RECENSIONI
Fabrizio Patriarca
Leopardi e l'invenzione della moda
Gaffi editore, Pag. 202 Euro 13,00
La straordinaria attualità di Leopardi non smette mai di sorprenderci. E ogni volta che qualche studioso riesce a mettere insieme pezzi della sua rilevante opera è come se ci dischiudesse frammenti di un puzzle illuminante. Prendete questo saggio di Fabrizio Patriarca, giovane dottore di ricerca in letteratura italiana. Una vera chicca.
Partendo dal mai troppo citato Dialogo della Moda e della Morte del poeta di Recanati, ci accompagna in un viaggio profetico che, proprio tramite le intuizioni leopardiane, arriva ad annunciarci che il post-moderno era stato anticipato almeno un paio di secoli fa.
Si evince: moda e morte hanno una cosa in comune, anzi due: la transitorietà e la caducità (di cui l'effimero è componente essenziale in questo caso). Leopardi, ricordiamolo per gli smemorati, fa dialogare le due signore dei nostri tempi. E, con arguzia direi giocosa, fa sì che la prima spodesti il ruolo di potenza e spauracchio che la seconda si era conquistata in tanti secoli. La moda in Leopardi annuncia molto più e molto meglio della morte la caducità e la transitorietà dell'umano.
Cadaveri che camminano agghindati, ma non solo, oggettistica divenuta feticcio, ma non solo, fraseggi, modi di dire, di atteggiarsi. Il contemporaneo rende tutto moda. O forse sarebbe meglio dire la moda rende tutto il contemporaneo come se stessa. Leopardi, come un Totò di A'Livella al contrario, in quel saggio raggiunge livelli altissimi di scrittura, per certi versi brillante e sferzante, e di emotività. E, come ricorda Patriarca, col Dialogo della Moda e della Morte la strategia classica – fino troppo familiare a Leopardi – della scrittura filosofica si riversa nel teatro, sconfinando nel puro dialogo.
Come faceva il re del pessimismo cosmico a intuire quello che sarebbe successo di lì a qualche anno (o secolo)? Mistero. "Sforacchiare orecchi, labbra e nasi; stracciarli colle bazzecole che io v'appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi". Sembra descriva una giornata in un tattoo shop, mancava solo che citasse i Megadeath come gruppo di riferimento dei tatuatori e stavamo apposto. Forse aveva già intuito che il corpo è di per sé un segno e un simbolo. E la moda, con le sue grinfie griffate più spietate della morte, di quel corpo e di quel contesto sociale in cui è immerso, fa quel che vuole. Patriarca cita Baudrillard per cui la morte è: Ciò che ci attende al termine del sistema, e lo sterminio simbolico che aspetta al varco il sistema stesso Bene. Ma non è questo il "carattere profondo della moda"? Ricorda Patriarca. Per certi versi, quindi, molto più pericolosa di una qualsiasi Rivoluzione d'Ottobre? Ovviamente.
Non poteva mancare, poi, il riferimento alla Natura. A quella matrigna tanto amata-odiata dal poeta. In questo caso è difesa. La naturalità della Natura contro l'innaturalità (il nulla?) del corpo agghindato, de-naturalizzato. Patriarca ce lo ricorda: E' doveroso allora osservare la trasformazione del corpo una volta che venga risucchiato nell'orbita della moda: il corpo dipinto, il corpo restaurato, il corpo contemporaneo reso liscio e traslucido da una chirurgia che scardina gli ultimi baluardi dell'intelligenza. Il corpo dell'indossatrice, o del modello sulla rivista patinata: questi corpi sembrano infrangere l'astrazione, ma il loro specifico è il nulla.
Come se ne esce? Il poeta, da buon bacchettone illuminato, oppone la longevità del filosofare alla caducità dell'effimero modaiolo. Alle coordinate tradizionali della moda, della casualità e transitorietà – scrive Patriarca – il gusto per la filosofia oppone la sua durevolezza. In che modo? E' semplice. Si torni all'ambizione all'immortalità attraverso la fama, un'ambizione che, Leopardi fa dire alla moda: "ho levata via... e anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse." E' il quadro dell'oggi. L'immortalità non è più a portata di mano (a portata di "fama")... diventa non curanza, assenza di vera ambizione, frivolezza. Alla ricerca della fama si è sostituita una mitologia dell'adorazione che tutto sommato vieta ogni prospettiva di concretezza, specifica Patriarca. E' il trionfo di Bruno Vespa e di Alba Parietti. Notevoli, in cima a ogni inizio capitolo, le citazioni apportate. Sontuosa quella di Roland Barthes: "E' come se, alla fine di ogni toilette, vi fosse sempre, compreso nell'eccitazione che essa suscita, il corpo ucciso, imbalsamato, laccato, imbellito alla maniera di una vittima. Vestendomi, io faccio bello ciò che sta per essere guastato dal desiderio."
Un saggio che, come un medicinale, è da consigliare a tutti i genitori degli adolescenti che guardano 'Uomini e Donne' o 'Amici'. Non sono state rilevate controindicazioni.
di Adriano Angelini
Partendo dal mai troppo citato Dialogo della Moda e della Morte del poeta di Recanati, ci accompagna in un viaggio profetico che, proprio tramite le intuizioni leopardiane, arriva ad annunciarci che il post-moderno era stato anticipato almeno un paio di secoli fa.
Si evince: moda e morte hanno una cosa in comune, anzi due: la transitorietà e la caducità (di cui l'effimero è componente essenziale in questo caso). Leopardi, ricordiamolo per gli smemorati, fa dialogare le due signore dei nostri tempi. E, con arguzia direi giocosa, fa sì che la prima spodesti il ruolo di potenza e spauracchio che la seconda si era conquistata in tanti secoli. La moda in Leopardi annuncia molto più e molto meglio della morte la caducità e la transitorietà dell'umano.
Cadaveri che camminano agghindati, ma non solo, oggettistica divenuta feticcio, ma non solo, fraseggi, modi di dire, di atteggiarsi. Il contemporaneo rende tutto moda. O forse sarebbe meglio dire la moda rende tutto il contemporaneo come se stessa. Leopardi, come un Totò di A'Livella al contrario, in quel saggio raggiunge livelli altissimi di scrittura, per certi versi brillante e sferzante, e di emotività. E, come ricorda Patriarca, col Dialogo della Moda e della Morte la strategia classica – fino troppo familiare a Leopardi – della scrittura filosofica si riversa nel teatro, sconfinando nel puro dialogo.
Come faceva il re del pessimismo cosmico a intuire quello che sarebbe successo di lì a qualche anno (o secolo)? Mistero. "Sforacchiare orecchi, labbra e nasi; stracciarli colle bazzecole che io v'appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi". Sembra descriva una giornata in un tattoo shop, mancava solo che citasse i Megadeath come gruppo di riferimento dei tatuatori e stavamo apposto. Forse aveva già intuito che il corpo è di per sé un segno e un simbolo. E la moda, con le sue grinfie griffate più spietate della morte, di quel corpo e di quel contesto sociale in cui è immerso, fa quel che vuole. Patriarca cita Baudrillard per cui la morte è: Ciò che ci attende al termine del sistema, e lo sterminio simbolico che aspetta al varco il sistema stesso Bene. Ma non è questo il "carattere profondo della moda"? Ricorda Patriarca. Per certi versi, quindi, molto più pericolosa di una qualsiasi Rivoluzione d'Ottobre? Ovviamente.
Non poteva mancare, poi, il riferimento alla Natura. A quella matrigna tanto amata-odiata dal poeta. In questo caso è difesa. La naturalità della Natura contro l'innaturalità (il nulla?) del corpo agghindato, de-naturalizzato. Patriarca ce lo ricorda: E' doveroso allora osservare la trasformazione del corpo una volta che venga risucchiato nell'orbita della moda: il corpo dipinto, il corpo restaurato, il corpo contemporaneo reso liscio e traslucido da una chirurgia che scardina gli ultimi baluardi dell'intelligenza. Il corpo dell'indossatrice, o del modello sulla rivista patinata: questi corpi sembrano infrangere l'astrazione, ma il loro specifico è il nulla.
Come se ne esce? Il poeta, da buon bacchettone illuminato, oppone la longevità del filosofare alla caducità dell'effimero modaiolo. Alle coordinate tradizionali della moda, della casualità e transitorietà – scrive Patriarca – il gusto per la filosofia oppone la sua durevolezza. In che modo? E' semplice. Si torni all'ambizione all'immortalità attraverso la fama, un'ambizione che, Leopardi fa dire alla moda: "ho levata via... e anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse." E' il quadro dell'oggi. L'immortalità non è più a portata di mano (a portata di "fama")... diventa non curanza, assenza di vera ambizione, frivolezza. Alla ricerca della fama si è sostituita una mitologia dell'adorazione che tutto sommato vieta ogni prospettiva di concretezza, specifica Patriarca. E' il trionfo di Bruno Vespa e di Alba Parietti. Notevoli, in cima a ogni inizio capitolo, le citazioni apportate. Sontuosa quella di Roland Barthes: "E' come se, alla fine di ogni toilette, vi fosse sempre, compreso nell'eccitazione che essa suscita, il corpo ucciso, imbalsamato, laccato, imbellito alla maniera di una vittima. Vestendomi, io faccio bello ciò che sta per essere guastato dal desiderio."
Un saggio che, come un medicinale, è da consigliare a tutti i genitori degli adolescenti che guardano 'Uomini e Donne' o 'Amici'. Non sono state rilevate controindicazioni.
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Qualcosa abbiamo fatto
Gaffi, Pag. 438 Euro 16,00Mi sovviene un ricordo, chissà se per nostalgia o per assonanza, di quando Callisto Cosulich, critico cinematografico di 'Paese Sera', di fronte alla visione di Superman, il primo, quello con lo scomparso Christopher Reeves, pronunciò tale sentenza: non è roba per il cinema, ma per la psicanalisi. A dir la verità non l'ho mai capita, ma ora me ne approprio.
Qualcosa abbiamo fatto non è roba per la letteratura, ma per la psicanalisi:
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