RECENSIONI
Marco Filabozzi
Il viaggiatore del senso perduto
Albatros, Pag. 118 Euro 12,90
Qual è la morale della favola di Cappuccetto Rosso? Che le bambine devono stare attente a dare confidenza a i grandi (chissà se i fratelli Grimm erano angosciati, come lo siamo noi contemporanei, dalla problematica pedofila) altrimenti rischiano grosso. Se proprio ci va di celiare, potremmo aggiungere che anche nel mondo dell'editoria è sempre questione di etica: attenti alla voci di sirene che vogliono trasformare le nostre attitudini narrative in un processo standard consacrato dalla infallibilità del mercato.
Capito l'antifona?
Se sì tutto bene, se no... pazienza, in ogni caso non finisce qui.
Si arzigogola di ciò per presentare l'ultimo romanzo di Marco Filabozzi, che i lettori attenti del Paradiso conoscono già per una precedente uscita di qualche annetto fa: Pasquino.
A suo tempo, pur apprezzando l'insieme, si facevano dei distinguo, come quello di non apprezzare per nulla i dialoghi (irreali!) e di suggerire un sentiero drammaturgico alla letteratura che scavalcasse le letture personali e le pulsioni.
Il viaggiatore del senso perduto è libro riuscito solo a metà: dove non funziona è perché Filabozzi crede che buona letteratura significa non solo buona creanza, ma anche 'bella' scrittura, espressione quest'ultima da intendersi per ricerca dell'effetto stiloso, più che stilistico.
Dove funziona, finalmente!, è proprio nei dialoghi, anche se pochi, resi più asciutti ed incisivi da una volontà che poi si perde nell'affettazione del descritto.
E' qui il paradosso dell'operazione: rende meglio quando attua una sorta di sottrazione linguistica. Quindi perfetta quando non ricercata, quasi insopportabile nella tensione (drammatica quasi!) della smania aggettivante e del 'bel costrutto' (Esempio. Per dire che aprendo una porta la corrente invernale si mischia con la polvere della casa, l'autore scrive: Le gelide correnti notturne accettano entusiaste, neanche nelle tempeste più impetuose hanno ballato così, gomito a gomito con le calde sorelle domestiche, e trascinandosi i fiocchi di neve appresso s'uniscono dalle fessure tra le pareti.
Troppo no? Anzi, esagerato.
Piace nel libro, formato da più racconti che formano alla fine un insieme, l'identificazione del vecchio - protagonista della vicenda, che vive in una sorta di eremo personale accanto ad un baule di ricordi - col ragazzo che dopo un po' viene a fargli compagnia e alla fine a soccorrerlo. S'intuiscono percorsi autobiografici e voglia di raccontarsi con una certa onestà.
Però non basta: Marco Filabozzi deve scrollarsi di dosso, definitivamente, il desiderio di stupire. Lo crediamo non costruito, ma genuino, ma solo perché c'è non significa che debba sopravvivere allo scrittore stesso.
Meglio un letterato più 'magro'.
di Alfredo Ronci
Capito l'antifona?
Se sì tutto bene, se no... pazienza, in ogni caso non finisce qui.
Si arzigogola di ciò per presentare l'ultimo romanzo di Marco Filabozzi, che i lettori attenti del Paradiso conoscono già per una precedente uscita di qualche annetto fa: Pasquino.
A suo tempo, pur apprezzando l'insieme, si facevano dei distinguo, come quello di non apprezzare per nulla i dialoghi (irreali!) e di suggerire un sentiero drammaturgico alla letteratura che scavalcasse le letture personali e le pulsioni.
Il viaggiatore del senso perduto è libro riuscito solo a metà: dove non funziona è perché Filabozzi crede che buona letteratura significa non solo buona creanza, ma anche 'bella' scrittura, espressione quest'ultima da intendersi per ricerca dell'effetto stiloso, più che stilistico.
Dove funziona, finalmente!, è proprio nei dialoghi, anche se pochi, resi più asciutti ed incisivi da una volontà che poi si perde nell'affettazione del descritto.
E' qui il paradosso dell'operazione: rende meglio quando attua una sorta di sottrazione linguistica. Quindi perfetta quando non ricercata, quasi insopportabile nella tensione (drammatica quasi!) della smania aggettivante e del 'bel costrutto' (Esempio. Per dire che aprendo una porta la corrente invernale si mischia con la polvere della casa, l'autore scrive: Le gelide correnti notturne accettano entusiaste, neanche nelle tempeste più impetuose hanno ballato così, gomito a gomito con le calde sorelle domestiche, e trascinandosi i fiocchi di neve appresso s'uniscono dalle fessure tra le pareti.
Troppo no? Anzi, esagerato.
Piace nel libro, formato da più racconti che formano alla fine un insieme, l'identificazione del vecchio - protagonista della vicenda, che vive in una sorta di eremo personale accanto ad un baule di ricordi - col ragazzo che dopo un po' viene a fargli compagnia e alla fine a soccorrerlo. S'intuiscono percorsi autobiografici e voglia di raccontarsi con una certa onestà.
Però non basta: Marco Filabozzi deve scrollarsi di dosso, definitivamente, il desiderio di stupire. Lo crediamo non costruito, ma genuino, ma solo perché c'è non significa che debba sopravvivere allo scrittore stesso.
Meglio un letterato più 'magro'.
di Alfredo Ronci
Dello stesso autore
Marco Filabozzi
Pasquino
Edizioni Il Molo, Pag.252 Euro 13,00Ho letto da qualche parte: a rigore, non esiste la storia, solo la biografia. Ma ci si dimentica che in letteratura esiste anche l'autobiografia, perché qualsiasi cosa si racconti la si fa fingendo di non scrivere di se stessi. Non sfugge a questa regola l'esordiente Marco Filabozzi , vigile del fuoco nella vita e che vigila nel fuoco nel romanzo, che si autodefinisce "scrittore che scrittore non è". Dichiarazione pericolosa perché c'è il rischio di non essere preso sul serio... e si sa i letterati non hanno sense of humour.
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