RECENSIONI
Danilo Arona
L'estate di Montebuio
Gargoyle books, Pag. 482 Euro 13,50
Partirei da qui: Quell'ammasso, quell'onda di morte che avanza sospinta dalla forza di un astro invisibile, altro non è che una metafora. Potente quanto banale. Perché poi, alla fine, il Male è banale. (Pag.447).
Sì, sulla banalità del male, senza finalità horror, anche se l'orrore era in quello che la Storia aveva mostrato, la Arendt ha dato il suo notevole contributo quando parlò della figura di Eichmann, il gerarca nazista, che alla fine del processo di Gerusalemme lo si vide condannato a morte per crimini contro l'umanità. Ed è strano che una considerazione del genere si trovi in un siffatto romanzo. Intendiamoci: chi ci conosce sa che gli orchi non invalidano i generi, anzi, ne sono paladini, perché spesso la letteratura più'commerciale' è quella che in qualche modo s'insinua più subdolamente. La narrativa più culturalmente sbandierata ha i suoi limiti proprio nella riproposizione mummificata e ammuffita di istanze pseudo-esistenziali. E legittima la violenza del mondo quando crede di poterla combattere con istanze false ed ipocrite.
Viva la faccia dell'horror che pur 'giocando' con meccanismi facili, sbattendo in faccia al lettore il 'perturbante' semmai lo dequalifica.
Di Arona non avevo letto nulla in precedenza, certo è che con questo romanzo si presenta – e se proprio vogliamo etichettarlo – come lo Stephen King italico (lui stesso cita più volte il maestro del Maine nelle pagine del suo libro come una sorte di nume tutelare).
E' una storia composta come scatole cinesi, come un'enorme matrioska di legno colorato: in un contenitore ce ne sono altri più piccoli che formano una struttura egualmente indicativa sia se la si voglia prendere dal lato più capiente, sia da quello più ristretto.
E' un gioco letterario fatto di rimandi e di falso autobiografismo, dove ritroviamo 'topoi' del grandguignol più consolidato ed efferato, spesso di stampo americano, ma che Arona trasforma – ma si sente che la trasformazione non è una necessità para-nazionale o come direbbero i leghisti, locale – in una 'realtà' più vicina a noi, perché l'autore vive i suoi luoghi e le sue radici culturali.
Difficile – ed è un bene – tratteggiare in breve la trama di L'estate di Montebuio (già il titolo però richiama riferimenti simmonsiani). Se ne può tentare una soluzione quasi 'dattilografata': la sparizione di una ragazzina di undici anni nel 1963, il ritrovamento del suo corpo 'mummificato' quarantacinque anni dopo, le relative indagini, un paese sull'Appennino ligure quantomeno misterioso, un collegio che racchiude mostruose verità, ed uno scrittore che sembra aver capito il senso ultimo della vita e dei suoi orrori.
Quasi cinquecento pagine giocate (uso spesso questo termine, ma nel caso in questione è quanto mai centrato: Arona ha dato la perfetta idea, scrivendo il suo romanzo, di essersi baloccato col genere avendone rispetto e passione) sul filo dell'ambiguità: se non fossi sicuro che qualcuno potrebbe ridermi dietro, lo etichetterei (e lo faccio) come un tentativo di neorealismo-horror. Nel senso di una storia di tutti i giorni: e quest'ultimi difficili restituiscono oltre che una parvenza di disperazione, la disperazione stessa che diventa paura del male. O come si diceva all'inizio, della banalità del male.
Insomma descrive la vita, no?
di Alfredo Ronci
Sì, sulla banalità del male, senza finalità horror, anche se l'orrore era in quello che la Storia aveva mostrato, la Arendt ha dato il suo notevole contributo quando parlò della figura di Eichmann, il gerarca nazista, che alla fine del processo di Gerusalemme lo si vide condannato a morte per crimini contro l'umanità. Ed è strano che una considerazione del genere si trovi in un siffatto romanzo. Intendiamoci: chi ci conosce sa che gli orchi non invalidano i generi, anzi, ne sono paladini, perché spesso la letteratura più'commerciale' è quella che in qualche modo s'insinua più subdolamente. La narrativa più culturalmente sbandierata ha i suoi limiti proprio nella riproposizione mummificata e ammuffita di istanze pseudo-esistenziali. E legittima la violenza del mondo quando crede di poterla combattere con istanze false ed ipocrite.
Viva la faccia dell'horror che pur 'giocando' con meccanismi facili, sbattendo in faccia al lettore il 'perturbante' semmai lo dequalifica.
Di Arona non avevo letto nulla in precedenza, certo è che con questo romanzo si presenta – e se proprio vogliamo etichettarlo – come lo Stephen King italico (lui stesso cita più volte il maestro del Maine nelle pagine del suo libro come una sorte di nume tutelare).
E' una storia composta come scatole cinesi, come un'enorme matrioska di legno colorato: in un contenitore ce ne sono altri più piccoli che formano una struttura egualmente indicativa sia se la si voglia prendere dal lato più capiente, sia da quello più ristretto.
E' un gioco letterario fatto di rimandi e di falso autobiografismo, dove ritroviamo 'topoi' del grandguignol più consolidato ed efferato, spesso di stampo americano, ma che Arona trasforma – ma si sente che la trasformazione non è una necessità para-nazionale o come direbbero i leghisti, locale – in una 'realtà' più vicina a noi, perché l'autore vive i suoi luoghi e le sue radici culturali.
Difficile – ed è un bene – tratteggiare in breve la trama di L'estate di Montebuio (già il titolo però richiama riferimenti simmonsiani). Se ne può tentare una soluzione quasi 'dattilografata': la sparizione di una ragazzina di undici anni nel 1963, il ritrovamento del suo corpo 'mummificato' quarantacinque anni dopo, le relative indagini, un paese sull'Appennino ligure quantomeno misterioso, un collegio che racchiude mostruose verità, ed uno scrittore che sembra aver capito il senso ultimo della vita e dei suoi orrori.
Quasi cinquecento pagine giocate (uso spesso questo termine, ma nel caso in questione è quanto mai centrato: Arona ha dato la perfetta idea, scrivendo il suo romanzo, di essersi baloccato col genere avendone rispetto e passione) sul filo dell'ambiguità: se non fossi sicuro che qualcuno potrebbe ridermi dietro, lo etichetterei (e lo faccio) come un tentativo di neorealismo-horror. Nel senso di una storia di tutti i giorni: e quest'ultimi difficili restituiscono oltre che una parvenza di disperazione, la disperazione stessa che diventa paura del male. O come si diceva all'inizio, della banalità del male.
Insomma descrive la vita, no?
di Alfredo Ronci
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Danilo Arona
Rock. I delitti dell'uomo nero
Edizioni della Sera, Pag. 470 Euro 15, 00Ha ragione Maurizio De Giovanni sulla fascetta di copertina. Quella di Danilo Arona è una "lucida e allucinata narrazione". Che, aggiungo, dona a questo suo romanzo 'giovanile' un che di straordinario che ti mette in trappola. Sì perché Rock. I delitti dell'uomo nero non è solo un gran bel romanzo (e se la casa editrice fosse stata attenta ai refusi sarebbe stato ancora meglio), ma è una storia noir tutta italiana ma di perfetto respiro internazionale che riesce a districarsi con agilità fra l'horror e il thriller per trattare un grande tema; uno di quelli da appassionati.
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