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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Alex Pietrogiacomi

Una favola

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Dedicata ad M.G.



Il lupo vide il sacco muoversi all'improvviso e scattò all'indietro tirandosi sulle zampe anteriori e mostrando i denti.

Il sacco si girò di scatto e poi si fermò di nuovo.

Avvicinato il muso percepì l'odore di vita del suo contenuto e cautamente sciolse il legaccio che avvolgeva la sommità aprendo così lo scuro involucro di pelle nera.

Infilando il naso tastò qualcosa di peloso come lui, ma di un peloso diverso, più morbido... non ispido e spinoso come il suo vecchio manto che ormai da troppi inverni era stato abbracciato dal sole, dalla pioggia! Era un morbido ventre che si muoveva velocemente, ma in modo stremato, come se quegli attimi veloci potessero cessare da un momento all'altro e smettere di essere.

I denti divennero delicati e tirarono fuori quel pelo ansimante.

Davanti agli occhi grigi del lupo c'era una gatta. Gli occhi chiusi alla ricerca di aria, il pelo nero e lucido per lo sforzo di tirarsi fuori. Esile ed elegante giaceva davanti a lui con una zampa rattrappita forse per il troppo dimenarsi.

Appena la gatta riuscì a dischiudere gli occhi i suoi grandi riflessi incrociarono quelli del lupo che spostò la testa da un lato. Nemmeno per un istante ci fu paura o faida tra le due razze.

La gatta si lasciò trasportare per la collottola nella tana del grosso cacciatore dove venne messa in un comodo giaciglio di foglie.

Il lupo si accucciò accanto a lei e vegliò il suo sonno che non tardò ad arrivare.

Al mattino l'odore del cibo svegliò il naso della nera signora, che provò a drizzarsi sulle quattro zampe per dover subito tornare sdraiata. La gamba era ferita.

Il naso del lupo fu un cameriere reverenziale nell'avvicinare il pesce alle grinfie della gatta che lo divorò subito e la stanchezza tornò a trovare i sensi della sventurata.

Durante il sonno la grossa lingua di Lupo curava la zampa artigliata.

Durante il giorno veniva portato il cibo, la sera i due si avvicinavano e veniva somministrata la cura dei baci della foresta fino al calare del sonno.

Il vecchio lupo era irsuto, duro, con una profonda ferita sull'occhio che la gatta restava spesso a guardare in silenzio quando con il muso si avvicinava alla zampa.

I due si osservavano, vivevano insieme, restavano vicini ore. Senza parlare. Senza conoscere alcuna lingua se non quella della propria razza. Muti nella loro diversità le due vite stavano diventando una.

Il lupo dopo anni di solitudine dalla morte della compagna aveva di nuovo qualcuno accanto. La gatta, per la prima volta, viveva una casa e una famiglia che non fosse interessata a farla giocare con bandoli o a stuzzicarla con stupide carezze mentre dormiva.

La cura andava avanti ma non soltanto per la zampa. Qualcosa si ricuciva nel cuore del lupo, nell'animo del cacciatore.

Quando lui dormiva la gatta si avvicinava con la testa, si strusciava e faceva le fusa. Era il conforto di un sonno di pace, lontano dall'apprensione di un agguato degli uomini.

Mesi dopo la vita dei due poteva dirsi un'unica. La zampa guarì. La gatta saltò in piedi e balzò sopra il lupo che felice si gettò a terra su di un fianco leccandola come un cucciolo.

La gatta rotolò sul largo ventre e poi si mise di nuovo in piedi e guardò l'uscita.

Il lupo girò la testa. Si alzò e insieme si diressero verso il mattino.

Il nero mantello luccicava come lo sguardo che tornava a vedere il mondo.

I due si guardarono e silenziosamente il lupo tornò dentro mentre la gatta corse tra gli alberi.

Ci sono amori che non hanno bisogno di parole, di razze, di storie, di linguaggi.

Ci sono amori che durano l'eternità di un saluto e che nessuno può descrivere.

Nemmeno questa storia.







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