RECENSIONI
Marek Edelman
C'era l'amore nel ghetto
Sellerio, Pag. 176 Euro 11,00
Nell'aprile del '42, una notte, i tedeschi entrarono nel ghetto a sorpresa e tirarono fuori dalle loro abitazioni 52 persone che fucilarono seduta stante nei portoni delle loro case. Fu l'inizio delle azioni di terrore.
Non sarà certamente l'ultimo, anche se ormai della generazione che ha vissuto personalmente l'Olocausto ne sono rimasti davvero pochi, a raccontare della follia di quel periodo, ma Marek Edelman ci ha lasciato (2 ottobre del 2009) pochi giorni prima del suo arrivo in Italia, arrivo in previsione della presentazione del suo libro di memorie.
Memorie che in qualche modo vogliono sfatare un luogo comune: quello dell'arrendevolezza delle popolazioni ebraiche. La Storia, ma soprattutto i mezzi di comunicazione, ci hanno 'tramandato' immagini e film in cui un intero popolo sembra destinato al massacro nella totale 'docilità', nella totale sottomissione. In realtà le cose andarono diversamente, basti pensare all'inserruzione del ghetto di Varsavia che durò, nonostante la smisurata sproporzione di forze, dal 19 aprile del '43 fino al 10 maggio successivo e fu inoltre la prima rivolta armata contro i tedeschi sul suolo dell'Europa occupata (pensiamo alla disfatta, nella totale passività, della Francia del '40 e al tradimento di Vichy). Di quei giorni Edelman scrive: Eppure voglio parlare, anche se della maggior parte delle vicende potevo sapere solo per sentito dire, poiché vivevo al margine e non avevo altri, migliori contatti. Forse con l'età il silenzio mi disturba di più? Basta però con questo sospirare.
Ma Edelman, in realtà, non fu uno spettatore parziale. Dice di lui Adriano Sofri e Wlodek Goldkorn nell'introduzione: cardiologo, uomo che partecipa attivamente alla politica del suo paese – il suo paese nonostante tutto, la Polonia – ex militante di partito di un popolo assassinato nelle camere a gas, ex combattente e comandante dell'intrepida insurrezione armata di una manciata di armi irrisorie; quando viene a sapere che si sta per scrivere un testo su di lui, dice: "Però, per favore, non fate di me un eroe".
Infatti nel libro Edelman rappresenta un mondo al di fuori di atti eroici: solo di una resistenza appassionata atta alla sopravvivenza. Ed una sentita, reverente, dolorosa lista di luoghi del cuore (vie, vicoli, scuole... il ghetto!) che nel momento in cui vengono stravolti dalla crudeltà e dalla violenza degli avversari, acquistano il significato di una presenza impressionante non soltanto geografica.
Non può però impederci il confronto con lo strazio delle persone, come nella scena della bambina che ricorda assai i fotogrammi dell'infante a colori del film di Spielberg Schindler's list: Con il capo appoggiato contro il muro aspetta che il giorno seguente vengano a prenderla e la gettino sul carretto con altri cadaveri. Le toglieranno prima il cappottino tutto pulito che portava anche se era estate, le scarpe e la camicetta e la butteranno sul carretto colmo di cadaveri nudi.
Il libro termina col capitolo 'Bisogna che rimanga di loro qualche traccia' un elenco, in ordine alfabetico, di persone che non hanno fatto la storia, ma paradossalmente 'la vita' nonostante a molti di loro sia stata tolta con la violenza e con l'assurda ostentazione di una folle superiorità razziale.
Un pezzo di memoria breve, ma commovente e straziante.
di Alfredo Ronci
Non sarà certamente l'ultimo, anche se ormai della generazione che ha vissuto personalmente l'Olocausto ne sono rimasti davvero pochi, a raccontare della follia di quel periodo, ma Marek Edelman ci ha lasciato (2 ottobre del 2009) pochi giorni prima del suo arrivo in Italia, arrivo in previsione della presentazione del suo libro di memorie.
Memorie che in qualche modo vogliono sfatare un luogo comune: quello dell'arrendevolezza delle popolazioni ebraiche. La Storia, ma soprattutto i mezzi di comunicazione, ci hanno 'tramandato' immagini e film in cui un intero popolo sembra destinato al massacro nella totale 'docilità', nella totale sottomissione. In realtà le cose andarono diversamente, basti pensare all'inserruzione del ghetto di Varsavia che durò, nonostante la smisurata sproporzione di forze, dal 19 aprile del '43 fino al 10 maggio successivo e fu inoltre la prima rivolta armata contro i tedeschi sul suolo dell'Europa occupata (pensiamo alla disfatta, nella totale passività, della Francia del '40 e al tradimento di Vichy). Di quei giorni Edelman scrive: Eppure voglio parlare, anche se della maggior parte delle vicende potevo sapere solo per sentito dire, poiché vivevo al margine e non avevo altri, migliori contatti. Forse con l'età il silenzio mi disturba di più? Basta però con questo sospirare.
Ma Edelman, in realtà, non fu uno spettatore parziale. Dice di lui Adriano Sofri e Wlodek Goldkorn nell'introduzione: cardiologo, uomo che partecipa attivamente alla politica del suo paese – il suo paese nonostante tutto, la Polonia – ex militante di partito di un popolo assassinato nelle camere a gas, ex combattente e comandante dell'intrepida insurrezione armata di una manciata di armi irrisorie; quando viene a sapere che si sta per scrivere un testo su di lui, dice: "Però, per favore, non fate di me un eroe".
Infatti nel libro Edelman rappresenta un mondo al di fuori di atti eroici: solo di una resistenza appassionata atta alla sopravvivenza. Ed una sentita, reverente, dolorosa lista di luoghi del cuore (vie, vicoli, scuole... il ghetto!) che nel momento in cui vengono stravolti dalla crudeltà e dalla violenza degli avversari, acquistano il significato di una presenza impressionante non soltanto geografica.
Non può però impederci il confronto con lo strazio delle persone, come nella scena della bambina che ricorda assai i fotogrammi dell'infante a colori del film di Spielberg Schindler's list: Con il capo appoggiato contro il muro aspetta che il giorno seguente vengano a prenderla e la gettino sul carretto con altri cadaveri. Le toglieranno prima il cappottino tutto pulito che portava anche se era estate, le scarpe e la camicetta e la butteranno sul carretto colmo di cadaveri nudi.
Il libro termina col capitolo 'Bisogna che rimanga di loro qualche traccia' un elenco, in ordine alfabetico, di persone che non hanno fatto la storia, ma paradossalmente 'la vita' nonostante a molti di loro sia stata tolta con la violenza e con l'assurda ostentazione di una folle superiorità razziale.
Un pezzo di memoria breve, ma commovente e straziante.
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