RECENSIONI
Patrick DeWitt
Arrivano i Sister
Neri Pozza, Pag. 301 Euro 17,00
Arrivano i Sister è un divertente, godibilissimo romanzo di Patrick DeWitt, tradotto dall'ottimo Marco Rossari per Neri Pozza Editore, collana Bloom.
Non è il primo libro dell'autore canadese, classe 1975. C'era già stato Abluzioni, da noi sempre per l'editore vicentino, e al riguardo la critica aveva richiamato i nomi di Charles Bukowski e John Fante, filiazione arbitraria secondo quanto ha recentemente dichiarato lo stesso autore, che si era limitato a raccontare storie di alzate di gomito dalle parti di Hollywood.
Nel romanzo in oggetto, finalista al Booker Prize 2011, il west è quello della caccia all'oro, difatti siamo a metà dell'Ottocento – e pure qui le sbronze non mancanco. Ma il cercatore d'oro della storia è braccato a sua volta dai sicari di Commodore, il boss della situazione, e uno dei due Sister, il minore, non ne può più. Ha sparato abbastanza nella vita. Vorrebbe mandare al diavolo questo suo mestiere faticoso e il greve fratello del quale appare un contraltare classico secondo tipologia cara alle narrazioni di personaggi opposti costretti a coabitare nella stessa storia. Eli dovrà sopportarsi Charlie in un estenuante on the road dall'Oregon alla California, fra strade fangose e locande sghembe, in cui si accumulano accidenti di ogni tipo, giusta la fauna in cui si imbattono di sbandati e furfanti assortiti – compreso un povero grizzly appena uscito dal letargo che fa l'errore di pensare al da farsi un momento di troppo, sufficiente per Eli, incaricato di raccontare la storia, di piazzargli "due pallottole in faccia e due in pieno petto". E quanto a stravaganza, non farà eccezione Warm, il più strampalato di tutti, il cercatore d'oro che è l'obbiettivo vero dell'avventura.
In realtà il clima, il tono, l'ambientazione sono quelli di un western alla Coen, i fratelli cineasti chiamati in causa più a proposito e non senza un'evidente scaltrezza non sapremmo se programmatica: ché l'umorismo e le storiacce del romanzo sembrano insomma pronte per il cinema. Ma quel che conta è che i personaggi sono convincenti e non macchiette, che Dewitt non sacrifica alla chance di un film eventuale, anzi probabile, una qualche cifra letteraria che appare piuttosto solida e del tutto autonoma e autosufficiente. Sia dal punto di vista narrativo che stilistico, sia nello sguardo che nella capacità di modulare i toni. Dei dialoghi soprattutto, che innervano il tessuto complessivo del romanzo. Che va al di là dell'esibizione di una violenza spettacolarizzata ossia depotenziata dal comico e conosce anche momenti narrativi più distesi e persino malinconici.
di Michele Lupo
Non è il primo libro dell'autore canadese, classe 1975. C'era già stato Abluzioni, da noi sempre per l'editore vicentino, e al riguardo la critica aveva richiamato i nomi di Charles Bukowski e John Fante, filiazione arbitraria secondo quanto ha recentemente dichiarato lo stesso autore, che si era limitato a raccontare storie di alzate di gomito dalle parti di Hollywood.
Nel romanzo in oggetto, finalista al Booker Prize 2011, il west è quello della caccia all'oro, difatti siamo a metà dell'Ottocento – e pure qui le sbronze non mancanco. Ma il cercatore d'oro della storia è braccato a sua volta dai sicari di Commodore, il boss della situazione, e uno dei due Sister, il minore, non ne può più. Ha sparato abbastanza nella vita. Vorrebbe mandare al diavolo questo suo mestiere faticoso e il greve fratello del quale appare un contraltare classico secondo tipologia cara alle narrazioni di personaggi opposti costretti a coabitare nella stessa storia. Eli dovrà sopportarsi Charlie in un estenuante on the road dall'Oregon alla California, fra strade fangose e locande sghembe, in cui si accumulano accidenti di ogni tipo, giusta la fauna in cui si imbattono di sbandati e furfanti assortiti – compreso un povero grizzly appena uscito dal letargo che fa l'errore di pensare al da farsi un momento di troppo, sufficiente per Eli, incaricato di raccontare la storia, di piazzargli "due pallottole in faccia e due in pieno petto". E quanto a stravaganza, non farà eccezione Warm, il più strampalato di tutti, il cercatore d'oro che è l'obbiettivo vero dell'avventura.
In realtà il clima, il tono, l'ambientazione sono quelli di un western alla Coen, i fratelli cineasti chiamati in causa più a proposito e non senza un'evidente scaltrezza non sapremmo se programmatica: ché l'umorismo e le storiacce del romanzo sembrano insomma pronte per il cinema. Ma quel che conta è che i personaggi sono convincenti e non macchiette, che Dewitt non sacrifica alla chance di un film eventuale, anzi probabile, una qualche cifra letteraria che appare piuttosto solida e del tutto autonoma e autosufficiente. Sia dal punto di vista narrativo che stilistico, sia nello sguardo che nella capacità di modulare i toni. Dei dialoghi soprattutto, che innervano il tessuto complessivo del romanzo. Che va al di là dell'esibizione di una violenza spettacolarizzata ossia depotenziata dal comico e conosce anche momenti narrativi più distesi e persino malinconici.
di Michele Lupo
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