INTERVISTE
Marco Bosonetto
Domanda inevitabile: visto che il tuo libro parla dei bamboccioni che non vanno mai via di casa, quanto del "problema" ti è stato suggerito dal ministro Padoa Schioppa e quanto invece da una tua considerazione generale?
Requiem per un'adolescenza prolungata fa parte di una storia più complessa e corale che per ora non ha trovato uno sbocco editoriale. Ci lavoro dal 2000, ben prima dell'uscita di Padoa-Schioppa sui bamboccioni, che peraltro non mi ha scandalizzato. Ci sono persone che inseguono l'autonomia e non la raggiungono per oggettive difficoltà economiche, legate spesso a nuove forme di sfruttamento (pardon, "flessibilità"), ma ci sono anche tanti "ragazzi" a oltranza che rimangono nella famiglia d'origine per potersi permettere uno stile di vita che da soli non potrebbero mantenere. In ogni caso, siamo un popolo che fatica ad assumersi responsabilità, che non può, o non vuole, sottrarsi alla tutela di padri e padrini.
Tu hai trentotto anni. Hai superato la "fase critica" del distacco dai genitori?
Convivo con la mia compagna (ora moglie e madre del piccolo Pietro) da quando avevo 26 anni. Fra i miei coetanei, almeno fra quelli laureati, sono stato "precoce". Nel Nordeuropea sarei già stato etichettabile come "bamboccione". All'epoca avevo appena cominciato a fare il traduttore, un lavoro bellissimo ma sottopagato e incerto. Mi sono buttato e ne sono felice. Certo, sapevo che in caso di necessità la mia famiglia avrebbe potuto sostenermi, e non tutti hanno questa fortuna. Inoltre, a trascinarmi fuori casa è stata soprattutto la mia compagna. Chissà, forse senza di lei mi lascerei ancora rifare il letto dalla mamma. Ma preferisco pensare di no.
I tuoi libri sono sempre al limite del "surreale". Dal bibliotecario che va alla ricerca dei folli sottolineatori al vecchio che rinnega l'universo concentrazionista dei campi di sterminio. Ora una storia ambientata addirittura nel futuro (per quanto molto vicino...).
Gadda diceva: "Barocco non è Gadda, barocco è il mondo". La realtà spesso è assolutamente surreale. Non condivido l'entusiasmo di molta critica per la misura, il saper togliere, il minimalismo. Ho letto con passione Calvino, Queneau, più recentemente Pennac. Preferisco uno scrittore che sbrodola ma mi stupisce a uno che non si concede nulla di inessenziale ma è prevedibile. Per quanto riguarda Requiem per un'adolescenza prolungata, si svolge in futuro molto simile al nostro presente. Mi serviva spostare la vicenda un po' avanti nel tempo per potermi concedere qualche libertà, come la Campagna per lo Sradicamento dell'Adolescenza Prolungata, un settore della polizia che si occupa di cacciare di casa i "bamboccioni", che ovviamente oggi non esiste.
A proposito di futuro, anche tu hai amato la fantascienza come l'abbiamo amata noi?
Non amo molto la fantascienza "tecnologica". Ho letto Asimov senza entusiasmo, per esempio. Mi piace la fantascienza "sociologica", invece, innanzitutto le grandi utopie negative di Orwell, Huxley, Zamjatin. Ma il mio vero modello è Kurt Vonnegut. Nei suoi libri ci sono l'ironia, l'intelligenza, la fantasia e la critica feroce che vorrei tanto riuscire a mettere nei miei.
La scena ultima del libro dove il protagonista partecipa ad una cerimonia d'iniziazione mi ricorda molto la mascherata kubrickiana di "Eyes wide shut". Ho preso proprio una cantonata?
Non ci avevo pensato, però non è una cantonata, è un complimento. Per quella scena non avevo un modello specifico. Ma spero che in tutto il libro si respiri un po' dell'atmosfera febbrile e un po' allucinata de Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. E a pensarci bene lì c'è una "mascherata" satanica, un ballo in un appartamento che si dilata nello spazio finché ci trova posto una folla enorme.
Hai scritto un libro su Cuneo. Quanto amore un cuneese per eccellenza come Nuto Revelli, autore del fondamentale "Il mondo dei vinti", ti ha trasmesso per la gente umile e spesso dimenticata?
Secondo me la lezione fondamentale di Nuto Revelli è che i libri devono servire a qualcosa, a riparare torti. Lui riparava torti intervistando i "vinti" della civiltà contadina, o i "preti giusti" emarginati dalla gerarchia ecclesiastica. Io ci provo con altri strumenti: l'ironia, l'avventura, il grottesco. Ma in fondo il protagonista del mio libro, Candido Neve, è un "vinto". Ha passato anni a studiare con impegno e amore cose che sul mercato non valgono nulla. E non si dà pace, non vuole accettare un lavoro che sia mero reddito e non anche la realizzazione di una sua aspirazione legittima. Così si trova in trappola, rifiuta di crescere. Finché non trova un suo modo paradossale per tradirsi senza tradirsi troppo, impara "a darsi un prezzo". È un personaggio che spero susciti ribrezzo e simpatia allo stesso tempo.
La Resistenza a volte sembra un concetto superato. Cuneo è stata terra di grandi partigiani, Revelli appunto e anche Bocca, cosa ne pensi di questo tentativo di sminuirla se non addirittura delegittimarla che qualche forza politica sta portando avanti in questi ultimi anni?
Sono fiero che per qualcuno la città in cui sono cresciuto sia associata a personaggi di grande statura culturale e morale come Revelli e Bocca e non a certe facce da rotocalco come Briatore e Santanché. La Resistenza è stato uno dei rari momenti storici in cui una fetta consistente di italiani (minoritaria ma significativa) ha deciso di agire da adulta, senza aspettare l'intervento salvifico di un esercito straniero o di un uomo del destino. Chi cerca di sminuirne il valore lo fa per motivi strumentali: vuol mettere sullo stesso piano chi rastrellava ebrei da mandare ad Auschwitz per conto dei tedeschi e chi rischiava la vita per liberare il Paese da una dittatura ventennale. È un'operazione ignobile. Non bisogna però nascondersi i limiti della storiografia antifascista: in primo luogo l'errore di aver avallato un'idea della Resistenza come insurrezione popolare contro un fascismo senza consenso. Purtroppo invece il fascismo aveva un consenso enorme, oserei dire che ce l'ha ancora. Visto che siamo in tema, ne approfitto per parlare di uno delle cose a cui tengo di più fra quelle che ho scritto: Mucche ballerine. È un monologo teatrale in cui una mucca valdostana racconta un pezzo di Resistenza, basato su un'idea originale dell'attrice Alessandra Celesia. Ha girato un po' l'Italia, soprattutto in recite per le scuole. Quest'estate va al Festival di Avignone, in traduzione francese. Ne sono molto fiero: fa ridere, piangere, riflettere. Fine dell'autoincensamento.
Sei traduttore dall'inglese. C'è uno scrittore che ti piace in modo particolare ed un altro che vorresti tradurre ma non ne hai avuto la possibilità?
Mi è piaciuto molto tradurre Cancellazione di Percival Everett (Instar Libri 2007). Un libro difficile ma per certi versi geniale, illuminante sugli stereotipi razziali. Un autore che vorrei tradurre, scusa se mi ripeto, è Kurt Vonnegut.
Il libro che hai sul comodino.
In questi momento Chesil Beach di Ian McEwan, anche se non ho esattamente un comodino.
Requiem per un'adolescenza prolungata fa parte di una storia più complessa e corale che per ora non ha trovato uno sbocco editoriale. Ci lavoro dal 2000, ben prima dell'uscita di Padoa-Schioppa sui bamboccioni, che peraltro non mi ha scandalizzato. Ci sono persone che inseguono l'autonomia e non la raggiungono per oggettive difficoltà economiche, legate spesso a nuove forme di sfruttamento (pardon, "flessibilità"), ma ci sono anche tanti "ragazzi" a oltranza che rimangono nella famiglia d'origine per potersi permettere uno stile di vita che da soli non potrebbero mantenere. In ogni caso, siamo un popolo che fatica ad assumersi responsabilità, che non può, o non vuole, sottrarsi alla tutela di padri e padrini.
Tu hai trentotto anni. Hai superato la "fase critica" del distacco dai genitori?
Convivo con la mia compagna (ora moglie e madre del piccolo Pietro) da quando avevo 26 anni. Fra i miei coetanei, almeno fra quelli laureati, sono stato "precoce". Nel Nordeuropea sarei già stato etichettabile come "bamboccione". All'epoca avevo appena cominciato a fare il traduttore, un lavoro bellissimo ma sottopagato e incerto. Mi sono buttato e ne sono felice. Certo, sapevo che in caso di necessità la mia famiglia avrebbe potuto sostenermi, e non tutti hanno questa fortuna. Inoltre, a trascinarmi fuori casa è stata soprattutto la mia compagna. Chissà, forse senza di lei mi lascerei ancora rifare il letto dalla mamma. Ma preferisco pensare di no.
I tuoi libri sono sempre al limite del "surreale". Dal bibliotecario che va alla ricerca dei folli sottolineatori al vecchio che rinnega l'universo concentrazionista dei campi di sterminio. Ora una storia ambientata addirittura nel futuro (per quanto molto vicino...).
Gadda diceva: "Barocco non è Gadda, barocco è il mondo". La realtà spesso è assolutamente surreale. Non condivido l'entusiasmo di molta critica per la misura, il saper togliere, il minimalismo. Ho letto con passione Calvino, Queneau, più recentemente Pennac. Preferisco uno scrittore che sbrodola ma mi stupisce a uno che non si concede nulla di inessenziale ma è prevedibile. Per quanto riguarda Requiem per un'adolescenza prolungata, si svolge in futuro molto simile al nostro presente. Mi serviva spostare la vicenda un po' avanti nel tempo per potermi concedere qualche libertà, come la Campagna per lo Sradicamento dell'Adolescenza Prolungata, un settore della polizia che si occupa di cacciare di casa i "bamboccioni", che ovviamente oggi non esiste.
A proposito di futuro, anche tu hai amato la fantascienza come l'abbiamo amata noi?
Non amo molto la fantascienza "tecnologica". Ho letto Asimov senza entusiasmo, per esempio. Mi piace la fantascienza "sociologica", invece, innanzitutto le grandi utopie negative di Orwell, Huxley, Zamjatin. Ma il mio vero modello è Kurt Vonnegut. Nei suoi libri ci sono l'ironia, l'intelligenza, la fantasia e la critica feroce che vorrei tanto riuscire a mettere nei miei.
La scena ultima del libro dove il protagonista partecipa ad una cerimonia d'iniziazione mi ricorda molto la mascherata kubrickiana di "Eyes wide shut". Ho preso proprio una cantonata?
Non ci avevo pensato, però non è una cantonata, è un complimento. Per quella scena non avevo un modello specifico. Ma spero che in tutto il libro si respiri un po' dell'atmosfera febbrile e un po' allucinata de Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. E a pensarci bene lì c'è una "mascherata" satanica, un ballo in un appartamento che si dilata nello spazio finché ci trova posto una folla enorme.
Hai scritto un libro su Cuneo. Quanto amore un cuneese per eccellenza come Nuto Revelli, autore del fondamentale "Il mondo dei vinti", ti ha trasmesso per la gente umile e spesso dimenticata?
Secondo me la lezione fondamentale di Nuto Revelli è che i libri devono servire a qualcosa, a riparare torti. Lui riparava torti intervistando i "vinti" della civiltà contadina, o i "preti giusti" emarginati dalla gerarchia ecclesiastica. Io ci provo con altri strumenti: l'ironia, l'avventura, il grottesco. Ma in fondo il protagonista del mio libro, Candido Neve, è un "vinto". Ha passato anni a studiare con impegno e amore cose che sul mercato non valgono nulla. E non si dà pace, non vuole accettare un lavoro che sia mero reddito e non anche la realizzazione di una sua aspirazione legittima. Così si trova in trappola, rifiuta di crescere. Finché non trova un suo modo paradossale per tradirsi senza tradirsi troppo, impara "a darsi un prezzo". È un personaggio che spero susciti ribrezzo e simpatia allo stesso tempo.
La Resistenza a volte sembra un concetto superato. Cuneo è stata terra di grandi partigiani, Revelli appunto e anche Bocca, cosa ne pensi di questo tentativo di sminuirla se non addirittura delegittimarla che qualche forza politica sta portando avanti in questi ultimi anni?
Sono fiero che per qualcuno la città in cui sono cresciuto sia associata a personaggi di grande statura culturale e morale come Revelli e Bocca e non a certe facce da rotocalco come Briatore e Santanché. La Resistenza è stato uno dei rari momenti storici in cui una fetta consistente di italiani (minoritaria ma significativa) ha deciso di agire da adulta, senza aspettare l'intervento salvifico di un esercito straniero o di un uomo del destino. Chi cerca di sminuirne il valore lo fa per motivi strumentali: vuol mettere sullo stesso piano chi rastrellava ebrei da mandare ad Auschwitz per conto dei tedeschi e chi rischiava la vita per liberare il Paese da una dittatura ventennale. È un'operazione ignobile. Non bisogna però nascondersi i limiti della storiografia antifascista: in primo luogo l'errore di aver avallato un'idea della Resistenza come insurrezione popolare contro un fascismo senza consenso. Purtroppo invece il fascismo aveva un consenso enorme, oserei dire che ce l'ha ancora. Visto che siamo in tema, ne approfitto per parlare di uno delle cose a cui tengo di più fra quelle che ho scritto: Mucche ballerine. È un monologo teatrale in cui una mucca valdostana racconta un pezzo di Resistenza, basato su un'idea originale dell'attrice Alessandra Celesia. Ha girato un po' l'Italia, soprattutto in recite per le scuole. Quest'estate va al Festival di Avignone, in traduzione francese. Ne sono molto fiero: fa ridere, piangere, riflettere. Fine dell'autoincensamento.
Sei traduttore dall'inglese. C'è uno scrittore che ti piace in modo particolare ed un altro che vorresti tradurre ma non ne hai avuto la possibilità?
Mi è piaciuto molto tradurre Cancellazione di Percival Everett (Instar Libri 2007). Un libro difficile ma per certi versi geniale, illuminante sugli stereotipi razziali. Un autore che vorrei tradurre, scusa se mi ripeto, è Kurt Vonnegut.
Il libro che hai sul comodino.
In questi momento Chesil Beach di Ian McEwan, anche se non ho esattamente un comodino.
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