CLASSICI
Alfredo Ronci
E cosa ti fa un nuovo scrittore?: “La parte difficile” di Oreste Del Buono.
Un romanzo che è al tempo stesso di azione e di stranite atmosfere, una storia di terso e spietato vigore, un libro che non vi lascierà dormire.
Queste poche righe sono state prese dal libro di Raymond Queneau Esercizi di stile e nella traduzione, decisamente libera (ma libera davvero, e se non ci credete, andatevi a vedere l’originale, sempre se vi è possibile), di Umberto Eco.
La domanda semmai è un’altra: c’entra qualcosa il riporto con il libro di Oreste Del Buono? Avendo conosciuto gli antefatti dello scrittore e quello che per lui significava scrivere un romanzo, direi piuttosto di sì. Anche se in verità La parte difficile, prima storia pubblicata da Del Buono, è soltanto una vicenda di triste dopoguerra, niente di più.
Prima però di addentrarmi nel plot del romanzo, proprio perché spesso e volentieri sono uno che non si dà per vinto, vorrei chiarire un punto che nella storia è indicato agli inizi e che non mi ha fatto dormire (si fa per dire). Nel punto vi è scritto: Gli americani avevano sganciato la bomba atomica sulle città giapponesi. Finì la guerra.
Ora tutti sanno che le cose non furono proprio così: ormai il Giappone aveva perso la guerra ancor prima del lancio delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, (le centinaia di migliaia di vittime furono solo la prova della potenza inumana dell’esperimento nucleare) perché dunque, anche se il romanzo è scritto nel 1947, furono riportate certe considerazioni? Non credo che Del Buono abbia voluto nascondere la verità, semplicemente nel corso di una storia tutto sommato triste, il resoconto della guerra effettiva poteva anche saltare.
Tutto qua, niente di che. Ma mi piaceva metterlo in rilievo.
Su La parte difficile sono state fatte molte ipotesi; quella che più mi ha infastidito (mettiamola così, in realtà è solo un appunto che mi piace mettere in rilievo) è del curatore della presente edizione: Giuliano Gramigna. Cosa dice di così particolare il critico? Sentiamolo: Questo “primo” romanzo, proprio perché primo, va letto a ritroso, vale a dire risalendo ad esso dai testi più tardi di Del Buono (Gramigna ne cita soprattutto tre, Per pura ingratitudine, I peggiori anni della nostra vita e Né vivere né morire); insomma, anziché eventualmente illuminarli, ne sarà illuminato. Questa metodologia di lettura, s’intende, viene dopo, ossia è già una forma strutturante del giudizio.
Ora non me ne voglia il Gramigna, ma ne La parte difficile c’è già tutto quello che poi lo scrittore avrebbe indicato successivamente. A cominciare dall’episodio finale del romanzo che è anche un segno ben preciso (lo ammetto, sto dando del leggero a Del Buono) dei modelli culturali successivi.
La tragedia di Ulisse, il protagonista – reduce da un lager tedesco, intellettuale velleitario che non si adatta più alla vita normale, che odia ma subisce la sua famiglia-prigione, che alla fine di un amore nevrotico e stentato uccide la cognata e scrive la su storia in un carcere, una storia senza giustificazione e senza interpretazioni possibili, sta nel sentirsi inautentico, condizionato a troppi risentimenti e modelli culturali.
Non potevo parlare ugualmente con tutti loro, con ognuno avrei dovuto usare un tono particolare, ricordare certe cose che ci legavano, il tono di tanti discorsi tenuti in passato e interrotti dal mio servizio militare. Facevo fatica a riallacciare quei legami, non ci riuscivo e, poi, appena il mio interlocutore era uscito dalla camera, cominciavo a chiedermi la ragione della mia aridità, del mio impaccio. Era inutile che mi facessi domande: ero divenuto così e basta, dovevo tenere conto di me stesso.
Dunque ripetiamolo, ma senza davvero dare del “leggero” a Del Buono. Quello che lo scrittore ha fatto negli anni a venire, e mi riferisco soprattutto alla sua passione per il giallo e per il noir, si riscontra linearmente anche in questa sua opera prima. E il personaggio fondamentale del romanzo, Dora appunto (non sappiamo se in qualche modo questa Dora è mai esistita) è sociologicamente molto vicina ad altri personaggi, e soprattutto ai personaggi che Del Buono ha letto.
In ogni caso La parte difficile è un bel romanzo, e se vogliamo prendere a prestito le parole di Queneau (in realtà di Umberto Eco), … una storia di terso e spietato vigore. E detto ciò si può anche chiudere qualsiasi altra considerazione.
L’edizione da noi considerata è:
Oreste Del Buono
La parte difficile
BUR
Queste poche righe sono state prese dal libro di Raymond Queneau Esercizi di stile e nella traduzione, decisamente libera (ma libera davvero, e se non ci credete, andatevi a vedere l’originale, sempre se vi è possibile), di Umberto Eco.
La domanda semmai è un’altra: c’entra qualcosa il riporto con il libro di Oreste Del Buono? Avendo conosciuto gli antefatti dello scrittore e quello che per lui significava scrivere un romanzo, direi piuttosto di sì. Anche se in verità La parte difficile, prima storia pubblicata da Del Buono, è soltanto una vicenda di triste dopoguerra, niente di più.
Prima però di addentrarmi nel plot del romanzo, proprio perché spesso e volentieri sono uno che non si dà per vinto, vorrei chiarire un punto che nella storia è indicato agli inizi e che non mi ha fatto dormire (si fa per dire). Nel punto vi è scritto: Gli americani avevano sganciato la bomba atomica sulle città giapponesi. Finì la guerra.
Ora tutti sanno che le cose non furono proprio così: ormai il Giappone aveva perso la guerra ancor prima del lancio delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, (le centinaia di migliaia di vittime furono solo la prova della potenza inumana dell’esperimento nucleare) perché dunque, anche se il romanzo è scritto nel 1947, furono riportate certe considerazioni? Non credo che Del Buono abbia voluto nascondere la verità, semplicemente nel corso di una storia tutto sommato triste, il resoconto della guerra effettiva poteva anche saltare.
Tutto qua, niente di che. Ma mi piaceva metterlo in rilievo.
Su La parte difficile sono state fatte molte ipotesi; quella che più mi ha infastidito (mettiamola così, in realtà è solo un appunto che mi piace mettere in rilievo) è del curatore della presente edizione: Giuliano Gramigna. Cosa dice di così particolare il critico? Sentiamolo: Questo “primo” romanzo, proprio perché primo, va letto a ritroso, vale a dire risalendo ad esso dai testi più tardi di Del Buono (Gramigna ne cita soprattutto tre, Per pura ingratitudine, I peggiori anni della nostra vita e Né vivere né morire); insomma, anziché eventualmente illuminarli, ne sarà illuminato. Questa metodologia di lettura, s’intende, viene dopo, ossia è già una forma strutturante del giudizio.
Ora non me ne voglia il Gramigna, ma ne La parte difficile c’è già tutto quello che poi lo scrittore avrebbe indicato successivamente. A cominciare dall’episodio finale del romanzo che è anche un segno ben preciso (lo ammetto, sto dando del leggero a Del Buono) dei modelli culturali successivi.
La tragedia di Ulisse, il protagonista – reduce da un lager tedesco, intellettuale velleitario che non si adatta più alla vita normale, che odia ma subisce la sua famiglia-prigione, che alla fine di un amore nevrotico e stentato uccide la cognata e scrive la su storia in un carcere, una storia senza giustificazione e senza interpretazioni possibili, sta nel sentirsi inautentico, condizionato a troppi risentimenti e modelli culturali.
Non potevo parlare ugualmente con tutti loro, con ognuno avrei dovuto usare un tono particolare, ricordare certe cose che ci legavano, il tono di tanti discorsi tenuti in passato e interrotti dal mio servizio militare. Facevo fatica a riallacciare quei legami, non ci riuscivo e, poi, appena il mio interlocutore era uscito dalla camera, cominciavo a chiedermi la ragione della mia aridità, del mio impaccio. Era inutile che mi facessi domande: ero divenuto così e basta, dovevo tenere conto di me stesso.
Dunque ripetiamolo, ma senza davvero dare del “leggero” a Del Buono. Quello che lo scrittore ha fatto negli anni a venire, e mi riferisco soprattutto alla sua passione per il giallo e per il noir, si riscontra linearmente anche in questa sua opera prima. E il personaggio fondamentale del romanzo, Dora appunto (non sappiamo se in qualche modo questa Dora è mai esistita) è sociologicamente molto vicina ad altri personaggi, e soprattutto ai personaggi che Del Buono ha letto.
In ogni caso La parte difficile è un bel romanzo, e se vogliamo prendere a prestito le parole di Queneau (in realtà di Umberto Eco), … una storia di terso e spietato vigore. E detto ciò si può anche chiudere qualsiasi altra considerazione.
L’edizione da noi considerata è:
Oreste Del Buono
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