CLASSICI
Alfredo Ronci
L’arte della semplicità ‘impegnata’: “I beati anni del castigo” di Fleur Jaeggy.
L’uscita, nel 1989 per Adelphi, di questo libro mi procurò dei sommovimenti che solo anni più tardi, anzi abbastanza recentemente, sono riuscito a risolvere. Il tutto partì da una dichiarazione di Franco Battiato su un giornale, per carità non riesco a ricordare quale, in cui il cantante magnificava l’opera di Fleur Jaeggy, scrittrice svizzera, ma che scrive in italiano, che per molti era già un importante nome dell’editoria nostrana (tanto per intenderci, e se vi va, andatevi a leggere la sua prima opera editoriale e cioè Il dito in bocca, praticamente quasi introvabile).
Perché, pensavo io ingenuamente, un autore così carico di substrati intellettuali esoterici e mistici, si debba confrontare con un libro del genere che, sempre per il sottoscritto, veniva da un’autrice quasi sconosciuta e che parlava di un collegio? Cosa c’era di tanto magnifico nel libro da indurre un cantante come Franco Battiato a decantare I beati anni del castigo?
L’ho detto e lo ripeto, mi ci sono voluti degli anni (probabilmente ad altri certo tipo di indagini si sono rivolte in un arco di tempo molto più ristretto), ma alla fine ho risolto il mistero. Che era semplicemente questo. Franco Battiato a quei tempi frequentava la casa milanese di Roberto Calasso, marito di Fleur Jaeggy e fondatore di Adelphi (e qui viene anche tacitamente inteso come mai il cantante dell’allora disco milionario La voce del padrone, s’intendesse così vivacemente con gli illustri proprietari della magione milanese), insieme ad altri intimi amici, tra cui Giorgio Gaber e Ombretta Colli per giocare a carte e discutere.
Come a dire che non c’era nulla di particolare nell’estasi declaratoria del cantante siciliano. Ma noi poveri mortali eravamo lo stesso incantati dal piccolo (perché breve) romanzo di Fleur Jaeggy?
Nel sopore siamo invischiate quasi tutte. Scriveva ad un certo punto la scrittrice. E nel sopore cademmo anche noi in una storia che sembrava tanto lontana per certi versi, ma che alla fine si riscopriva attuale ed intatta.
In un collegio femminile in Svizzera, nell’Appenzel, in un’atmosfera quasi di idillio e cattività, arriva una nuova ragazza: è bella, severa, perfetta, e sembra che conosca tutto della vita, tanto da meritare ben presto gli incoraggiamenti dei superiori e in parte delle ragazze del collegio.
Quando vidi la sua calligrafia, rimasi senza parola. Quasi tutte le nostre calligrafie erano simili, vaghe, infantili, le o rotonde, larghe. La sua era completamente costruita. (Vent’anni dopo vidi qualcosa di simile in una dedica di Pierre Jean Jouve su un esemplare di Kyrie).
Chi parla è la protagonista del romanzo, praticamente la stessa scrittrice Jaeggy, un’altra interna del collegio, che si sente attratta moralmente e fisicamente dalla nuova venuta e che, nell’esposizione della vicenda sa mescolare, con perfetta tecnica, una elementare sintesi letteraria ad una conoscenza culturale che, mi si passi l’azzardo, noi del 1989 (l’anno dell’uscita de I beati…) avevamo già perso in abbondanza.
Ma era l’elemento lesbico a caratterizzare l’intero episodio? Certamente no, anche se noi italiani eravamo stati, almeno fino ad allora, privi di certe tensioni psicologiche. No, c’era dell’altro, un qualcosa di terribile e di quieto: è la terra di nessuno tra perfezione e follia (da un punto di vista strettamente narrativo, tra semplicità ed impegno). Dice l’autrice: E’ inutile che io insista nel dire che nessun’altra ragazza mi interessava e, dopo questo, potrei rispondere a un interrogatorio, ammettere che forse ero innamorata di Frédérique. Non si parlò mai di amore, come invece è abitudine nel mondo. Ma avevamo la certezza che fosse prestabilito.
Eppure, in questo stretto ambiente, quasi riservato, dove tutto accade ma nulla del più insolito ha il potere di verificarsi, il tempo ha qualcosa di prezioso: E forse furono gli anni più belli, pensavo. Gli anni del castigo. Vi è come un’esaltazione, leggera ma costante, negli anni del castigo, nei beati anni del castigo.
La protagonista perderà la sua amica. La ritroverà più avanti e poi di nuovo lontane. Dopo vent’anni mi scrisse una lettera. Sua madre le aveva lasciato qualcosa per vivere. Ma ne aveva abbastanza di essere ospite del manicomio, se continuava così avrebbe preso la via del cimitero.
P.S. Ma i dischi di Battiato, FLEURs, FLEURs 2 e FLEURs 3 sono un omaggio, più che ai fiori musicali degli anni sessanta, alla semplice Fleur Jaeggy?
L’edizione da noi considerata è:
Fleur Jaeggy
I beati anni del castigo
Adelphi
Perché, pensavo io ingenuamente, un autore così carico di substrati intellettuali esoterici e mistici, si debba confrontare con un libro del genere che, sempre per il sottoscritto, veniva da un’autrice quasi sconosciuta e che parlava di un collegio? Cosa c’era di tanto magnifico nel libro da indurre un cantante come Franco Battiato a decantare I beati anni del castigo?
L’ho detto e lo ripeto, mi ci sono voluti degli anni (probabilmente ad altri certo tipo di indagini si sono rivolte in un arco di tempo molto più ristretto), ma alla fine ho risolto il mistero. Che era semplicemente questo. Franco Battiato a quei tempi frequentava la casa milanese di Roberto Calasso, marito di Fleur Jaeggy e fondatore di Adelphi (e qui viene anche tacitamente inteso come mai il cantante dell’allora disco milionario La voce del padrone, s’intendesse così vivacemente con gli illustri proprietari della magione milanese), insieme ad altri intimi amici, tra cui Giorgio Gaber e Ombretta Colli per giocare a carte e discutere.
Come a dire che non c’era nulla di particolare nell’estasi declaratoria del cantante siciliano. Ma noi poveri mortali eravamo lo stesso incantati dal piccolo (perché breve) romanzo di Fleur Jaeggy?
Nel sopore siamo invischiate quasi tutte. Scriveva ad un certo punto la scrittrice. E nel sopore cademmo anche noi in una storia che sembrava tanto lontana per certi versi, ma che alla fine si riscopriva attuale ed intatta.
In un collegio femminile in Svizzera, nell’Appenzel, in un’atmosfera quasi di idillio e cattività, arriva una nuova ragazza: è bella, severa, perfetta, e sembra che conosca tutto della vita, tanto da meritare ben presto gli incoraggiamenti dei superiori e in parte delle ragazze del collegio.
Quando vidi la sua calligrafia, rimasi senza parola. Quasi tutte le nostre calligrafie erano simili, vaghe, infantili, le o rotonde, larghe. La sua era completamente costruita. (Vent’anni dopo vidi qualcosa di simile in una dedica di Pierre Jean Jouve su un esemplare di Kyrie).
Chi parla è la protagonista del romanzo, praticamente la stessa scrittrice Jaeggy, un’altra interna del collegio, che si sente attratta moralmente e fisicamente dalla nuova venuta e che, nell’esposizione della vicenda sa mescolare, con perfetta tecnica, una elementare sintesi letteraria ad una conoscenza culturale che, mi si passi l’azzardo, noi del 1989 (l’anno dell’uscita de I beati…) avevamo già perso in abbondanza.
Ma era l’elemento lesbico a caratterizzare l’intero episodio? Certamente no, anche se noi italiani eravamo stati, almeno fino ad allora, privi di certe tensioni psicologiche. No, c’era dell’altro, un qualcosa di terribile e di quieto: è la terra di nessuno tra perfezione e follia (da un punto di vista strettamente narrativo, tra semplicità ed impegno). Dice l’autrice: E’ inutile che io insista nel dire che nessun’altra ragazza mi interessava e, dopo questo, potrei rispondere a un interrogatorio, ammettere che forse ero innamorata di Frédérique. Non si parlò mai di amore, come invece è abitudine nel mondo. Ma avevamo la certezza che fosse prestabilito.
Eppure, in questo stretto ambiente, quasi riservato, dove tutto accade ma nulla del più insolito ha il potere di verificarsi, il tempo ha qualcosa di prezioso: E forse furono gli anni più belli, pensavo. Gli anni del castigo. Vi è come un’esaltazione, leggera ma costante, negli anni del castigo, nei beati anni del castigo.
La protagonista perderà la sua amica. La ritroverà più avanti e poi di nuovo lontane. Dopo vent’anni mi scrisse una lettera. Sua madre le aveva lasciato qualcosa per vivere. Ma ne aveva abbastanza di essere ospite del manicomio, se continuava così avrebbe preso la via del cimitero.
P.S. Ma i dischi di Battiato, FLEURs, FLEURs 2 e FLEURs 3 sono un omaggio, più che ai fiori musicali degli anni sessanta, alla semplice Fleur Jaeggy?
L’edizione da noi considerata è:
Fleur Jaeggy
I beati anni del castigo
Adelphi
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