RECENSIONI
Georges Canguilhem
Il fascismo e i contadini
il Mulino, Pag. 162 Euro 14,00
Nel 1937, Denis de Rougemont (intellettuale impegnato, autore d'una significativa analisi delle radici medievali del sentimento amoroso e cortese, indi rappresentante di prima categoria d'un'associazione mondiale, scriveva il suo Diario di un intellettuale disoccupato (Fazi, Roma 1997). Trattavasi della permanenza in un'estremità della campagna francese d'uno scrittore e saggista (e moglie) la cui missione era sopravvivere, e, insieme, delineare la forma di vita della "paysannerìe" - e la contraddittoria abilità dei comunisti di condurre le battaglie giuste perdendo ingiusta la guerra. Comunque, nel '36, il Fronte Popolare - l'unità delle sinistre - va al potere: forse grazie anche al filmato La vie est à nous, (*) che, didascalico e agit-prop che sia, illustra certe verità delle quali il popolaccio , se non cosciente, è avvertito.
Poco tempo prima, e con diversa e più articolata coscienza, l'eguale missione - assieme critica dell'identitarismo marxista e dell'omologazione capitalisto-fascia - veniva svolta da una delle teste più solide dell'intelletto gallicano: quella del Canguilhem maestro di Foucault che - riconoscendosi misto nella sua forma di vita di contadiname e borghesia -, v'introduceva dubbi e contraddizioni da risolversi. E sulle quali giocare l'antifascismo dei basali produttori: cos'è che ama principalmente il mezzadro, infatti? L'esser libero sul suo metro di terra. E l'orgoglio suo qual'è? Bastarsi, farsi indipendente da quei parassiti della città - dall'operaio irreggimentato e simil-schiavo su su fino al padrone cannibale, al politicante tassaiolo. Scopo dell'umanità contadina - ed efficace argomento antifascista - è l'assicurargli l'indipendenza e l'orgoglio suddetti. E' il mostrargli come il fascismo, in ogni sua declinazione, a chiacchiere esalti la ruralità, ma nei fatti la distrugga, consegnandola alla proprietà intensiva, alla grande produzione, all'agricoltura industriale - al processo che in Europa s'è svolto almeno dalla fine della seconda guerra mondiale sino agli anni Ottanta del Novecento.
Però. Se se si (af)fermasse qui, l'analisi di Canguilhem non differirebbe dalla sociologia politologica d'un Aron, d'una prava marxisanza riveduta e corretta: ma c'è un'escursione che chiama in causa un insieme epistemologico, il quale dichiara come il fascismo sia la costruzione di un corpo sociale ove sia impossibile resistere al potere, dunque al farsi omologare da esso, come la grande produzione tende non alla miriade di manufatti, ognuno opportuno per una sua determinazione, bensì all'omogeneizzazione della richiesta, dimodoché l'uomo s'adatti al prodotto, e non viceversa. Sicché avversare la standardizzazione implica stabilire una forma di vita singolare, distante e dai feticci ideologici, e dall'impulso omologante della mass-cult-produzione. Mentre il marxismo, cioè, si realizza preservando o semmai amalgamando senza spegnere l'una nell'altra le singolarità, componendole esaltandole valorizzandole semmai, il nazi-fascio omologa le forme di vita, rapportandole alla classe egemone - la borghesia, quindi.
Inutile comporre il messaggio espresso suo malgrado - perché voleva essere tutt'altro, sodo, propositivo, convincente - da questo manualetto. E assieme, negare nel suo contenuto un'avviso che tre decenni dopo il secolo era attuale per i produttori, ed ora per tutti. Basti ricordare che avvertire e avversare il fascismo, oggi come allora, è pigliare coscienza , e disaminare e dettagliare l'inganno - che all'epoca investiva il discorso sui produttori (contadini, operai), ed oggi riguarda a noi tutti consumatori -, ma che si fonda sulle medesime strategie d'annichilimento d'una forma di vita per un'altra, più e più volte magnificata dalla pubblicità.
Ecco dunque che il breve inedito scritto dell'epistemologo francese - dagli umili genitori, sempre memorioso delle proprie origini -, ripubblicato veste novella importanza per il tempo odierno, per la riflessione sulla struttura della nostra civiltà.
E non pare poco.
*) supervisione di Jean Renoir, partecipazione alla regia di Jacques Becker, Henri Cartier-Bresson et al., recitato da Jean Dasté, Jean Renoir, Claude Renoir, Marcel Duhamel, Madeleine Soloigne, altri e militanti comunisti. (Francia, 1935) Trasmesso da RaiTre in una notte "Fuori Orario" li ventisette del marzo 1994.
di Giulio Lascàris
Poco tempo prima, e con diversa e più articolata coscienza, l'eguale missione - assieme critica dell'identitarismo marxista e dell'omologazione capitalisto-fascia - veniva svolta da una delle teste più solide dell'intelletto gallicano: quella del Canguilhem maestro di Foucault che - riconoscendosi misto nella sua forma di vita di contadiname e borghesia -, v'introduceva dubbi e contraddizioni da risolversi. E sulle quali giocare l'antifascismo dei basali produttori: cos'è che ama principalmente il mezzadro, infatti? L'esser libero sul suo metro di terra. E l'orgoglio suo qual'è? Bastarsi, farsi indipendente da quei parassiti della città - dall'operaio irreggimentato e simil-schiavo su su fino al padrone cannibale, al politicante tassaiolo. Scopo dell'umanità contadina - ed efficace argomento antifascista - è l'assicurargli l'indipendenza e l'orgoglio suddetti. E' il mostrargli come il fascismo, in ogni sua declinazione, a chiacchiere esalti la ruralità, ma nei fatti la distrugga, consegnandola alla proprietà intensiva, alla grande produzione, all'agricoltura industriale - al processo che in Europa s'è svolto almeno dalla fine della seconda guerra mondiale sino agli anni Ottanta del Novecento.
Però. Se se si (af)fermasse qui, l'analisi di Canguilhem non differirebbe dalla sociologia politologica d'un Aron, d'una prava marxisanza riveduta e corretta: ma c'è un'escursione che chiama in causa un insieme epistemologico, il quale dichiara come il fascismo sia la costruzione di un corpo sociale ove sia impossibile resistere al potere, dunque al farsi omologare da esso, come la grande produzione tende non alla miriade di manufatti, ognuno opportuno per una sua determinazione, bensì all'omogeneizzazione della richiesta, dimodoché l'uomo s'adatti al prodotto, e non viceversa. Sicché avversare la standardizzazione implica stabilire una forma di vita singolare, distante e dai feticci ideologici, e dall'impulso omologante della mass-cult-produzione. Mentre il marxismo, cioè, si realizza preservando o semmai amalgamando senza spegnere l'una nell'altra le singolarità, componendole esaltandole valorizzandole semmai, il nazi-fascio omologa le forme di vita, rapportandole alla classe egemone - la borghesia, quindi.
Inutile comporre il messaggio espresso suo malgrado - perché voleva essere tutt'altro, sodo, propositivo, convincente - da questo manualetto. E assieme, negare nel suo contenuto un'avviso che tre decenni dopo il secolo era attuale per i produttori, ed ora per tutti. Basti ricordare che avvertire e avversare il fascismo, oggi come allora, è pigliare coscienza , e disaminare e dettagliare l'inganno - che all'epoca investiva il discorso sui produttori (contadini, operai), ed oggi riguarda a noi tutti consumatori -, ma che si fonda sulle medesime strategie d'annichilimento d'una forma di vita per un'altra, più e più volte magnificata dalla pubblicità.
Ecco dunque che il breve inedito scritto dell'epistemologo francese - dagli umili genitori, sempre memorioso delle proprie origini -, ripubblicato veste novella importanza per il tempo odierno, per la riflessione sulla struttura della nostra civiltà.
E non pare poco.
*) supervisione di Jean Renoir, partecipazione alla regia di Jacques Becker, Henri Cartier-Bresson et al., recitato da Jean Dasté, Jean Renoir, Claude Renoir, Marcel Duhamel, Madeleine Soloigne, altri e militanti comunisti. (Francia, 1935) Trasmesso da RaiTre in una notte "Fuori Orario" li ventisette del marzo 1994.
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