlava della politica e di come tutto fosse un'enorme polverone perpetuo che permetteva di celare alla vista della società, i loschi traffici governativi e c'era un ragno, in un angolo in alto della sala. Si vedeva chiaramente, era un ragno che vedeva due tizi pensare e un altro ad aspettare. Dopo qualche istante entrò un signore sui sessanta, con una giacca beige e due sopracciglia folte e con dei peli più lunghi che gli davano un tono diabolico. Si diresse subito verso il bancone, eravamo gomito a gomito, il barista si avvicinò, lui ordinò una vodka, poi guardandomi sorridentemente mi chiese,
"Cosa posso offrirle?."
Rimasi interdetto,stavo per dire lo stesso che il tizio pensieroso accanto a me fa,
"Non sia mai!Al mio amico offro io da bere!"
Rimasi ancora più interdetto,non li conoscevo,non sapevo chi fossero.
"La prego,io mi sono offerto per primo!" Ribatté giacca beige.
"Si,mai io sono qui da più tempo!"
"Oh,questa è bella!E da quanto,lei,starebbe qui?"
"Dall'ora di pranzo!"
"Io sto qui da sempre,quindi mi spetta di diritto!"
"Bè.. io sono qui da prima del sempre,da prima di te e di ogni altra cosa,visibile e invisibile.. non credo ti convenga provarci.."
Il beige lo guardò con distaccato rispetto,il barista guardò noi come folli scoppiati e lui guardava il bicchiere.
Il beige ci pensò un po' su e poi disse,
"E... dimmi un po'... di che categoria sei?"
"Terzo celeste."
"Ma guarda il caso,io sono secondo supplizio!... credo convenga a te di non provarci!"
L'aria si appesantì. Improvvisamente i due iniziarono a fissarsi con un odio tale da essere addirittura una nuova sensazione per me,c'era qualcosa di potente nell'aria. Mi feci indietro,il barista li guardava a braccia conserte,la radio andava lo stesso e mi azzardai a dire,
"Bè,se proprio ci tenete potete offrirmi qualcosa tutti e due!."
Si voltarono a guardarmi,giacca beige iniziò a ridere,
"Hi!Hi!Ah!Ah!non...a proprio capito niente!Hi!Hi!Chi di noi due ti offrirà da bere,avrà la tua anima in consegna!Hi!Hi!"
L'altro fece un mezzo sorriso e velocissimo partì con un pugno o qualcosa del genere verso giacca beige che fu altrettanto tempestivo da rispondere tempestivamente. Uno scoppio di luce mi accecò,un fragore di vetri infranti rese surreale quella realtà. Durò un istante, poi la luce pian piano svanì, i vetri rimasero in terra, sul banco e tutt'intorno, il barista imprecava sgrullandosi da dosso i vetri, nell'aria rimase un forte odore di zolfo e qualche piuma che atterrava dolcemente, mentre la radio ancora andava e io ero ancora solo..
Ogni momento potrebbe essere quello giusto per ogni cosa, ma potrebbe anche essere quello sbagliato, potresti aver deciso di andare a prendere un caffè in un bar, proprio quando entrava la donna della tua vita e magari avevi il coraggio di presentarti a lei e tre giorni dopo ci saresti uscito, dopo altri due giorni ci avresti fatto sesso e dopo due anni eravate marito e moglie e lei avrebbe riempito la tua vita d'amore e gioie. Avresti potuto. Ma se non l'avessi fatto? Se avessi deciso di prendere meno caffè? Magari lei incontrava un altro uomo, all'inizio innamorato, ma poi violento e infedele e la sua vita sarebbe stata un inferno. Il caffè non fa sempre male.
Le probabilità di riuscire nella vita sono le stesse di non riuscire e l'essere banale ha la stessa probabilità di essere giusto e io mi sento giusto, quindi banale, quindi solo. Sono solo da sempre. A scuola non avevo amichetti con cui giocare, dicevano tutti che puzzavo, che la mia casa era una fogna e questo perché mio padre era un netturbino. Mio padre era un gran lavoratore, molto orgoglioso e silenzioso. Non lo sentivi mai mio padre. Sapeva fare tutto in silenzio. Passai quasi tutta l'infanzia con i miei cugini, ma poi ben presto anche loro mi abbandonarono, per le ragazzine, per seguire le mode e io fui di nuovo solo. Conobbi la prima ragazza a trent'anni passati, era bellissima, era ucraina e diceva di essersi innamorata di me a prima vista sembrava coinvolta ma allo stesso tempo molto seria, non accettò subito di venire a casa mia, lo fece il giorno dopo. Mi parve incredibile, anche perché lei insisté tanto, quasi mi pregò. Mangiammo a casa mia, cucinai dei tortellini in brodo, ma dimenticai di mettere il sale all'acqua, preparai anche un rollè di tacchino che sembrava di polistirolo e bevemmo del Tavernello rosso. Lì capì che, o lei era follemente innamorata di me, oppure, aveva in mente qualcosa. Si complimentò con me in maniera smodata sulla cena e mi baciò. Andammo in camera da letto, lei andò in bagno, al suo ritorno spense la luce, intravedevo la sua sagoma e i bordi scuri delle mutandine, intravidi anche una figura che si scagliò sul letto e cominciò a colpirmi, poi mi assestò un colpo alla nuca facendomi svenire. Mi svegliai dolorante e confuso, la testa mi scoppiava, tutti i cassetti erano stati rovesciati: mi avevano derubato. Andai in sala da pranzo e l'orologio da tavolo d'oro che mi aveva regalato mio padre era sparito. Per forza, non c'era nient'altro da rubare. Era l'unica cosa cui tenessi veramente. Ero vuoto, solo e in mezzo alla stanza, tra camicie e calzini buttati qua e là, alla rinfusa. Uscii di casa e andai a prendermi un caffè doppio.
Ero sconvolto, frustrato e deluso, non tanto per il raggiro e il furto, ma piuttosto per il fatto che gli occhi di lei mi volevano avvertire di quello che sarebbe successo, non era malvagia, ne ero sicuro. Entrai nel bar, non c'erano né tavolini né sedie, al bancone c'era solo un signore con dei lunghi capelli bianchi poggiato, con i gomiti sul banco che beveva un non so cosa. Mi avvicinai e ordinai un caffè.
Avevo i brividi, ero vestito leggero, si stava facendo notte e avevo freddo. Alla radio c'era un tizio che parlava della politica e di come tutto fosse un'enorme polverone perpetuo che permetteva di celare alla vista della società, i loschi traffici governativi e c'era un ragno, in un angolo in alto della sala. Si vedeva chiaramente, era un ragno che vedeva due tizi pensare e un altro ad aspettare. Dopo qualche istante entrò un signore sui sessanta, con una giacca beige e due sopracciglia folte e con dei peli più lunghi che gli davano un tono diabolico. Si diresse subito verso il bancone, eravamo gomito a gomito, il barista si avvicinò, lui ordinò una vodka, poi guardandomi sorridentemente mi chiese,
"Cosa posso offrirle?."
Rimasi interdetto,stavo per dire lo stesso che il tizio pensieroso accanto a me fa,
"Non sia mai!Al mio amico offro io da bere!"
Rimasi ancora più interdetto,non li conoscevo,non sapevo chi fossero.
"La prego,io mi sono offerto per primo!" Ribatté giacca beige.
"Si,mai io sono qui da più tempo!"
"Oh,questa è bella!E da quanto,lei,starebbe qui?"
"Dall'ora di pranzo!"
"Io sto qui da sempre,quindi mi spetta di diritto!"
"Bè.. io sono qui da prima del sempre,da prima di te e di ogni altra cosa,visibile e invisibile.. non credo ti convenga provarci.."
Il beige lo guardò con distaccato rispetto,il barista guardò noi come folli scoppiati e lui guardava il bicchiere.
Il beige ci pensò un po' su e poi disse,
"E... dimmi un po'... di che categoria sei?"
"Terzo celeste."
"Ma guarda il caso,io sono secondo supplizio!... credo convenga a te di non provarci!"
L'aria si appesantì. Improvvisamente i due iniziarono a fissarsi con un odio tale da essere addirittura una nuova sensazione per me,c'era qualcosa di potente nell'aria. Mi feci indietro,il barista li guardava a braccia conserte,la radio andava lo stesso e mi azzardai a dire,
"Bè,se proprio ci tenete potete offrirmi qualcosa tutti e due!."
Si voltarono a guardarmi,giacca beige iniziò a ridere,
"Hi!Hi!Ah!Ah!non...a proprio capito niente!Hi!Hi!Chi di noi due ti offrirà da bere,avrà la tua anima in consegna!Hi!Hi!"
L'altro fece un mezzo sorriso e velocissimo partì con un pugno o qualcosa del genere verso giacca beige che fu altrettanto tempestivo da rispondere tempestivamente. Uno scoppio di luce mi accecò,un fragore di vetri infranti rese surreale quella realtà. Durò un istante, poi la luce pian piano svanì, i vetri rimasero in terra, sul banco e tutt'intorno, il barista imprecava sgrullandosi da dosso i vetri, nell'aria rimase un forte odore di zolfo e qualche piuma che atterrava dolcemente, mentre la radio ancora andava e io ero ancora solo..
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