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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Oz L.Moreen

Me ne vado in Tedeschia

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Io mi chiamo Lonel Ureche, anche se i conoscenti mi chiamano Lonely.



Avevo quattordici Leu ed ottantacinque nel momento in cui la barca arrivò a Bratislava; il Dunarea sembrava sporco d'arretrati, nonostante Luglio passato fosse lontano undici mesi e diciassette giorni: era il tredici giugno del millenovecentosettantadue... quando Pavel mi puntò tra la folla e guardando ai miei piedi disse "Se io fossi ricco, amico, non ti farei pagare un Leu; anzi, ti comprerei un paio di papuci"; poi, mi tirò per la manica sull'imbarcazione.

Avevo contato una trentina di persone durante l'attesa, tra queste c'era Corvina Lonesco: abitava a poche decine di metri da me, proprio alla fine della Donovalova, con le sue due figlie piccole (tre e nove anni). Non riuscirono ad imbarcarsi, loro.

I canneti sulle sponde iniziarono la sfilata verso mezzogiorno, io m'ero accomodato sotto la ringhiera a lato della prua; mentre, il vento premiava noi fortunati.

Mi sono chiesto spesso cosa avrei lasciato alle spalle; a parte il Grassalkovich visto a qualche metro di distanza ed un duomo che non m'e mai appartenuto, in fondo, non avrei lasciato nulla li, nulla in Cecoslovacchia.





Rimasi orfano all'età di dodici anni; e sono fiero di essere il figlio di Dragoi Ureche. Mio padre lavorava in miniera a Banská Bystrica, vicino alla città di Brezno: morto di tisi in carcere per aver richiesto un sindacato che aiutasse i minatori ad ottenere occhiali protettivi contro le schegge, nel lontano millenovecentotrentacinque. Mia madre non l'ho mai conosciuta, non so neanche se sia viva.

All'istituto di Presov crebbi in fretta, imparai a non temere. Ricordo uno dei cattivi, un istitutore di quelli che: "Prima o poi vi faccio piangere, a voi" (dopo qualche anno venne aggredito nell'ingresso del suo palazzo, sulla Konstantinova; alcuni ragazzi incappucciati gli ruppero i ginocchi, legamenti crociati e menischi, con tondini per cemento armato: poi infierirono sulle fratture scomposte, così che non potesse più camminare).

Dopo la scuola, quasi ogni giorno, ci davano dei denti da trattare con l'Ipoclorito per rivenderli; sapevo che erano denti dei morti perché l'orfanotrofio era in qualche modo in contatto con ospedali, camere mortuarie ed imprese di pompe funebri: i dirigenti, una volta in possesso dei denti lucidati, li avrebbero venduti a laboratori stomatologici che l'avrebbero poi usati per fare le dentiere.

Della lingua, così come della cultura, me ne sono appropriato a dovere successivamente. Nella tenera età: confuso, impaurito ed ignorante, dicevo a tutti che da grande me ne sarei andato in Tedeschia.





Il primo giorno di navigazione l'avevo passato seduto ad ascoltare; un vociare rissoso e continuo m'aveva cullato anche durante la notte, lo stesso fece da sveglia: chissà cosa avevano da discutere quelle famiglie a metà, gli artigiani, le tessitrici, i vetrai... mentre quello lì, calvo, prendeva a schiaffi uno chiamandolo "cu capul mare"; doveva sentirsi uno di loro, un istitutore, sicuramente.

Il capitano del natante, Pavel, aveva messo a tacere tutti quella mattina; io avevo masticato unghie e bevuto poca acqua.

Ancora ricordo, quei giorni ripensavo a parole sentite dire in giro come "discernimento", "trasalire", "ledere", eccetera. Io ho sempre avuto un sogno malvestito e portato avanti senza scarpe.

Conobbi tutte le persone storte in qualche modo o per qualche ragione durante il mio piccolo viaggio, compreso il bulgaro preso a schiaffi il primo giorno: lui, ad esempio, si chiamava Vassil, in arte "spicciolo"; e suonava la ghironda, come un artista. Di tutti gli altri ho un ricordo appannato.

Al giorno d'oggi non mi manca niente; ho venduto il mio passato ad un editore, ma questa è un'altra storia. Da quel giorno in cui Pavel, appoggiato al parapetto, mi guardò ed annunciò "salmoni !" felice più di quel quarantanovenne sciatto che ero io... bè, continuo a pensare che nonostante ora conosca la lingua, in fondo, la Tedeschia esista, come esiste la Germania.



Ho ottantaquattro anni e mi chiamo Lonel Ureche, anche se i conoscenti continuano a chiamarmi Lonely.

Il mio prossimo viaggio ? me ne andrò in Spagnolia.









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