RECENSIONI
Alessandro Berselli
Cattivo
Perdisapop, Pag.119 Euro 9,00
Sotto il cappello della semplicità. Perché fuori diluvia e cosa fai se non vuoi prendere l'acqua? Cerchi un riparo. Lo dice pure il protagonista di questo libriccino: Metti un uomo che spara e uno che muore. Così capiscono tutti, e non c'è nulla da stare a pontificare. Abbiamo perso la capacità di essere semplici. Sovrastrutture, pensieri senza senso. Ho fumato troppo. Meglio andare a dormire.
Direi di sì, glielo suggerirei anch'io, perché la notte in genere porta consiglio.
Pochi giorni fa abbiamo recensito Da soli in mezzo al campo, splendido ed 'elementare' romanzo del nostro Angelini: qui siamo da quelle parti, dalle parti cioè di una giovinezza persa e smodata, priva di quegli appigli culturali che costituiscono la forza per poter risalire la corrente (e beccateve la metafora); ma se nella storia dell'orco i pochi anni avevano un contraltare (che non era la maturità o le tante primavere alle spalle, ma una weltanschauung più civile e consolidata), nella trama di Berselli non vi è riscatto, ma solo una lenta discesa negli inferi.
Insomma: un ragazzo, per noia, per soldi, per amoralità, per spregio, per... durante una rapina con un amico commette un omicidio, uccide una bambina pakistana che era tenuta nascosta dal padre perché non fosse scoperta (e non c'erano ancora le nuove leggi sulla clandestinità del governo Berlusconi...).
Non funziona: soprattutto per i motivi di cui sopra. Secondo me l'autore, attraverso le parole del protagonista, eleva a tesi le sconclusionate idee del ragazzo: le fa sue perché crede davvero che questo sia il tempo della semplicità della domanda e dell'offerta, secondo una visione della società, che vuole una cultura liquida moderna (che) non ha persona da coltivare, ma clienti da sedurre.
Sta proprio qui il nocciolo della questione (al di là della sempieterna domanda: ma 'sto noir non ha rotto forse i coglioni?): davvero quello che ci aspetta nel futuro sarà una letteratura figlia del degrado e della cultura di massa? Davvero saremo sommersi dai faletti-danbrown-mazzantini (si noti per cortesia la 'fasciola' volutamente aggregata) senza cui poter opporre non dico gli aforismi schopenhaueriani, macchessò, le marchette mondadoriane alla Augias?
Poi mi perdoni il Berselli, ma non funzionano, nella storia, nemmeno i riferimenti musicali del protagonista: Child in time è il mio manuale di educazione musicale. Undici minuti perfetti – Ian Gillan che arriva con la voce dove nessuno può arrivare, e Blackmore che mentre suona la chitarra parla con Dio. Qui l'autore smaschera la sua età, ma nemmeno Bertoncelli arriverebbe a tanto: lui - il critico musicale - che è un perfetto conoscitore dei Radiohead (che anche la nuova generazione di piskelli adora, compresi i più duri di cuore), e che se proprio dovesse proporre un 'hard' non segnato dalla muffa del tempo consiglierebbe Slide away dei Giant Sand. Che non saranno un gruppo heavy metal, ma santiddio come suonano!
di Alfredo Ronci
Direi di sì, glielo suggerirei anch'io, perché la notte in genere porta consiglio.
Pochi giorni fa abbiamo recensito Da soli in mezzo al campo, splendido ed 'elementare' romanzo del nostro Angelini: qui siamo da quelle parti, dalle parti cioè di una giovinezza persa e smodata, priva di quegli appigli culturali che costituiscono la forza per poter risalire la corrente (e beccateve la metafora); ma se nella storia dell'orco i pochi anni avevano un contraltare (che non era la maturità o le tante primavere alle spalle, ma una weltanschauung più civile e consolidata), nella trama di Berselli non vi è riscatto, ma solo una lenta discesa negli inferi.
Insomma: un ragazzo, per noia, per soldi, per amoralità, per spregio, per... durante una rapina con un amico commette un omicidio, uccide una bambina pakistana che era tenuta nascosta dal padre perché non fosse scoperta (e non c'erano ancora le nuove leggi sulla clandestinità del governo Berlusconi...).
Non funziona: soprattutto per i motivi di cui sopra. Secondo me l'autore, attraverso le parole del protagonista, eleva a tesi le sconclusionate idee del ragazzo: le fa sue perché crede davvero che questo sia il tempo della semplicità della domanda e dell'offerta, secondo una visione della società, che vuole una cultura liquida moderna (che) non ha persona da coltivare, ma clienti da sedurre.
Sta proprio qui il nocciolo della questione (al di là della sempieterna domanda: ma 'sto noir non ha rotto forse i coglioni?): davvero quello che ci aspetta nel futuro sarà una letteratura figlia del degrado e della cultura di massa? Davvero saremo sommersi dai faletti-danbrown-mazzantini (si noti per cortesia la 'fasciola' volutamente aggregata) senza cui poter opporre non dico gli aforismi schopenhaueriani, macchessò, le marchette mondadoriane alla Augias?
Poi mi perdoni il Berselli, ma non funzionano, nella storia, nemmeno i riferimenti musicali del protagonista: Child in time è il mio manuale di educazione musicale. Undici minuti perfetti – Ian Gillan che arriva con la voce dove nessuno può arrivare, e Blackmore che mentre suona la chitarra parla con Dio. Qui l'autore smaschera la sua età, ma nemmeno Bertoncelli arriverebbe a tanto: lui - il critico musicale - che è un perfetto conoscitore dei Radiohead (che anche la nuova generazione di piskelli adora, compresi i più duri di cuore), e che se proprio dovesse proporre un 'hard' non segnato dalla muffa del tempo consiglierebbe Slide away dei Giant Sand. Che non saranno un gruppo heavy metal, ma santiddio come suonano!
di Alfredo Ronci
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Alessandro Berselli
Non fare la cosa giusta
Perdisa Editore, Pag. 237 Euro 15,00Esibisce un'immediatezza che è in realtà frutto di tecnica consumata. Consumata almeno in due sensi. Quello dell'esperienza, e quello del logorio a cui vanno incontro le cose troppo viste.
Siamo distanti, Erica. Ci illudiamo di capirvi ma non è mica così. Non siamo i genitori che pensiamo di essere, e non parlo solo di me e di tua madre. E' tutta la nostra generazione a essere vittima di un abbaglio. (...) Illusi e presuntuosi. Incapaci di comprendervi ci fingiamo vostri amici perché inadatti a essere genitori. Inabilitati a interpretare un ruolo ce ne inventiamo un altro. Recitandoli male tutti e due.
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