RECENSIONI
Joachim Fest
Io no
Garzanti, Pag. 378 Euro 18,30
C'è un equivoco di fondo nel titolo: ad una lettura accurata (come dovrebbe essere) ben presto s'intuisce che l'Io no, cioè il rifiuto di adeguarsi all'ideologia nazista e conservare una propria dignità davanti all'abisso è del padre del protagonista, non dell'autore.
Sin dall'inizio Joachim Fest lo delinea austero e granitico e di tutt'altra pasta: Era un uomo pio, il quale, come diceva spesso a questo proposito, si sentiva in dovere di render conto a «Signore Iddio» d'ogni sua decisione privata o politica. (Pag.31). Autodefinitosi un colto borghese, anche se l'espressione intendeva già allora qualificare un tipo fuori moda, alla vecchia maniera(Pag.32). Un uomo dalla dirittura morale ineccepibile che non piegò mai la testa di fronte alle violenze hitleriane e conseguenti sofferenze (dapprima allontanato dal lavoro, poi licenziato, infine privato,lui insegnante, della possibilità di dare ripetizioni ) e che fece del suo motto " Sopporta i clown!" un modello di comportamento.
Rispetto a lui le posizioni dei familiari sono più sfumate: L'avversione di mia madre era il frutto del suo tutto diverso complesso di valori, di impronta religiosa, che seppe giostrare a volte con sbalorditiva abilità. Wolfgang [il fratello N.d.R.] fu capace di tenere in scacco tutte le difficoltà con il suo fascino smaliziato; io feci parlare di me per qualche impudenza seguita dai miei genitori non senza apprensioni, anche politiche (Pag.353).
Ed è del tutto normale. Joachim Fest, all'avvento di Hitler ha sette anni e ne avrà diciannove alla sua caduta . Vede il mondo con gli occhi prima di un bambino, poi di un ragazzo sì colto ed attento, ma pur sempre "aggrappato" ad un sentire adolescenziale. Ed il libro, quasi che l'intento fosse voluto, ma nello stesso tempo inevitabile, crea una distanza abissale tra gli eventi catastrofici di quegli anni e la rappresentazione spesso gioiosa dell'incedere dell'età.
Dopo il licenziamento del padre, il protagonista, con un'ironia tipicamente infantile confessa: Per noi bambini quel provvedimento non si tradusse inizialmente in qualcosa di palpabile benché, come pare che io abbia successivamente fatto notare a Wolfgang, concretizzasse l'incubo di ogni ragazzino: avere un padre insegnante in casa per tutta la giornata (pag.56).
Nell'estate del '39, quando l'Austria era già stata annessa e la guerra ormai la si dava per scontata, l'evento clou del periodo è il grido "Ce l'ho fatta! Finalmente ! E' fatta! di Winfried (l'altro fratello) per essere riuscito, lui non particolarmente incline alla ginnastica, a volteggiare più volte alla sbarra. E ci si accorse, poi, della guerra, soprattutto dal fatto che le luci dei lampioni si spegnevano di colpo. Al calar dell'oscurità, dietro le finestre delle case d'abitazione venivano abbassate nere cortine, e quando qualcuno se ne dimenticava, risuonava dal basso, a più voci, l'intimazione «Spegnere la luce!»(Pag.147).
Ma tra le pieghe di queste "true confessions" a volte sbarazzine, ma non del tutto inconsapevoli, Fest, che ricordiamo illustre storico ed autore di una monumentale biografia dedicata a Hitler, rammenda i fili del discorso e lancia strali. Più volte, nel corso dei capitoli, affrontando il tema dell'avvento del nazismo, delinea responsabilità politiche enormi delle grandi potenze europee e delle organizzazioni repubblicane.
Si legge a pag. 118: Alla Repubblica di Weimar ormai palesemente moribonda avevano perfino negato una semplice unione doganale con l'Austria, minacciando altrimenti di scatenare una guerra. Davanti ad Hitler, invece, i francesi dimenticavano le loro "bizze revanchiste" e i britannici si inchinavano così profondamente da costringersi addirittura a sperare che quei salamelecchi altro non fossero che una nuova espressione della loro "ben nota doppiezza".
E a pag. 64: Le organizzazioni repubblicane, che pure potevano contare su milioni di aderenti, non erano state capaci neppure di fare uno sciopero generale. Si erano invece dissolte in pochi giorni senza opporre alcuna resistenza, ubbidendo a una semplice disposizione governativa, e poi erano andate tranquillamente a marciare sotto le bandiere naziste.
Il libro si bilancia da sé come è giusto che sia: da una parte l'afflato romanzesco di Fest che vede quegli anni con gli occhi di un adolescente, parzialmente consapevole, ma già "ricco" di un'autonoma predisposizione al rifiuto, dall'altra il rigore dello studioso che, neppure davanti ad un'operazione anni luce lontana dalla disciplina storiografica, rinuncia alle sue posizioni acquisite da tempo.
Io no è un bel leggere. Confida poi nell'abilità del lettore di configurare un tracciato lineare che invece, ad occhi distratti ed abituati ad altre iniziative, sembrerebbe mascherare una sorta di "inciucio" narrativo. Fest non vuole raccontare la Storia plasmandola a proprio uso e consumo: aggiunge un tassello, una specie di diario del cuore. Il cuore di un adolescente, per nulla innocente.
di Alfredo Ronci
Sin dall'inizio Joachim Fest lo delinea austero e granitico e di tutt'altra pasta: Era un uomo pio, il quale, come diceva spesso a questo proposito, si sentiva in dovere di render conto a «Signore Iddio» d'ogni sua decisione privata o politica. (Pag.31). Autodefinitosi un colto borghese, anche se l'espressione intendeva già allora qualificare un tipo fuori moda, alla vecchia maniera(Pag.32). Un uomo dalla dirittura morale ineccepibile che non piegò mai la testa di fronte alle violenze hitleriane e conseguenti sofferenze (dapprima allontanato dal lavoro, poi licenziato, infine privato,lui insegnante, della possibilità di dare ripetizioni ) e che fece del suo motto " Sopporta i clown!" un modello di comportamento.
Rispetto a lui le posizioni dei familiari sono più sfumate: L'avversione di mia madre era il frutto del suo tutto diverso complesso di valori, di impronta religiosa, che seppe giostrare a volte con sbalorditiva abilità. Wolfgang [il fratello N.d.R.] fu capace di tenere in scacco tutte le difficoltà con il suo fascino smaliziato; io feci parlare di me per qualche impudenza seguita dai miei genitori non senza apprensioni, anche politiche (Pag.353).
Ed è del tutto normale. Joachim Fest, all'avvento di Hitler ha sette anni e ne avrà diciannove alla sua caduta . Vede il mondo con gli occhi prima di un bambino, poi di un ragazzo sì colto ed attento, ma pur sempre "aggrappato" ad un sentire adolescenziale. Ed il libro, quasi che l'intento fosse voluto, ma nello stesso tempo inevitabile, crea una distanza abissale tra gli eventi catastrofici di quegli anni e la rappresentazione spesso gioiosa dell'incedere dell'età.
Dopo il licenziamento del padre, il protagonista, con un'ironia tipicamente infantile confessa: Per noi bambini quel provvedimento non si tradusse inizialmente in qualcosa di palpabile benché, come pare che io abbia successivamente fatto notare a Wolfgang, concretizzasse l'incubo di ogni ragazzino: avere un padre insegnante in casa per tutta la giornata (pag.56).
Nell'estate del '39, quando l'Austria era già stata annessa e la guerra ormai la si dava per scontata, l'evento clou del periodo è il grido "Ce l'ho fatta! Finalmente ! E' fatta! di Winfried (l'altro fratello) per essere riuscito, lui non particolarmente incline alla ginnastica, a volteggiare più volte alla sbarra. E ci si accorse, poi, della guerra, soprattutto dal fatto che le luci dei lampioni si spegnevano di colpo. Al calar dell'oscurità, dietro le finestre delle case d'abitazione venivano abbassate nere cortine, e quando qualcuno se ne dimenticava, risuonava dal basso, a più voci, l'intimazione «Spegnere la luce!»(Pag.147).
Ma tra le pieghe di queste "true confessions" a volte sbarazzine, ma non del tutto inconsapevoli, Fest, che ricordiamo illustre storico ed autore di una monumentale biografia dedicata a Hitler, rammenda i fili del discorso e lancia strali. Più volte, nel corso dei capitoli, affrontando il tema dell'avvento del nazismo, delinea responsabilità politiche enormi delle grandi potenze europee e delle organizzazioni repubblicane.
Si legge a pag. 118: Alla Repubblica di Weimar ormai palesemente moribonda avevano perfino negato una semplice unione doganale con l'Austria, minacciando altrimenti di scatenare una guerra. Davanti ad Hitler, invece, i francesi dimenticavano le loro "bizze revanchiste" e i britannici si inchinavano così profondamente da costringersi addirittura a sperare che quei salamelecchi altro non fossero che una nuova espressione della loro "ben nota doppiezza".
E a pag. 64: Le organizzazioni repubblicane, che pure potevano contare su milioni di aderenti, non erano state capaci neppure di fare uno sciopero generale. Si erano invece dissolte in pochi giorni senza opporre alcuna resistenza, ubbidendo a una semplice disposizione governativa, e poi erano andate tranquillamente a marciare sotto le bandiere naziste.
Il libro si bilancia da sé come è giusto che sia: da una parte l'afflato romanzesco di Fest che vede quegli anni con gli occhi di un adolescente, parzialmente consapevole, ma già "ricco" di un'autonoma predisposizione al rifiuto, dall'altra il rigore dello studioso che, neppure davanti ad un'operazione anni luce lontana dalla disciplina storiografica, rinuncia alle sue posizioni acquisite da tempo.
Io no è un bel leggere. Confida poi nell'abilità del lettore di configurare un tracciato lineare che invece, ad occhi distratti ed abituati ad altre iniziative, sembrerebbe mascherare una sorta di "inciucio" narrativo. Fest non vuole raccontare la Storia plasmandola a proprio uso e consumo: aggiunge un tassello, una specie di diario del cuore. Il cuore di un adolescente, per nulla innocente.
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