CLASSICI
Alfredo Ronci
Un genio a volte incompreso: “La vita agra” di Luciano Bianciardi.
Voglio iniziare questo omaggio a Bianciardi con un commento che Paolo di Valmarana, giornalista de Il Corriere della sera fece, il 24 aprile del 1964, al film La vita agra di Carlo Lizzani: Accade così che la storia risulti infarcita di episodietti e macchiette melensi e farraginosi… La vita agra è dunque un film molto discontinuo, e dove, però, le buone intenzioni escono largamente sconfitte… il manierismo prende il sopravvento, e finisce per soffocare tutto, il discorso si spezzetta, il dialogo scade, e chiede vano aiuto al repertorio fisiologico, e tutto cala di tono.
E’ un intervento che Paolo Mereghetti ha riportato, insieme ad altri interventi, sul film tratto da Bianciardi. Non mi scosterei da quello nemmeno di una virgola, anzi, il sottoscritto ha sempre pensato che La vita agra non fosse cinematograficamente realizzabile. Per carità certi avvenimenti erano anche rappresentabili, ma è troppo lunga la serie di pensieri (opere ed omissioni, mi verrebbe da dire) e di riflessioni che, forse, a realizzare la pellicola doveva essere assolutamente un altro, o come insisto, nessuno.
Ma chi era Bianciardi? Nato a Grosseto nel 1922, pubblica La vita agra nel 1962. Ex azionista e distratto fiancheggiatore del PCI (così lo definisce Matteo Marchesini nell’introduzione al volumone – 1482 pagine totali – che la figlia Luciana gli ha dedicato e intitolato Il cattivo profeta) in realtà è sempre passato per un anarchico e un contestatore a tutti gli effetti, sulla cui sovversività si è anche troppo giocato (un esempio? Sempre su Il cattivo profeta c’è una foto con sotto scritto “Milano. 1964. A disagio con Alberto Bevilacqua al cocktail di presentazione della Battaglia soda. Peccato però che in quella foto Bianciardi sorrida.).
Ma lui stesso gioca sulla nomea che, involontariamente, s’è fatta. Proprio su La vita agra scrive: No, hanno ragione quelli che dicono che io sono rozzo, che non mi so muovere. E’ vero, io non so nemmeno camminare, e una volta mi arrestarono per strada, soltanto perché non so camminare. E poi m licenziarono, per lo stesso motivo.
Ma proprio perché contestatore e sovversivo che scrive La vita agra? Personalmente ritengo le prime quaranta pagine del libro un vero e proprio capolavoro letterario (forse per questo che il romanzo ha sempre mantenuto nel tempo una dirittura che molti altri non hanno potuto esibire?), ma tutta la sequenza degli avvenimenti (intesi bianciardamente) lo fanno prodotto indispensabile e necessario.
E di cosa parla? Il protagonista è un uomo con piccoli impieghi che dopo essere stato licenziato decide di abbandonare il luogo in cui vive, Grosseto, per trasferirsi a Milano anche con l’intento di vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro. Ma a Milano, causa anche il rapporto che ha con una donna, che non è quella che ha lasciato a casa con figlio a carico, non trova altra soluzione che quella di arrabattarsi in traduzioni per editori che spesso non lo pagano in tempo e rimuginando in continuazione sul suo essere mediocre.
Tutto qua, non credo che per la trama ci sia niente altro da aggiungere. Semmai il contrario: cioè una serie di idee e visioni sulla contemporaneità che lasciano di stucco anche quei lettori che si avvicinano ora, nel 2024, a confrontarsi col libro.
Ma io aggiungerei anche altro: il romanzo è sì un colpo apportato alla società di allora e al boom economico (o meglio, al “miracolo italiano”), ma è anche una stupefacente parata di ritratti di persone che lasciano completamente di stucco sempre il lettore di oggi (ovviamente pensando allo “stucco” di quelli di ieri). Un esempio: Carlone misurava un metro e ottanta, non lo nego, ma non per questo era un uomo davvero alto, un uomo come me; era lungo e greve di tronco, insomma, ma corto di gambe e basso di sedere, proprio come si conviene, del resto, a un giocatore di rugby, che deve offrire il minor appiglio possibile al placcaggio avversario. Forse è per questo che non portava mai i calzoni del pigiama (la misura della giacca non poteva combinare con la lunghezza dei calzoni, infatti) e coricandosi mostrava, proprio sull’osso sacro, un ciuffetto di peli, come un residuo di peli.
Ovviamente non possiamo trattare un capolavoro letterario riportando singoli porzioni di ritratti. Certo che no. Ma La vita agra, che è stata centellinata dai grandi della nostra letteratura, forse poteva ancora reggere il confronto con i grandi incensandolo anche per altre sottili dinamiche.
Speriamo di esserci riusciti e di invitare il lettore, quello dei nostri giorni, a cercare il libro, a conservarlo e, se proprio necessario, ad accostarlo ad altri capolavori del novecento letterario.
L’edizioni da noi considerata è:
Luciano Bianciardi
La vita agra
Rizzoli
E’ un intervento che Paolo Mereghetti ha riportato, insieme ad altri interventi, sul film tratto da Bianciardi. Non mi scosterei da quello nemmeno di una virgola, anzi, il sottoscritto ha sempre pensato che La vita agra non fosse cinematograficamente realizzabile. Per carità certi avvenimenti erano anche rappresentabili, ma è troppo lunga la serie di pensieri (opere ed omissioni, mi verrebbe da dire) e di riflessioni che, forse, a realizzare la pellicola doveva essere assolutamente un altro, o come insisto, nessuno.
Ma chi era Bianciardi? Nato a Grosseto nel 1922, pubblica La vita agra nel 1962. Ex azionista e distratto fiancheggiatore del PCI (così lo definisce Matteo Marchesini nell’introduzione al volumone – 1482 pagine totali – che la figlia Luciana gli ha dedicato e intitolato Il cattivo profeta) in realtà è sempre passato per un anarchico e un contestatore a tutti gli effetti, sulla cui sovversività si è anche troppo giocato (un esempio? Sempre su Il cattivo profeta c’è una foto con sotto scritto “Milano. 1964. A disagio con Alberto Bevilacqua al cocktail di presentazione della Battaglia soda. Peccato però che in quella foto Bianciardi sorrida.).
Ma lui stesso gioca sulla nomea che, involontariamente, s’è fatta. Proprio su La vita agra scrive: No, hanno ragione quelli che dicono che io sono rozzo, che non mi so muovere. E’ vero, io non so nemmeno camminare, e una volta mi arrestarono per strada, soltanto perché non so camminare. E poi m licenziarono, per lo stesso motivo.
Ma proprio perché contestatore e sovversivo che scrive La vita agra? Personalmente ritengo le prime quaranta pagine del libro un vero e proprio capolavoro letterario (forse per questo che il romanzo ha sempre mantenuto nel tempo una dirittura che molti altri non hanno potuto esibire?), ma tutta la sequenza degli avvenimenti (intesi bianciardamente) lo fanno prodotto indispensabile e necessario.
E di cosa parla? Il protagonista è un uomo con piccoli impieghi che dopo essere stato licenziato decide di abbandonare il luogo in cui vive, Grosseto, per trasferirsi a Milano anche con l’intento di vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro. Ma a Milano, causa anche il rapporto che ha con una donna, che non è quella che ha lasciato a casa con figlio a carico, non trova altra soluzione che quella di arrabattarsi in traduzioni per editori che spesso non lo pagano in tempo e rimuginando in continuazione sul suo essere mediocre.
Tutto qua, non credo che per la trama ci sia niente altro da aggiungere. Semmai il contrario: cioè una serie di idee e visioni sulla contemporaneità che lasciano di stucco anche quei lettori che si avvicinano ora, nel 2024, a confrontarsi col libro.
Ma io aggiungerei anche altro: il romanzo è sì un colpo apportato alla società di allora e al boom economico (o meglio, al “miracolo italiano”), ma è anche una stupefacente parata di ritratti di persone che lasciano completamente di stucco sempre il lettore di oggi (ovviamente pensando allo “stucco” di quelli di ieri). Un esempio: Carlone misurava un metro e ottanta, non lo nego, ma non per questo era un uomo davvero alto, un uomo come me; era lungo e greve di tronco, insomma, ma corto di gambe e basso di sedere, proprio come si conviene, del resto, a un giocatore di rugby, che deve offrire il minor appiglio possibile al placcaggio avversario. Forse è per questo che non portava mai i calzoni del pigiama (la misura della giacca non poteva combinare con la lunghezza dei calzoni, infatti) e coricandosi mostrava, proprio sull’osso sacro, un ciuffetto di peli, come un residuo di peli.
Ovviamente non possiamo trattare un capolavoro letterario riportando singoli porzioni di ritratti. Certo che no. Ma La vita agra, che è stata centellinata dai grandi della nostra letteratura, forse poteva ancora reggere il confronto con i grandi incensandolo anche per altre sottili dinamiche.
Speriamo di esserci riusciti e di invitare il lettore, quello dei nostri giorni, a cercare il libro, a conservarlo e, se proprio necessario, ad accostarlo ad altri capolavori del novecento letterario.
L’edizioni da noi considerata è:
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