RECENSIONI
Paolo Giordano
La solitudine dei numeri primi
Mondadori, Pag.304 Euro 18,00
Evita, l'autore e graziamdio, il piglio coturnato. Perché dal titolo se ne poteva avere il sospetto: La solitudine dei numeri primi ha sì la bellezza dell'intuito felice, ma anche della patinatura delle operazioni a tavolino. E invece no.
Ci spiega il Giordano a pag. 129: I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi.
Parte poi l'identificazione coi personaggi principali: Mattia appunto, sorta di geniaccio matematico, che ha un grosso neo sulla coscienza, quello di aver abbandonato da piccolo la sorella gemella ritardata (che non sarà mai ritrovata) e Alice, che ha problemi ad una gamba per un incidente che ha avuto sulla neve quando aveva pochi anni e che soffre di anoressia.
Dio li fa e poi li accoppia (o come disse un becero anni fa, dio li fa e poi li accoppa), ma le qualità creative e demiurgiche del Giordano stanno appena sotto, una 'nticchia come si dice a San Donato Milanese: lui li dipinge con una instabilità del vivere talmente evidente che non si può non tifare per i poverelli e augurar loro tutto il bene della vita.
La corte dei miracoli (ma sì i due protagonisti più i comprimari – a propos, ma perché l'autore prima costruisce la passione di Denis per Mattia e poi il primo lo fa sparire nei giardini della preesistenza, come avrebbe detto Battiato? Peccato davvero!) si agita in un'atmosfera giovanile e recalcitrante che ricorda, a tratti, la Archibugi della Mignon è partita, meno l'ambientazione liceale acida di Via Ripetta 218, della Pingitore, che rammentiamo qua solo perché recentemente esaminata. Ma non basta al Giordano per evidenziare anche la sfiga dei due: vi è di più nella vita del ragazzo e della ragazza un distacco dal piacere che a volte spaventa. Siamo certi, questo distacco non è di natura confessionale, ma psicopatologico, quindi se vogliamo più comune e comprensibile. Ma lo scrittore lo usa come un vero e proprio tortore per annichilire le creature.
Un bell'esordio narrativo questo (che il titolo derivi dal fatto che l'autore è laureato in Fisica teorica, che io non so nemmeno cos'è?), che si legge con un piacere, ma sporco secondo me da un tratteggio quasi perverso dei personaggi. Non si discute il fatto che siano delineati bene e raccontati con un linguaggio, come si diceva in prima battuta, del tutto estraneo alla composizione d'effetto. Quel che non mi convince è la "durezza" dei due, questa loro irrisolta difficoltà del vivere che invece, questa sì, sembra essere messa lì come fenomenologia. Cioè, una coazione a ripetere dei gesti e dei pensieri che a volte stanca.
Ha un gran bel guardare avanti questo Giordano coi suoi 26 anni, considerando le sciagure letterarie giovanili che ci tocca leggere sempre più spesso, ma non insista su espressioni fin troppo post-puberali. Verifichi che al di là esistono condizioni esistenziali meno anomale: un tipo strano passi, due pure pure, tre è una jattura, quattro un caravanserraglio.
di Alfredo Ronci
Ci spiega il Giordano a pag. 129: I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi.
Parte poi l'identificazione coi personaggi principali: Mattia appunto, sorta di geniaccio matematico, che ha un grosso neo sulla coscienza, quello di aver abbandonato da piccolo la sorella gemella ritardata (che non sarà mai ritrovata) e Alice, che ha problemi ad una gamba per un incidente che ha avuto sulla neve quando aveva pochi anni e che soffre di anoressia.
Dio li fa e poi li accoppia (o come disse un becero anni fa, dio li fa e poi li accoppa), ma le qualità creative e demiurgiche del Giordano stanno appena sotto, una 'nticchia come si dice a San Donato Milanese: lui li dipinge con una instabilità del vivere talmente evidente che non si può non tifare per i poverelli e augurar loro tutto il bene della vita.
La corte dei miracoli (ma sì i due protagonisti più i comprimari – a propos, ma perché l'autore prima costruisce la passione di Denis per Mattia e poi il primo lo fa sparire nei giardini della preesistenza, come avrebbe detto Battiato? Peccato davvero!) si agita in un'atmosfera giovanile e recalcitrante che ricorda, a tratti, la Archibugi della Mignon è partita, meno l'ambientazione liceale acida di Via Ripetta 218, della Pingitore, che rammentiamo qua solo perché recentemente esaminata. Ma non basta al Giordano per evidenziare anche la sfiga dei due: vi è di più nella vita del ragazzo e della ragazza un distacco dal piacere che a volte spaventa. Siamo certi, questo distacco non è di natura confessionale, ma psicopatologico, quindi se vogliamo più comune e comprensibile. Ma lo scrittore lo usa come un vero e proprio tortore per annichilire le creature.
Un bell'esordio narrativo questo (che il titolo derivi dal fatto che l'autore è laureato in Fisica teorica, che io non so nemmeno cos'è?), che si legge con un piacere, ma sporco secondo me da un tratteggio quasi perverso dei personaggi. Non si discute il fatto che siano delineati bene e raccontati con un linguaggio, come si diceva in prima battuta, del tutto estraneo alla composizione d'effetto. Quel che non mi convince è la "durezza" dei due, questa loro irrisolta difficoltà del vivere che invece, questa sì, sembra essere messa lì come fenomenologia. Cioè, una coazione a ripetere dei gesti e dei pensieri che a volte stanca.
Ha un gran bel guardare avanti questo Giordano coi suoi 26 anni, considerando le sciagure letterarie giovanili che ci tocca leggere sempre più spesso, ma non insista su espressioni fin troppo post-puberali. Verifichi che al di là esistono condizioni esistenziali meno anomale: un tipo strano passi, due pure pure, tre è una jattura, quattro un caravanserraglio.
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