RACCONTI
Francesco Tiberi
Seconda Alba
Nessun dubbio che si tratti di una guerra.
Spietata, senza regole.
Guerra.
Vent'anni appena.
Corpo flessuoso accarezzato da morbidi tessuti che ne esaltano le forme. Un casco fittissimo di capelli neri le scivola sulle spalle e definisce il suo volto concentrandosi in una frangia obliqua, fresca di parrucchiere. Il viso di un pallore delicato, porcellana che esalta gli occhi grandi, azzurro solcato da venature celesti, spalancati su di un mondo impaziente di gettarsi ai suoi piedi. Attorno a lei luci intense, manichini finemente abbigliati ed un cristallo scintillante che racchiude tutto rendendola madonna solitaria di un presepe contemporaneo.
Oltre il vetro, il corso principale della città; quello dei negozi d'alta moda, degli aperitivi all'aperto, del lusso manifesto o sussurrato. Delle abbronzature dorate, dei nasi rifatti male, dei seni scoperti qualunque tempo faccia e delle auto di lusso prese a rate parcheggiate in tripla fila.
Palcoscenico dove si alternano le fortune di un olimpo di provincia cui fa da sfondo la gente col naso all'insù, popolo che passa trascinando turbe di bambini urlanti e mogli patetiche di fronte a vetrine irraggiungibili per tasche magre. Padri e mariti che scagliano contro le commesse occhiate furtive e vogliose. Un sentimento fluido stilla dai loro occhi spenti che trovano un lampo di vitalità nell'inconfessabile odio che si riversa su ciò che è bello ed inaccessibile. La trattenuta rivolta contro un dio crudele che non perde occasione di ricordare loro a quali insignificanti vite siano condannati.
La battaglia quotidiana di Guenda inizia ogni mattina alle nove in punto con l'apertura del negozio in cui lavora da quasi un anno.
Essere costantemente sotto gli occhi di tutti costa grande fatica. Dietro l'apparente privilegio di potersi relazionare con il jet set della città, la condanna ad un inferno di arpie, competizione sfrenata, stipendi da fame, tacchi a spillo forzati ed eterno mal di gambe. Ogni giorno la necessità di cambiare abito, acconciatura, sfoggiare un accessorio nuovo, un dettaglio, qualsiasi cosa possa spostare l'ago della bilancia della più desiderabile verso l'una o l'altra delle commesse del centro.
L'apice della sfida, l'insalata con le colleghe, alle due, al Bar Michelangelo, esattamente nel cuore della città. Qui, tutte le appartenenti alla ristrettissima cerchia delle dipendenti delle boutiques scrutano le altre analizzandone ogni particolare anatomico e condannando senza scampo la minima imperfezione.
In ciascun volto, Guenda cerca l'esito della nottata appena trascorsa. Naso arrossato e grandi occhiali scuri parlano chiaramente di festini e scopate più o meno fruttuose.
Fare da pietanza alla piccola orgia di qualche industriale di mezza età è uno strumento cui nessuna rinuncia, nemmeno lei. Può aiutare a spiccare il volo, ma da tante notti brave finora ha raccolto soltanto briciole.
A volte quei pidocchiosi si fanno vivi in negozio, preceduti dai cofani infiniti delle loro macchine e dal gorgoglio animalesco delle loro risate. Bocche ricolme di denti rifatti collaudati dal sesso orale preteso lì, dietro il bancone, in un momento di pausa, tanto per ribadire il peso dei rispettivi ruoli. Un capo firmato gettato in faccia, kleenex da poche centinaia di euro, come benservito. E coca in quantità, gentile concessione, per cancellare ogni delusione in un respiro.
Ma niente può abbattere Guenda, vent'anni da tre mesi. La sua via, un uomo ricco. Ambizione sfrenata la muove.
Da quasi un mese, Marina, la mulatta che lavora nel negozio di scarpe all'angolo della grande piazza che dà sul lungomare, chiede a Guenda di accompagnarla nel privè del club più esclusivo della riviera.
Grandissima puttana Marina. Poco più di trent'anni, si dice si sia portata a letto tutti quelli che contano qualcosa in città. Imprenditori, avvocati, calciatori di grido.
Guenda ne invidia le cosce lunghissime, lucenti e tornite, i capelli corvini avvolti attorno al collo come una pelliccia pregiata e la sfrontata fiducia nel sesso come investimento sicuro su se stessa. La teme, poiché sa che la propria eleganza potrebbe risultare ridimensionata dal confronto, eppure avverte il bisogno di una scossa. Marina è sulla scena, da protagonista, da più di dieci anni. Può essere la chiave d'accesso alle alte sfere, popolate dai signori della città. Qualche ruga inizia a solcare il suo bel viso. Le resta poco tempo. Bisogna approfittarne.
Un martedì pomeriggio di sole invernale, mentre si fronteggiano fiere ad un tavolo del Bar Michelangelo, magnifiche variazioni sul tema infinito della bellezza, Guenda accetta l'invito di Marina con entusiasmo, convinta di poterla offuscare con la propria debordante gioventù.
Pioggia forte.
Gocce gelate, di quelle che precipitano oblique e quando incontrano la pelle pungono come spilli, sferzano i volti del centinaio di ragazze in abiti succinti che stringono i seni tra le braccia grassocce per riscaldarsi un po', in attesa di passare le forche caudine della selezione all'ingresso. Due buttafuori enormi, cappotto nero fino ai piedi, occhiali scuri ed ombrello rosso, si divertono a far allungare la coda il più possibile. Questione di prestigio del locale.
Guenda e Marina scendono da un taxi bianco prive di ombrello e cappotto. Dodici centimetri di tacchi, insensibili ai rigori del tempo ed ai commenti dei ragazzi in attesa al freddo, scavalcano la coda provocanti, sensuali, determinate. Addosso, solo l'indispensabile. Quel poco, rigorosamente nero e trasparente.
Ad accoglierle un ragazzo perfettamente rasato, giovanissimo, che porge un mazzo di orchidee, cortese omaggio della direzione per le ospiti di riguardo. L'atrio del club si spalanca in uno scintillio di cristalli, specchiere ottocentesche e pellicce ordinatamente allineate nei guardaroba.
Oltrepassato un portale di lucido acciaio, accecante, le ragazze affondano in un magma di corpi, suoni e colori sgargianti.
Quasi subito, Marina si stringe alla giovane compagna e le fa notare due ragazzi che sembrano usciti dalle pagine di una rivista patinata. Belli, giovani, ben vestiti. La mulatta urla nell'orecchio di Guenda, che uno dei due è il figlio di un noto industriale. Afferma di saperlo bene, poiché lo ha conosciuto da vicino qualche mese fa. Nei bagni di quello stesso locale. O qualcosa del genere. Volume alto, difficile comunicare.
La pista è colma di facce note. La concorrenza, durissima. Bisogna rompere gli indugi quanto prima.
Senza pensare oltre, Guenda scatta trascinando la mulatta che tiene in mano un bicchiere colmo di champagne giunto da chissà dove. Il ritmo della musica elettrizza i corpi delle due ragazze. Magnetici addensamenti di ondeggiante femminilità.
Mentre Marina infila la lingua nel cavo orale del rampollo prima che questi possa dire qualsiasi cosa, Guenda fissa l'amico con occhi famelici, gorghi che attraggono lascive prospettive per la nottata.
Alto, moro, lineamenti marcati, vestito divinamente, in compagnia di uno dei giovani più ricchi dell'intera riviera.
Eccellente.
Per quasi un'ora, Guenda gli si struscia addosso senza permettergli di allungare un solo dito. Pensieri osceni, giochi di luce e musica si fondono portandolo sul punto di esplodere. E lì bisogna tenerlo. Il più a lungo possibile.
Il vestito nero, impalpabile, scivola malizioso sulle curve, assecondando le coreografie più provocanti che Guenda disegna nella notte sfrenata.
Il ragazzo si divincola da lei per un istante, la allontana, rientra in sé, cerca l'amico con lo sguardo. I due si parlano all'orecchio, ridono spalancando le bocche colme di denti bianchi e lucenti, si abbracciano invasati. Si separano.
Il rampollo afferra Marina per la vita e la solleva di peso sparendo dietro ad una tenda nera di velluto. L'altro, che dovrebbe chiamarsi Alex, a quanto Guenda ha potuto intuire oltre il battito costante delle percussioni che saturano l'aria, lascia penzolare dalla mano destra un congegno sufficientemente strano per essere la chiave elettronica di un'auto di grossa cilindrata. Il volto di lei si apre in un sorriso d'assenso.
Attraversare l'ammasso di corpi che li separa dall'ingresso è fatica carica di impazienza. Scortati da un buttafuori, Alex e Guenda impiegano qualche minuto ad uscire dal club. Le solite comparse, malinconicamente in attesa, fradice di pioggia nella notte.
Pochi passi svelti schivando pozzanghere e le portiere di un fuoristrada mai visto si spalancano per accogliere la coppia.
Il cruscotto si punteggia di luci verdi, il motore sibila lievissimo e le ruote scivolano senza fatica sull'asfalto bagnato. Irruente, la mano di Guenda si fa largo tra i vestiti del ragazzo fino a raggiungere la propria meta. Alex affonda il piede sull'acceleratore e frappone distanza tra loro ed il resto dei mortali.
Filari di lampioni scorrono attraverso i finestrini finché la strada si spegne in uno spiazzo solitario ed oscuro. Le casse dello stereo vibrano cupe, pulsando a ritmo cardiaco. Tra i due, silenzio. Una piccola busta richiusa malamente spunta dalle tasche di Alex. Il suo contenuto impalpabile e biancastro è accolto dai seni umidi di pioggia che spuntano turgidi dal vestito di Guenda, stropicciato da mani bramose ed impazienti.
Mani che affondano nella massa dei lunghi capelli neri, scivolano sulla pelle nuda, cercano favori che non ricambiano e si arrestano di colpo per ritrovare slancio e vigore. L'aria si carica di umori, si contrae, svanisce nell' affanno dei respiri.
Le peccaminose attese ispirate da quella bocca perfetta trovano sontuoso riscontro nello sperduto angolo di universo racchiuso tra le gambe depilate di Alex. Dalle nubi stillano le ultime gocce che solcano lente i finestrini appannati, inseguendosi nel chiarore lunare.
Il desiderio del ragazzo divampa fino ad eternarsi nella foga con cui solleva di peso il corpo di Guenda per possedere da dietro quella bellezza nera e sfacciata.
Incalzare di respiri, sangue che martella nelle tempie e tutto si spegne in un istante, in un rantolo sommesso, nel crollo del corpo del giovane maschio sopra la schiena liscia della ragazza che ruota il capo per guardarlo, senza riuscire a trattenere un compiaciuto sorriso.
I corpi si staccano senza più cercarsi. I respiri inseguono l'aria ormai densa dell'abitacolo, raffreddando poco a poco.
Eccitato dall'amplesso e dalla cocaina, perlato di sudore ed attraversato dai brividi che la notte invernale impone al suo corpo senza che egli se ne avveda, Alex resta stupito dal muto controllo con cui Guenda ricompone il vestito quasi lacero e chiede con voce calma e distaccata di essere riaccompagnata in discoteca.
Di nuovo quei poveracci in coda che Guenda scavalca come insignificanti pedine di una gigantesca dama che tritura vite, storie, opportunità.
All'interno del club ritrova tutto diverso, senza che nulla sia cambiato. Scenografie egizie hanno preso il posto dell'ambientazione ottocentesca, ma i corpi continuano a muoversi sulle piste e fiumi di alcol rompono gli argini mescolandosi a nuvole di polveri di ogni tipo e colore che si sollevano dai tavoli di cristallo.
Marina assente.
Guenda si dirige istintivamente verso i grandi bagni del locale, mondo parallelo nei sotterranei del palazzo. Scostata una tenda altissima di velluto rosso, è un bizzarro spettacolo osservare il magnifico culo olivastro della mulatta, sbattuto dai colpi d'anca del rampollo sul piano di marmo nero dei lavandini, riflettersi ritmicamente nella specchiera dorata che occupa l'intera parete d'ingresso dei gabinetti femminili. Incrociato per un istante lo sguardo di Marina, le due si scambiano un impercettibile segnale d'assenso. Meglio aspettare all'uscita.
Il tempo di una sigaretta nel freddo della notte ed eccola, andatura ondeggiante da belva esotica e braccia protese verso l'amica di quella sola notte. Troia.
I due ragazzi, emergono dalle tenebre del locale abbracciati e sorridenti. Il loro invito per una colazione a quattro con contorno di coca e bis di scopate viene snobbato. Meglio rivedersi con più calma, urla Marina, mentre Guenda tace e non rivolge la minima attenzione ad Alex, che ne cerca lo sguardo insistentemente.
Rimaste sole, Marina si complimenta caldamente con Guenda. Brava ad aver acchiappato il moro. È un carissimo amico di Luigi, questo il nome del rampollo.
Pochi giorni dopo Alex si presenta nella boutique in cui lavora Guenda. Un sorriso le illumina lo sguardo, appena per un istante. Subito si ricompone, rientrando nel ruolo di bellezza inarrivabile. Sarà lei a condurre il gioco della seduzione. Lo sa bene.
Si concede al ragazzo a piccole dosi, senza fretta. Di tanto in tanto inserisce nei loro incontri prestazioni sessuali da capogiro per legarlo a sé senza possibilità di fuga. Prestissimo, Alex ne diventa una sorta di adepto.
Le racconta di essere direttore di produzione nell'azienda del padre di Luigi, di viaggiare spesso per il mondo e di non aver mai conosciuto una donna come lei. Si presenta con auto sempre diverse e regali via via più costosi. Lei si scioglie piano, osservandolo con la perizia di chi conosce il momento esatto di cogliere un frutto per poterlo assaporare completamente maturo.
La cosa va avanti da più di un mese oramai. Guenda non parla di lui con nessuno. Gode con tutta sé stessa quando le sue colleghe la osservano invidiose abbracciare Alex che arriva in negozio con un fascio di rose scarlatte in una mano ed un vestito di gran griffe comprato per lei, nell'altra.
È al settimo cielo, ma non deve lasciar trasparire nulla.
Ce l'ha quasi fatta.
Un paio di volte Guenda ha vomitato in negozio di mattina, appena arrivata. Nessuna delle altre se n'è accorta, per fortuna.
Ha acquistato un test di gravidanza.
Un mattino di sole freddo si è chiusa nel bagno del negozio ed ha chiesto a quel Dio in cui non crede di far colorare il tampone bianco che tiene tra le mani tremanti. Il respiro si è fatto corto e tagliente, freddo sulle labbra.
Lo sguardo scende lento verso il pube. Il liquido caldo riscalda le dita gelate dalla paura. Un sospiro lungo quanto l'attesa, poi gli occhi si spalancano ed un urlo non si contiene e riempie il minuscolo bagno facendo trasalire le sue colleghe.
Si è tinto di rosa.
Mezza giornata di permesso e Guenda sale sul regionale delle 16.48, bella oltre ogni dire, pronta a recarsi presso l'azienda in cui lavora Alex. Va messo di fronte alle proprie responsabilità. Immediatamente.
Ore 18.
I cancelli dello stabilimento stanno per aprirsi per il cambio di personale del turno pomeridiano. Il cuore batte svelto. Le auto sportive che dimoravano sul marciapiedi di fronte alla sua vetrina, parcheggiate al sole, presso la palazzina della direzione. Guenda respira, sistema la scollatura e va verso la reception dell'azienda che assomiglia incredibilmente a quella di un hotel di lusso.
A riceverla una segretaria bionda, auricolare e microfono aderenti alla guancia destra ed il tono metallico di un vecchio robot nelle corde vocali.
− Avrei bisogno di conferire con Alex Bianco, il direttore di produzione.
La bionda le risponde senza degnarla di uno sguardo che nessun signor Bianco rientra nel novero dei funzionari dell'azienda.
− Ci deve essere un malinteso. Sono assolutamente certa che il signor Bianco sia direttore di produzione di questo stabilimento. Se lei non è in grado di aiutarmi, sarà bene mi faccia parlare con qualcuno che conti qualcosa.
La velenosità con cui scandisce le sillabe è proporzionale alla percezione di lama di gelido metallo che sente affondare nelle proprie membra.
− Nessun malinteso signorina. Credo sia meglio che alzi i suoi bei tacchi e sparisca prima che debba far intervenire la sicurezza. Gli unici signori Bianco che lavorano presso di noi sono Sergio, custode da quasi trent'anni ed Alessandro, suo figlio, operaio.
Guenda cammina svelta sulle caviglie sottili da puledra di razza. Scavalca il banco dalla reception ignorando le urla dell'automa in abiti femminili e segue la freccia che riporta la dicitura produzione, accompagnata dal rumore potente di una sirena. Le porte metalliche dei magazzini paiono spalancarsi al suo cospetto.
Grande è lo stupore dei lavoratori in tuta e caschetto giallo, che vedono comparire di fronte ai loro occhi la ragazza più bella che abbiano mai immaginato. Lì, nella fabbrica, settore produzione, una meraviglia mora, alta, magra, capelli neri raccolti in uno chignon da cui pendono morbidamente sulla scapola destra, scoperta da un vestito rosso che aderisce maliziosamente ai seni splendidi.
Nessuno osa dire una parola nemmeno quando Guenda individua Alessandro dietro una pila di scatoloni di cartoni e gli sputa in faccia. La recente fama di seduttore diffusasi tra i colleghi svanisce nell'enormità di quel gesto.
Per oltre due mesi Alessandro tenta di parlarle. Di inventare una spiegazione. Una giustificazione. Qualcosa.
Invano.
Si sono sposati immediatamente dopo la nascita della bambina che Guenda ha battezzato Alba, come sua nonna. La cerimonia è costata tutti i risparmi di Alessandro. Soprattutto il vestito da sposa, rigorosamente bianco, che Guenda ha preteso di gran pregio.
Nell'aria, una nuova primavera.
Alba è una creatura splendida come sua madre. Manine bianche, che sembrano di cera e due schegge di carbone al posto degli occhi. Alessandro la porta a passeggio quasi tutti i giorni. Ha ottenuto dall'azienda il congedo parentale e si occupa della piccola praticamente da solo.
Spinge la carrozzina per i parchi e le vie del centro fino ai viali dello shopping e delle boutiques. Cammina lento, distratto. Si guarda intorno insistentemente, quasi ad invocare uno sguardo di donna che gli offra conferme alla propria autostima infranta. Del suo fisico aitante, soltanto l'ombra sfumata.
Di tanto in tanto giunge nei pressi del negozio in cui ancora lavora Guenda.
Il parto non l'ha intaccata. La sua linea, perfetta come sempre. Il portamento anche. Criniera corvina al vento, ella staziona sulla porta del negozio osservando sprezzante il mondo che la circonda.
Quando suo marito e sua figlia passano per la via lanciando occhiate bramose di un sorriso, lei distoglie lo sguardo e finge di sistemare i manichini in vetrina. Lascia che essi scivolino via, ingoiati dalla folla che tutto digerisce e torna ad esporsi agli sguardi ed all'ammirazione dei passanti. Ed all'invidia delle loro donne.
Superba nel suo tailleur rosa nuovissimo, di fronte ai clienti di riguardo cerca di far scomparire in una profusione di sorrisi di circostanza la piccola ruga che è recentemente comparsa tra la sua bocca da sogno e la guancia destra.
Le colleghe la osservano silenziose. In agguato.
È quasi ora dell'insalata.
Di nuovo in trincea.
Spietata, senza regole.
Guerra.
Vent'anni appena.
Corpo flessuoso accarezzato da morbidi tessuti che ne esaltano le forme. Un casco fittissimo di capelli neri le scivola sulle spalle e definisce il suo volto concentrandosi in una frangia obliqua, fresca di parrucchiere. Il viso di un pallore delicato, porcellana che esalta gli occhi grandi, azzurro solcato da venature celesti, spalancati su di un mondo impaziente di gettarsi ai suoi piedi. Attorno a lei luci intense, manichini finemente abbigliati ed un cristallo scintillante che racchiude tutto rendendola madonna solitaria di un presepe contemporaneo.
Oltre il vetro, il corso principale della città; quello dei negozi d'alta moda, degli aperitivi all'aperto, del lusso manifesto o sussurrato. Delle abbronzature dorate, dei nasi rifatti male, dei seni scoperti qualunque tempo faccia e delle auto di lusso prese a rate parcheggiate in tripla fila.
Palcoscenico dove si alternano le fortune di un olimpo di provincia cui fa da sfondo la gente col naso all'insù, popolo che passa trascinando turbe di bambini urlanti e mogli patetiche di fronte a vetrine irraggiungibili per tasche magre. Padri e mariti che scagliano contro le commesse occhiate furtive e vogliose. Un sentimento fluido stilla dai loro occhi spenti che trovano un lampo di vitalità nell'inconfessabile odio che si riversa su ciò che è bello ed inaccessibile. La trattenuta rivolta contro un dio crudele che non perde occasione di ricordare loro a quali insignificanti vite siano condannati.
La battaglia quotidiana di Guenda inizia ogni mattina alle nove in punto con l'apertura del negozio in cui lavora da quasi un anno.
Essere costantemente sotto gli occhi di tutti costa grande fatica. Dietro l'apparente privilegio di potersi relazionare con il jet set della città, la condanna ad un inferno di arpie, competizione sfrenata, stipendi da fame, tacchi a spillo forzati ed eterno mal di gambe. Ogni giorno la necessità di cambiare abito, acconciatura, sfoggiare un accessorio nuovo, un dettaglio, qualsiasi cosa possa spostare l'ago della bilancia della più desiderabile verso l'una o l'altra delle commesse del centro.
L'apice della sfida, l'insalata con le colleghe, alle due, al Bar Michelangelo, esattamente nel cuore della città. Qui, tutte le appartenenti alla ristrettissima cerchia delle dipendenti delle boutiques scrutano le altre analizzandone ogni particolare anatomico e condannando senza scampo la minima imperfezione.
In ciascun volto, Guenda cerca l'esito della nottata appena trascorsa. Naso arrossato e grandi occhiali scuri parlano chiaramente di festini e scopate più o meno fruttuose.
Fare da pietanza alla piccola orgia di qualche industriale di mezza età è uno strumento cui nessuna rinuncia, nemmeno lei. Può aiutare a spiccare il volo, ma da tante notti brave finora ha raccolto soltanto briciole.
A volte quei pidocchiosi si fanno vivi in negozio, preceduti dai cofani infiniti delle loro macchine e dal gorgoglio animalesco delle loro risate. Bocche ricolme di denti rifatti collaudati dal sesso orale preteso lì, dietro il bancone, in un momento di pausa, tanto per ribadire il peso dei rispettivi ruoli. Un capo firmato gettato in faccia, kleenex da poche centinaia di euro, come benservito. E coca in quantità, gentile concessione, per cancellare ogni delusione in un respiro.
Ma niente può abbattere Guenda, vent'anni da tre mesi. La sua via, un uomo ricco. Ambizione sfrenata la muove.
Da quasi un mese, Marina, la mulatta che lavora nel negozio di scarpe all'angolo della grande piazza che dà sul lungomare, chiede a Guenda di accompagnarla nel privè del club più esclusivo della riviera.
Grandissima puttana Marina. Poco più di trent'anni, si dice si sia portata a letto tutti quelli che contano qualcosa in città. Imprenditori, avvocati, calciatori di grido.
Guenda ne invidia le cosce lunghissime, lucenti e tornite, i capelli corvini avvolti attorno al collo come una pelliccia pregiata e la sfrontata fiducia nel sesso come investimento sicuro su se stessa. La teme, poiché sa che la propria eleganza potrebbe risultare ridimensionata dal confronto, eppure avverte il bisogno di una scossa. Marina è sulla scena, da protagonista, da più di dieci anni. Può essere la chiave d'accesso alle alte sfere, popolate dai signori della città. Qualche ruga inizia a solcare il suo bel viso. Le resta poco tempo. Bisogna approfittarne.
Un martedì pomeriggio di sole invernale, mentre si fronteggiano fiere ad un tavolo del Bar Michelangelo, magnifiche variazioni sul tema infinito della bellezza, Guenda accetta l'invito di Marina con entusiasmo, convinta di poterla offuscare con la propria debordante gioventù.
Pioggia forte.
Gocce gelate, di quelle che precipitano oblique e quando incontrano la pelle pungono come spilli, sferzano i volti del centinaio di ragazze in abiti succinti che stringono i seni tra le braccia grassocce per riscaldarsi un po', in attesa di passare le forche caudine della selezione all'ingresso. Due buttafuori enormi, cappotto nero fino ai piedi, occhiali scuri ed ombrello rosso, si divertono a far allungare la coda il più possibile. Questione di prestigio del locale.
Guenda e Marina scendono da un taxi bianco prive di ombrello e cappotto. Dodici centimetri di tacchi, insensibili ai rigori del tempo ed ai commenti dei ragazzi in attesa al freddo, scavalcano la coda provocanti, sensuali, determinate. Addosso, solo l'indispensabile. Quel poco, rigorosamente nero e trasparente.
Ad accoglierle un ragazzo perfettamente rasato, giovanissimo, che porge un mazzo di orchidee, cortese omaggio della direzione per le ospiti di riguardo. L'atrio del club si spalanca in uno scintillio di cristalli, specchiere ottocentesche e pellicce ordinatamente allineate nei guardaroba.
Oltrepassato un portale di lucido acciaio, accecante, le ragazze affondano in un magma di corpi, suoni e colori sgargianti.
Quasi subito, Marina si stringe alla giovane compagna e le fa notare due ragazzi che sembrano usciti dalle pagine di una rivista patinata. Belli, giovani, ben vestiti. La mulatta urla nell'orecchio di Guenda, che uno dei due è il figlio di un noto industriale. Afferma di saperlo bene, poiché lo ha conosciuto da vicino qualche mese fa. Nei bagni di quello stesso locale. O qualcosa del genere. Volume alto, difficile comunicare.
La pista è colma di facce note. La concorrenza, durissima. Bisogna rompere gli indugi quanto prima.
Senza pensare oltre, Guenda scatta trascinando la mulatta che tiene in mano un bicchiere colmo di champagne giunto da chissà dove. Il ritmo della musica elettrizza i corpi delle due ragazze. Magnetici addensamenti di ondeggiante femminilità.
Mentre Marina infila la lingua nel cavo orale del rampollo prima che questi possa dire qualsiasi cosa, Guenda fissa l'amico con occhi famelici, gorghi che attraggono lascive prospettive per la nottata.
Alto, moro, lineamenti marcati, vestito divinamente, in compagnia di uno dei giovani più ricchi dell'intera riviera.
Eccellente.
Per quasi un'ora, Guenda gli si struscia addosso senza permettergli di allungare un solo dito. Pensieri osceni, giochi di luce e musica si fondono portandolo sul punto di esplodere. E lì bisogna tenerlo. Il più a lungo possibile.
Il vestito nero, impalpabile, scivola malizioso sulle curve, assecondando le coreografie più provocanti che Guenda disegna nella notte sfrenata.
Il ragazzo si divincola da lei per un istante, la allontana, rientra in sé, cerca l'amico con lo sguardo. I due si parlano all'orecchio, ridono spalancando le bocche colme di denti bianchi e lucenti, si abbracciano invasati. Si separano.
Il rampollo afferra Marina per la vita e la solleva di peso sparendo dietro ad una tenda nera di velluto. L'altro, che dovrebbe chiamarsi Alex, a quanto Guenda ha potuto intuire oltre il battito costante delle percussioni che saturano l'aria, lascia penzolare dalla mano destra un congegno sufficientemente strano per essere la chiave elettronica di un'auto di grossa cilindrata. Il volto di lei si apre in un sorriso d'assenso.
Attraversare l'ammasso di corpi che li separa dall'ingresso è fatica carica di impazienza. Scortati da un buttafuori, Alex e Guenda impiegano qualche minuto ad uscire dal club. Le solite comparse, malinconicamente in attesa, fradice di pioggia nella notte.
Pochi passi svelti schivando pozzanghere e le portiere di un fuoristrada mai visto si spalancano per accogliere la coppia.
Il cruscotto si punteggia di luci verdi, il motore sibila lievissimo e le ruote scivolano senza fatica sull'asfalto bagnato. Irruente, la mano di Guenda si fa largo tra i vestiti del ragazzo fino a raggiungere la propria meta. Alex affonda il piede sull'acceleratore e frappone distanza tra loro ed il resto dei mortali.
Filari di lampioni scorrono attraverso i finestrini finché la strada si spegne in uno spiazzo solitario ed oscuro. Le casse dello stereo vibrano cupe, pulsando a ritmo cardiaco. Tra i due, silenzio. Una piccola busta richiusa malamente spunta dalle tasche di Alex. Il suo contenuto impalpabile e biancastro è accolto dai seni umidi di pioggia che spuntano turgidi dal vestito di Guenda, stropicciato da mani bramose ed impazienti.
Mani che affondano nella massa dei lunghi capelli neri, scivolano sulla pelle nuda, cercano favori che non ricambiano e si arrestano di colpo per ritrovare slancio e vigore. L'aria si carica di umori, si contrae, svanisce nell' affanno dei respiri.
Le peccaminose attese ispirate da quella bocca perfetta trovano sontuoso riscontro nello sperduto angolo di universo racchiuso tra le gambe depilate di Alex. Dalle nubi stillano le ultime gocce che solcano lente i finestrini appannati, inseguendosi nel chiarore lunare.
Il desiderio del ragazzo divampa fino ad eternarsi nella foga con cui solleva di peso il corpo di Guenda per possedere da dietro quella bellezza nera e sfacciata.
Incalzare di respiri, sangue che martella nelle tempie e tutto si spegne in un istante, in un rantolo sommesso, nel crollo del corpo del giovane maschio sopra la schiena liscia della ragazza che ruota il capo per guardarlo, senza riuscire a trattenere un compiaciuto sorriso.
I corpi si staccano senza più cercarsi. I respiri inseguono l'aria ormai densa dell'abitacolo, raffreddando poco a poco.
Eccitato dall'amplesso e dalla cocaina, perlato di sudore ed attraversato dai brividi che la notte invernale impone al suo corpo senza che egli se ne avveda, Alex resta stupito dal muto controllo con cui Guenda ricompone il vestito quasi lacero e chiede con voce calma e distaccata di essere riaccompagnata in discoteca.
Di nuovo quei poveracci in coda che Guenda scavalca come insignificanti pedine di una gigantesca dama che tritura vite, storie, opportunità.
All'interno del club ritrova tutto diverso, senza che nulla sia cambiato. Scenografie egizie hanno preso il posto dell'ambientazione ottocentesca, ma i corpi continuano a muoversi sulle piste e fiumi di alcol rompono gli argini mescolandosi a nuvole di polveri di ogni tipo e colore che si sollevano dai tavoli di cristallo.
Marina assente.
Guenda si dirige istintivamente verso i grandi bagni del locale, mondo parallelo nei sotterranei del palazzo. Scostata una tenda altissima di velluto rosso, è un bizzarro spettacolo osservare il magnifico culo olivastro della mulatta, sbattuto dai colpi d'anca del rampollo sul piano di marmo nero dei lavandini, riflettersi ritmicamente nella specchiera dorata che occupa l'intera parete d'ingresso dei gabinetti femminili. Incrociato per un istante lo sguardo di Marina, le due si scambiano un impercettibile segnale d'assenso. Meglio aspettare all'uscita.
Il tempo di una sigaretta nel freddo della notte ed eccola, andatura ondeggiante da belva esotica e braccia protese verso l'amica di quella sola notte. Troia.
I due ragazzi, emergono dalle tenebre del locale abbracciati e sorridenti. Il loro invito per una colazione a quattro con contorno di coca e bis di scopate viene snobbato. Meglio rivedersi con più calma, urla Marina, mentre Guenda tace e non rivolge la minima attenzione ad Alex, che ne cerca lo sguardo insistentemente.
Rimaste sole, Marina si complimenta caldamente con Guenda. Brava ad aver acchiappato il moro. È un carissimo amico di Luigi, questo il nome del rampollo.
Pochi giorni dopo Alex si presenta nella boutique in cui lavora Guenda. Un sorriso le illumina lo sguardo, appena per un istante. Subito si ricompone, rientrando nel ruolo di bellezza inarrivabile. Sarà lei a condurre il gioco della seduzione. Lo sa bene.
Si concede al ragazzo a piccole dosi, senza fretta. Di tanto in tanto inserisce nei loro incontri prestazioni sessuali da capogiro per legarlo a sé senza possibilità di fuga. Prestissimo, Alex ne diventa una sorta di adepto.
Le racconta di essere direttore di produzione nell'azienda del padre di Luigi, di viaggiare spesso per il mondo e di non aver mai conosciuto una donna come lei. Si presenta con auto sempre diverse e regali via via più costosi. Lei si scioglie piano, osservandolo con la perizia di chi conosce il momento esatto di cogliere un frutto per poterlo assaporare completamente maturo.
La cosa va avanti da più di un mese oramai. Guenda non parla di lui con nessuno. Gode con tutta sé stessa quando le sue colleghe la osservano invidiose abbracciare Alex che arriva in negozio con un fascio di rose scarlatte in una mano ed un vestito di gran griffe comprato per lei, nell'altra.
È al settimo cielo, ma non deve lasciar trasparire nulla.
Ce l'ha quasi fatta.
Un paio di volte Guenda ha vomitato in negozio di mattina, appena arrivata. Nessuna delle altre se n'è accorta, per fortuna.
Ha acquistato un test di gravidanza.
Un mattino di sole freddo si è chiusa nel bagno del negozio ed ha chiesto a quel Dio in cui non crede di far colorare il tampone bianco che tiene tra le mani tremanti. Il respiro si è fatto corto e tagliente, freddo sulle labbra.
Lo sguardo scende lento verso il pube. Il liquido caldo riscalda le dita gelate dalla paura. Un sospiro lungo quanto l'attesa, poi gli occhi si spalancano ed un urlo non si contiene e riempie il minuscolo bagno facendo trasalire le sue colleghe.
Si è tinto di rosa.
Mezza giornata di permesso e Guenda sale sul regionale delle 16.48, bella oltre ogni dire, pronta a recarsi presso l'azienda in cui lavora Alex. Va messo di fronte alle proprie responsabilità. Immediatamente.
Ore 18.
I cancelli dello stabilimento stanno per aprirsi per il cambio di personale del turno pomeridiano. Il cuore batte svelto. Le auto sportive che dimoravano sul marciapiedi di fronte alla sua vetrina, parcheggiate al sole, presso la palazzina della direzione. Guenda respira, sistema la scollatura e va verso la reception dell'azienda che assomiglia incredibilmente a quella di un hotel di lusso.
A riceverla una segretaria bionda, auricolare e microfono aderenti alla guancia destra ed il tono metallico di un vecchio robot nelle corde vocali.
− Avrei bisogno di conferire con Alex Bianco, il direttore di produzione.
La bionda le risponde senza degnarla di uno sguardo che nessun signor Bianco rientra nel novero dei funzionari dell'azienda.
− Ci deve essere un malinteso. Sono assolutamente certa che il signor Bianco sia direttore di produzione di questo stabilimento. Se lei non è in grado di aiutarmi, sarà bene mi faccia parlare con qualcuno che conti qualcosa.
La velenosità con cui scandisce le sillabe è proporzionale alla percezione di lama di gelido metallo che sente affondare nelle proprie membra.
− Nessun malinteso signorina. Credo sia meglio che alzi i suoi bei tacchi e sparisca prima che debba far intervenire la sicurezza. Gli unici signori Bianco che lavorano presso di noi sono Sergio, custode da quasi trent'anni ed Alessandro, suo figlio, operaio.
Guenda cammina svelta sulle caviglie sottili da puledra di razza. Scavalca il banco dalla reception ignorando le urla dell'automa in abiti femminili e segue la freccia che riporta la dicitura produzione, accompagnata dal rumore potente di una sirena. Le porte metalliche dei magazzini paiono spalancarsi al suo cospetto.
Grande è lo stupore dei lavoratori in tuta e caschetto giallo, che vedono comparire di fronte ai loro occhi la ragazza più bella che abbiano mai immaginato. Lì, nella fabbrica, settore produzione, una meraviglia mora, alta, magra, capelli neri raccolti in uno chignon da cui pendono morbidamente sulla scapola destra, scoperta da un vestito rosso che aderisce maliziosamente ai seni splendidi.
Nessuno osa dire una parola nemmeno quando Guenda individua Alessandro dietro una pila di scatoloni di cartoni e gli sputa in faccia. La recente fama di seduttore diffusasi tra i colleghi svanisce nell'enormità di quel gesto.
Per oltre due mesi Alessandro tenta di parlarle. Di inventare una spiegazione. Una giustificazione. Qualcosa.
Invano.
Si sono sposati immediatamente dopo la nascita della bambina che Guenda ha battezzato Alba, come sua nonna. La cerimonia è costata tutti i risparmi di Alessandro. Soprattutto il vestito da sposa, rigorosamente bianco, che Guenda ha preteso di gran pregio.
Nell'aria, una nuova primavera.
Alba è una creatura splendida come sua madre. Manine bianche, che sembrano di cera e due schegge di carbone al posto degli occhi. Alessandro la porta a passeggio quasi tutti i giorni. Ha ottenuto dall'azienda il congedo parentale e si occupa della piccola praticamente da solo.
Spinge la carrozzina per i parchi e le vie del centro fino ai viali dello shopping e delle boutiques. Cammina lento, distratto. Si guarda intorno insistentemente, quasi ad invocare uno sguardo di donna che gli offra conferme alla propria autostima infranta. Del suo fisico aitante, soltanto l'ombra sfumata.
Di tanto in tanto giunge nei pressi del negozio in cui ancora lavora Guenda.
Il parto non l'ha intaccata. La sua linea, perfetta come sempre. Il portamento anche. Criniera corvina al vento, ella staziona sulla porta del negozio osservando sprezzante il mondo che la circonda.
Quando suo marito e sua figlia passano per la via lanciando occhiate bramose di un sorriso, lei distoglie lo sguardo e finge di sistemare i manichini in vetrina. Lascia che essi scivolino via, ingoiati dalla folla che tutto digerisce e torna ad esporsi agli sguardi ed all'ammirazione dei passanti. Ed all'invidia delle loro donne.
Superba nel suo tailleur rosa nuovissimo, di fronte ai clienti di riguardo cerca di far scomparire in una profusione di sorrisi di circostanza la piccola ruga che è recentemente comparsa tra la sua bocca da sogno e la guancia destra.
Le colleghe la osservano silenziose. In agguato.
È quasi ora dell'insalata.
Di nuovo in trincea.
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