CLASSICI
Alfredo Ronci
La Storia con un piglio diverso: “Golia. Marcia del fascismo” di Giuseppe Antonio Borgese.
Il libro inizia con una bella introduzione di Massimo L. Salvatori e con una domanda a cui si cerca di rispondere ma, forse, non nel modo adeguato. Perché il libro di Borgese non ebbe il meritato e giusto successo diversamente da quello che ebbero, per esempio, le opere di Gaetano Salvemini, o di Angelo Tacca?
Non tutti e tre gli autori scrissero contemporaneamente; Salvemini addirittura pubblicò i suoi primi approcci sul fascismo intorno al 1927 e poi da allora non smise mai, mentre Borgese (e questo fu forse uno dei motivi della questione) cominciò a scrivere questo saggio (chiamiamolo così) tra il 1935 e il 1937, pubblicandolo poi in inglese sempre nel 1937. Perché in inglese? Perché tra le tante cose e i tanti affari che Borgese aveva c’era pure quello di tenere delle lezioni di letteratura come professore in visita alla Università della California – Berkeley. Quello che doveva essere solo una specie di favore divenne invece un vero e proprio esilio politico che terminò alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Ma un altro fattore che in qualche modo differenziò gli scritti di Salvemini e Tasca da quello di Borgese è che quest’ultimo, fondamentalmente era un letterato, un narratore (questo sì di successo) che, nonostante il suo impegno giornalistico e saggistico, influenzò parzialmente il suo Golia.
Forse il motivo principale del dilemma ce lo dice lo stesso Borgese quando nella sua introduzione italica afferma che il testo compariva nell’Enciclopedia Britannica sotto “Letteratura italiana del XX secolo, ma nulla nei riferimenti in italiano.
Un narratore che esordì dicendo: Non esiste una razza italiana. E per giustificare questa sua affermazione, la prende un po’ alla larga, partendo da Dante e arrivando, ovviamente, fino al fascismo degli anni ’30. Tralasciando, per ovvi motivi, le origini del problema, vediamo quale fu invece l’atteggiamento di Borgese nei confronti di Mussolini e in genere nei confronti della dittatura fascista. Naturalmente grande attenzione è rivolta al duce e quello che appariva di fronte agli italiani.
L’unico difetto di questa narrazione e dei commenti dell’autore è che Mussolini non fu un rivoluzionario. L’autore si riferisce ad un libro che Emil Ludwig scrisse, esattamente Colloqui con Mussolini, e agli sproloqui che uscirono nel confronto tra i due. Ma perché Mussolini non fu davvero un rivoluzionario? Sempre Borgese ce lo dice, attingendo, se così si può dire, all’arte del mestiere di scrittore: Questa sua cultura e questa sua arte grossolane – assai più deleterie della mancanza totale di cultura o di arte – costituiscono certamente uno degli elementi essenziali della sua personalità.
Le esperienze storiche dei nostri tempi sono ben lungi dal provare che una profonda cultura scientifica porta necessariamente con sé buona volontà e vera conoscenza; e quindi è inutile rammaricarsi se la povertà gli impedì di compiere studi universitari e se la sua preparazione intellettuale, di maestro elementare, fu sempre incompleta.
Poi c’è la questione della marcia su Roma, l’episodio che sconvolse le sorti del nostro paese e diede inizio a quella che fu una vera e propria dittatura. Si è detto molto in proposito, e soprattutto si è indagato sulle origini del fenomeno. Borgese sembra avere in mente idee particolarmente efficaci: La vera turbolenza e i veri tumulti in Italia incominciarono solo quando il fascismo iniziò la guerra civile contro i così detti rossi, che furono creazione del fascismo e non dell’inetto comunismo, paralitico ed anemico, rinnegato dai suoi stessi capi e dalle masse.
E la spiegazione definitiva la dà quaranta pagine più avanti: Del resto la spiegazione di questa relativa moderazione (in quantità se non in qualità? È data dal fatto che il fascismo non fu una rivoluzione né grande né piccola, ma soltanto un colpo di stato controllato direttamente dall’esercito e dalla dinastia e, virtualmente, con la connivenza della Chiesa.
Abbiamo detto che Golia, per come è strutturato e soprattutto per come è scritto, difficilmente può essere inserito nell’ambito della storiografia del fascismo (alcuni giudizi su personalità non solo politiche, vedi D’Annunzio per esempio, rivelano il procedimento di Borgese), ma di vero c’è che l’autore, antifascista convinto, disse verità assolutamente non discutibili.
C’è un ma. Nel 1937 Borgese scriveva: Teoricamente sono contrari al fascismo, questo è evidente; d’altra parte, se si considerano i fatti, è altrettanto chiaro che in Italia non ha avuto luogo nessuna persecuzione sistematica contro gli ebrei, nessuna epurazione o pogrom.
Sarebbe bastato un anno, il 1938, e le cose sarebbero andate diversamente. Ma forse Borgese, dall’alto del suo antifascismo, non lo avrebbe indovinato, nonostante tutto.
L’edizione da noi considerata è:
Giuseppe Antonio Borgese
Golia. Marcia del fascismo.
Oscar Saggi Mondadori
Non tutti e tre gli autori scrissero contemporaneamente; Salvemini addirittura pubblicò i suoi primi approcci sul fascismo intorno al 1927 e poi da allora non smise mai, mentre Borgese (e questo fu forse uno dei motivi della questione) cominciò a scrivere questo saggio (chiamiamolo così) tra il 1935 e il 1937, pubblicandolo poi in inglese sempre nel 1937. Perché in inglese? Perché tra le tante cose e i tanti affari che Borgese aveva c’era pure quello di tenere delle lezioni di letteratura come professore in visita alla Università della California – Berkeley. Quello che doveva essere solo una specie di favore divenne invece un vero e proprio esilio politico che terminò alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Ma un altro fattore che in qualche modo differenziò gli scritti di Salvemini e Tasca da quello di Borgese è che quest’ultimo, fondamentalmente era un letterato, un narratore (questo sì di successo) che, nonostante il suo impegno giornalistico e saggistico, influenzò parzialmente il suo Golia.
Forse il motivo principale del dilemma ce lo dice lo stesso Borgese quando nella sua introduzione italica afferma che il testo compariva nell’Enciclopedia Britannica sotto “Letteratura italiana del XX secolo, ma nulla nei riferimenti in italiano.
Un narratore che esordì dicendo: Non esiste una razza italiana. E per giustificare questa sua affermazione, la prende un po’ alla larga, partendo da Dante e arrivando, ovviamente, fino al fascismo degli anni ’30. Tralasciando, per ovvi motivi, le origini del problema, vediamo quale fu invece l’atteggiamento di Borgese nei confronti di Mussolini e in genere nei confronti della dittatura fascista. Naturalmente grande attenzione è rivolta al duce e quello che appariva di fronte agli italiani.
L’unico difetto di questa narrazione e dei commenti dell’autore è che Mussolini non fu un rivoluzionario. L’autore si riferisce ad un libro che Emil Ludwig scrisse, esattamente Colloqui con Mussolini, e agli sproloqui che uscirono nel confronto tra i due. Ma perché Mussolini non fu davvero un rivoluzionario? Sempre Borgese ce lo dice, attingendo, se così si può dire, all’arte del mestiere di scrittore: Questa sua cultura e questa sua arte grossolane – assai più deleterie della mancanza totale di cultura o di arte – costituiscono certamente uno degli elementi essenziali della sua personalità.
Le esperienze storiche dei nostri tempi sono ben lungi dal provare che una profonda cultura scientifica porta necessariamente con sé buona volontà e vera conoscenza; e quindi è inutile rammaricarsi se la povertà gli impedì di compiere studi universitari e se la sua preparazione intellettuale, di maestro elementare, fu sempre incompleta.
Poi c’è la questione della marcia su Roma, l’episodio che sconvolse le sorti del nostro paese e diede inizio a quella che fu una vera e propria dittatura. Si è detto molto in proposito, e soprattutto si è indagato sulle origini del fenomeno. Borgese sembra avere in mente idee particolarmente efficaci: La vera turbolenza e i veri tumulti in Italia incominciarono solo quando il fascismo iniziò la guerra civile contro i così detti rossi, che furono creazione del fascismo e non dell’inetto comunismo, paralitico ed anemico, rinnegato dai suoi stessi capi e dalle masse.
E la spiegazione definitiva la dà quaranta pagine più avanti: Del resto la spiegazione di questa relativa moderazione (in quantità se non in qualità? È data dal fatto che il fascismo non fu una rivoluzione né grande né piccola, ma soltanto un colpo di stato controllato direttamente dall’esercito e dalla dinastia e, virtualmente, con la connivenza della Chiesa.
Abbiamo detto che Golia, per come è strutturato e soprattutto per come è scritto, difficilmente può essere inserito nell’ambito della storiografia del fascismo (alcuni giudizi su personalità non solo politiche, vedi D’Annunzio per esempio, rivelano il procedimento di Borgese), ma di vero c’è che l’autore, antifascista convinto, disse verità assolutamente non discutibili.
C’è un ma. Nel 1937 Borgese scriveva: Teoricamente sono contrari al fascismo, questo è evidente; d’altra parte, se si considerano i fatti, è altrettanto chiaro che in Italia non ha avuto luogo nessuna persecuzione sistematica contro gli ebrei, nessuna epurazione o pogrom.
Sarebbe bastato un anno, il 1938, e le cose sarebbero andate diversamente. Ma forse Borgese, dall’alto del suo antifascismo, non lo avrebbe indovinato, nonostante tutto.
L’edizione da noi considerata è:
Giuseppe Antonio Borgese
Golia. Marcia del fascismo.
Oscar Saggi Mondadori
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