ATTUALITA'
Giovanna Repetto
Intervista a Massimiliano Giri, vincitore del Premio Tedeschi 2020
È sanmarinese Massimiliano Giri, il vincitore del Premio Tedeschi 2020. Il suo romanzo Il senso delle parole rotte è uscito a luglio in edicola nella collana del Giallo Mondadori. Noi del Paradiso, dopo aver letto e recensito il libro (vedi nella rubrica recensioni) abbiamo avuto voglia di intervistarlo.
Massimiliano, tu scrivi gialli. Hai vinto due volte il premio GialloLatino e ora il premio Alberto Tedeschi. Però ti conosco anche come autore di fantascienza, tant’è vero che nel 2018 hai vinto il premio Urania Short con un racconto. Come dobbiamo vedere questi tuoi passaggi fra i generi? È un modo per variare, per “riposarsi” con una specie di vacanza dalla routine, o per esprimere degli aspetti della tua creatività che hanno bisogno di manifestarsi in certe forme specifiche?
Ho vinto GialloLatino nel 2015 e nel 2016 nella sezione Segretissimo, quindi con due spy story. Non sono uno specialista di gialli, né di fantascienza, né di spy story, né di thriller. Sono un autore che si diverte a sperimentare ovunque si posi l’occhio dell’ispirazione. In passato ho scritto anche racconti horror, weird, fantastici. Naturalmente l’aver vinto il premio Tedeschi mi colloca in un mercato ben preciso, che mi affascina e mi piace. Probabilmente continuerò su questa strada.
Dunque ti diverti a sperimentare ovunque si posi l’occhio dell’ispirazione. Quali sono le cose più stimolanti per il tuo occhio?
In realtà qualsiasi fonte, anche la più banale, potrebbe essere presa in considerazione dall’occhio dell’ispirazione. Mi è successo diverse volte di trovare buone idee dietro situazioni apparentemente insignificanti. Comunque cerco di stimolare la fantasia di continuo, attingendo a diverse fonti: letture, ricerche sul web, film, serie tivù.
Non tutti gli scrittori usano le stesse procedure. Alcuni organizzano il loro lavoro in maniera metodica.
Anche tu ritieni importante partire da uno schema ben preciso dove siano già configurate tutte le tappe della tua storia?
Di solito sono molto organizzato quando scrivo, ma mi è capitato anche di lavorare in modo più libero, partendo solo da un’idea e poi sviluppando il plot in corso d’opera. Decido di usare una sinossi o una scaletta solo se il genere letterario lo richiede: se scrivo fantascienza, horror, weird etc. mi lascio trasportare da una suggestione e poi vado avanti istintivamente, ma se devo scrivere gialli o thriller, il lavoro che faccio sulla trama è certosino.
E in questo caso non ti capita mai, durante la stesura, di cambiare idea? Per esempio, capire che un personaggio può avere più segreti di quelli che gli avevi attribuito all’inizio e seguire quella pista?
In scrittura, a mio avviso, bisogna essere flessibili, sempre, e il lavoro fatto dietro un romanzo non è detto che poi debba essere replicato su un altro lavoro. Se cambio idea in corso d’opera? Sempre.
Veniamo a questo tuo ultimo romanzo, Il senso delle parole rotte. Trovo che i personaggi siano molto interessanti. Il detective Macrelli, per esempio. È un tipo particolare, affetto da una sindrome ossessivo-compulsiva con attacchi di panico. Per lui è una fonte di disagio, eppure gli risulta utile in certi momenti, come una specie di trance sciamanica. È interessante questo concetto: un punto debole può diventare una risorsa. È un messaggio forte, importante, che travalica la pura necessità narrativa. Ti chiedo come sei arrivato a questa scelta, se ti sei riferito a un modello che conosci, come ti sei documentato.
Da bambino ero affascinato dalla simmetria. Facevo le stesse cose che fa Macrelli nel romanzo, ma in modo giocoso e non ossessivo. Ho approfittato di questo mio trascorso per elaborare un personaggio complesso, capace di trasformare (involontariamente) un suo problema in un punto di forza. Naturalmente mi sono documentato su internet, ma anche con la consulenza di una psicologa per capire la verosimiglianza del suo disturbo.
Certo, il ruolo dei consulenti è fondamentale. Anche il tuo investigatore si avvale di una professionista grafologa, Sara Brandi, che a sua volta è un tipo molto particolare. Diciamo che non passa inosservata, si impone da subito all’attenzione del lettore. Come nasce questo personaggio?
Sara Brandi, caratterialmente, è ispirata a una persona reale. L’aspetto fisico, invece, fa parte del mio immaginario giovanile: mi piacevano le ragazze ribelli, tatuate, volgari, ma capaci di sorprenderti con doti nascoste.
La grafologia ha un posto cruciale nel romanzo. In certe fasi è uno strumento insostituibile. L’hai affidata a questo personaggio alternativo che è Sara Brandi, e che la usa arricchendola con le doto dell’intuito e dell’empatia. Qual è il tuo rapporto con la grafologia? Come ti è venuta l’idea di utilizzarla nel romanzo?
Ogni elemento tecnico nel romanzo scaturisce da conoscenze e documentazioni. Conosco personalmente una grafologa che mi ha fatto venire l’idea di creare il personaggio di Sara Brandi, poi mi sono affidato alla consulenza di un’altra grafologa forense molto famosa in Italia, per aiutarmi a rendere più credibili le analisi grafologiche. Naturalmente, come in ogni buona crime-fiction che si rispetti, le procedure tecniche sono miscelate alla spettacolarizzazione delle stesse: Sara, per esempio, usa una lente d’ingrandimento speciale, con un anello pieno di teschi di metallo.
Un’altra curiosità: a che cosa si deve la scelta del pugilato, sport praticato da Macrelli?
Nella prima stesura del romanzo Macrelli non era un pugile, ma un tiratore di carabina sportiva. La scelta della carabina era dettata dalla mia esperienza nel settore, dato che la mia ragazza è stata campionessa sammarinese per tre anni in questa specialità. Poi alcuni beta reader mi hanno consigliato di rendere Macrelli più incisivo, quindi ho ripiegato sulla boxe.
Torniamo al tuo percorso letterario: che cosa ha significato per te vincere il Premio Tedeschi? E per il futuro che cosa bolle in pentola?
Il Tedeschi ha un valore obiettivamente importante, dato che è stato il punto di partenza di tanti grandi autori italiani. Questa affermazione si colloca in un momento molto delicato del mio percorso letterario. Al momento sto lavorando ad alcune sinossi per scrivere qualcosa di nuovo, ma non ho nessun obiettivo in particolare e nessuna fretta di arrivarci.
Il personaggio di Macrelli è interessante e pieno di umanità. Non pensi di dargli l’opportunità di lavorare ancora per te?
Macrelli è un ottimo personaggio, ma non potrebbe funzionare da solo, almeno nella mia visione. Matthias e Sara sono stati elaborati insieme, per diventare una coppia eterogenea ma capace di completarsi, diventando un’entità unica. Darò di certo una nuova possibilità a Macrelli e, di conseguenza, anche a Sara.
Allora li aspettiamo, pronti anche a sorprenderci per le novità che ci riserverai in futuro.
Massimiliano, tu scrivi gialli. Hai vinto due volte il premio GialloLatino e ora il premio Alberto Tedeschi. Però ti conosco anche come autore di fantascienza, tant’è vero che nel 2018 hai vinto il premio Urania Short con un racconto. Come dobbiamo vedere questi tuoi passaggi fra i generi? È un modo per variare, per “riposarsi” con una specie di vacanza dalla routine, o per esprimere degli aspetti della tua creatività che hanno bisogno di manifestarsi in certe forme specifiche?
Ho vinto GialloLatino nel 2015 e nel 2016 nella sezione Segretissimo, quindi con due spy story. Non sono uno specialista di gialli, né di fantascienza, né di spy story, né di thriller. Sono un autore che si diverte a sperimentare ovunque si posi l’occhio dell’ispirazione. In passato ho scritto anche racconti horror, weird, fantastici. Naturalmente l’aver vinto il premio Tedeschi mi colloca in un mercato ben preciso, che mi affascina e mi piace. Probabilmente continuerò su questa strada.
Dunque ti diverti a sperimentare ovunque si posi l’occhio dell’ispirazione. Quali sono le cose più stimolanti per il tuo occhio?
In realtà qualsiasi fonte, anche la più banale, potrebbe essere presa in considerazione dall’occhio dell’ispirazione. Mi è successo diverse volte di trovare buone idee dietro situazioni apparentemente insignificanti. Comunque cerco di stimolare la fantasia di continuo, attingendo a diverse fonti: letture, ricerche sul web, film, serie tivù.
Non tutti gli scrittori usano le stesse procedure. Alcuni organizzano il loro lavoro in maniera metodica.
Anche tu ritieni importante partire da uno schema ben preciso dove siano già configurate tutte le tappe della tua storia?
Di solito sono molto organizzato quando scrivo, ma mi è capitato anche di lavorare in modo più libero, partendo solo da un’idea e poi sviluppando il plot in corso d’opera. Decido di usare una sinossi o una scaletta solo se il genere letterario lo richiede: se scrivo fantascienza, horror, weird etc. mi lascio trasportare da una suggestione e poi vado avanti istintivamente, ma se devo scrivere gialli o thriller, il lavoro che faccio sulla trama è certosino.
E in questo caso non ti capita mai, durante la stesura, di cambiare idea? Per esempio, capire che un personaggio può avere più segreti di quelli che gli avevi attribuito all’inizio e seguire quella pista?
In scrittura, a mio avviso, bisogna essere flessibili, sempre, e il lavoro fatto dietro un romanzo non è detto che poi debba essere replicato su un altro lavoro. Se cambio idea in corso d’opera? Sempre.
Veniamo a questo tuo ultimo romanzo, Il senso delle parole rotte. Trovo che i personaggi siano molto interessanti. Il detective Macrelli, per esempio. È un tipo particolare, affetto da una sindrome ossessivo-compulsiva con attacchi di panico. Per lui è una fonte di disagio, eppure gli risulta utile in certi momenti, come una specie di trance sciamanica. È interessante questo concetto: un punto debole può diventare una risorsa. È un messaggio forte, importante, che travalica la pura necessità narrativa. Ti chiedo come sei arrivato a questa scelta, se ti sei riferito a un modello che conosci, come ti sei documentato.
Da bambino ero affascinato dalla simmetria. Facevo le stesse cose che fa Macrelli nel romanzo, ma in modo giocoso e non ossessivo. Ho approfittato di questo mio trascorso per elaborare un personaggio complesso, capace di trasformare (involontariamente) un suo problema in un punto di forza. Naturalmente mi sono documentato su internet, ma anche con la consulenza di una psicologa per capire la verosimiglianza del suo disturbo.
Certo, il ruolo dei consulenti è fondamentale. Anche il tuo investigatore si avvale di una professionista grafologa, Sara Brandi, che a sua volta è un tipo molto particolare. Diciamo che non passa inosservata, si impone da subito all’attenzione del lettore. Come nasce questo personaggio?
Sara Brandi, caratterialmente, è ispirata a una persona reale. L’aspetto fisico, invece, fa parte del mio immaginario giovanile: mi piacevano le ragazze ribelli, tatuate, volgari, ma capaci di sorprenderti con doti nascoste.
La grafologia ha un posto cruciale nel romanzo. In certe fasi è uno strumento insostituibile. L’hai affidata a questo personaggio alternativo che è Sara Brandi, e che la usa arricchendola con le doto dell’intuito e dell’empatia. Qual è il tuo rapporto con la grafologia? Come ti è venuta l’idea di utilizzarla nel romanzo?
Ogni elemento tecnico nel romanzo scaturisce da conoscenze e documentazioni. Conosco personalmente una grafologa che mi ha fatto venire l’idea di creare il personaggio di Sara Brandi, poi mi sono affidato alla consulenza di un’altra grafologa forense molto famosa in Italia, per aiutarmi a rendere più credibili le analisi grafologiche. Naturalmente, come in ogni buona crime-fiction che si rispetti, le procedure tecniche sono miscelate alla spettacolarizzazione delle stesse: Sara, per esempio, usa una lente d’ingrandimento speciale, con un anello pieno di teschi di metallo.
Un’altra curiosità: a che cosa si deve la scelta del pugilato, sport praticato da Macrelli?
Nella prima stesura del romanzo Macrelli non era un pugile, ma un tiratore di carabina sportiva. La scelta della carabina era dettata dalla mia esperienza nel settore, dato che la mia ragazza è stata campionessa sammarinese per tre anni in questa specialità. Poi alcuni beta reader mi hanno consigliato di rendere Macrelli più incisivo, quindi ho ripiegato sulla boxe.
Torniamo al tuo percorso letterario: che cosa ha significato per te vincere il Premio Tedeschi? E per il futuro che cosa bolle in pentola?
Il Tedeschi ha un valore obiettivamente importante, dato che è stato il punto di partenza di tanti grandi autori italiani. Questa affermazione si colloca in un momento molto delicato del mio percorso letterario. Al momento sto lavorando ad alcune sinossi per scrivere qualcosa di nuovo, ma non ho nessun obiettivo in particolare e nessuna fretta di arrivarci.
Il personaggio di Macrelli è interessante e pieno di umanità. Non pensi di dargli l’opportunità di lavorare ancora per te?
Macrelli è un ottimo personaggio, ma non potrebbe funzionare da solo, almeno nella mia visione. Matthias e Sara sono stati elaborati insieme, per diventare una coppia eterogenea ma capace di completarsi, diventando un’entità unica. Darò di certo una nuova possibilità a Macrelli e, di conseguenza, anche a Sara.
Allora li aspettiamo, pronti anche a sorprenderci per le novità che ci riserverai in futuro.
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