RECENSIONI
Alessandro Berselli
Non fare la cosa giusta
Perdisa Editore, Pag. 237 Euro 15,00
Esibisce un'immediatezza che è in realtà frutto di tecnica consumata. Consumata almeno in due sensi. Quello dell'esperienza, e quello del logorio a cui vanno incontro le cose troppo viste.
Siamo distanti, Erica. Ci illudiamo di capirvi ma non è mica così. Non siamo i genitori che pensiamo di essere, e non parlo solo di me e di tua madre. E' tutta la nostra generazione a essere vittima di un abbaglio. (...) Illusi e presuntuosi. Incapaci di comprendervi ci fingiamo vostri amici perché inadatti a essere genitori. Inabilitati a interpretare un ruolo ce ne inventiamo un altro. Recitandoli male tutti e due.
Il protagonista, per quanto narri in prima persona (e si sa che l'io narrante si guadagna di solito almeno qualche punto di empatia, se non di simpatia vera e propria), risulta subito antipatico. Sì, perché questo tormentato quarantenne, informatore farmaceutico e padre di famiglia, più che tormentato è un gran bastardo. In più, è sobillato da uno psichiatra che predica l'edonismo puro e la liberazione degli istinti. Decide quindi di togliersi una serie di soddisfazioni che spesso sfociano nella violenza gratuita. Questo accade nella prima parte della storia, fino a un evento tragico che fa da spartiacque. Qui il romanzo comincia a decollare, come se la psicologia del personaggio fosse più sentita, più autentica. Finalmente c'è qualcosa che giustifica, o per lo meno rende verosimili i suoi eccessi. Ma non è vero che, come dice la presentazione, da quel momento tutto cambia. Al contrario, si sviluppa semplicemente un percorso già avviato in modo irreversibile. Capiamoci, se liberare gli istinti ti porta a dare fuoco a un barbone (nota bene: da solo, a freddo, mentre di solito chi compie questi atti criminali è supportato da un branco) vuol dire che hai già superato ogni limite, e non serve che ti ammazzino la figlia per diventare un violento o un assassino.
Il romanzo è scorrevole, sostenuto da un buon mestiere, ma è penalizzato dalla prima parte, che con le sue forzature impedisce la frattura fra prima e dopo, e neutralizza la discrepanza che è inizio e principio dinamico di ogni storia. Alla fine quello che si ricava è una tesi sociologica molto semplice: regole e trasgressioni, in una società così malata, non sono che facce della stessa medaglia.
Quanto ero stupido, alla tua età,Erica. Se potessi dirti ora quello che penso della vita, ti direi: "Fai qualsiasi cosa, ma non fare mai la cosa giusta". Perché siamo esseri insinceri, doppiogiochisti, inclini al tranello e all'imbroglio. E quindi che senso ha imporci quella integrità che non ci appartiene? Tanto vale cedere all'illecito, all'illegittimo, all'immorale, al disonesto, al corrotto, al depravato, al dissoluto, all'indecente, all'ingiusto.
Veniamo ai dettagli ortografici. Cos'è questa nuova moda (moda o cialtroneria?) di scrivere da anziché dà (verbo dare) e si invece di sì (affermazione)? Dipenderà dall'autore, dal correttore di bozze (ammesso che esista) o dall'editore che risparmia sugli accenti?
Non posso esimermi, infine, da un'osservazione sull'involucro: la copertina fa cagare.
di Giovanna Repetto
Siamo distanti, Erica. Ci illudiamo di capirvi ma non è mica così. Non siamo i genitori che pensiamo di essere, e non parlo solo di me e di tua madre. E' tutta la nostra generazione a essere vittima di un abbaglio. (...) Illusi e presuntuosi. Incapaci di comprendervi ci fingiamo vostri amici perché inadatti a essere genitori. Inabilitati a interpretare un ruolo ce ne inventiamo un altro. Recitandoli male tutti e due.
Il protagonista, per quanto narri in prima persona (e si sa che l'io narrante si guadagna di solito almeno qualche punto di empatia, se non di simpatia vera e propria), risulta subito antipatico. Sì, perché questo tormentato quarantenne, informatore farmaceutico e padre di famiglia, più che tormentato è un gran bastardo. In più, è sobillato da uno psichiatra che predica l'edonismo puro e la liberazione degli istinti. Decide quindi di togliersi una serie di soddisfazioni che spesso sfociano nella violenza gratuita. Questo accade nella prima parte della storia, fino a un evento tragico che fa da spartiacque. Qui il romanzo comincia a decollare, come se la psicologia del personaggio fosse più sentita, più autentica. Finalmente c'è qualcosa che giustifica, o per lo meno rende verosimili i suoi eccessi. Ma non è vero che, come dice la presentazione, da quel momento tutto cambia. Al contrario, si sviluppa semplicemente un percorso già avviato in modo irreversibile. Capiamoci, se liberare gli istinti ti porta a dare fuoco a un barbone (nota bene: da solo, a freddo, mentre di solito chi compie questi atti criminali è supportato da un branco) vuol dire che hai già superato ogni limite, e non serve che ti ammazzino la figlia per diventare un violento o un assassino.
Il romanzo è scorrevole, sostenuto da un buon mestiere, ma è penalizzato dalla prima parte, che con le sue forzature impedisce la frattura fra prima e dopo, e neutralizza la discrepanza che è inizio e principio dinamico di ogni storia. Alla fine quello che si ricava è una tesi sociologica molto semplice: regole e trasgressioni, in una società così malata, non sono che facce della stessa medaglia.
Quanto ero stupido, alla tua età,Erica. Se potessi dirti ora quello che penso della vita, ti direi: "Fai qualsiasi cosa, ma non fare mai la cosa giusta". Perché siamo esseri insinceri, doppiogiochisti, inclini al tranello e all'imbroglio. E quindi che senso ha imporci quella integrità che non ci appartiene? Tanto vale cedere all'illecito, all'illegittimo, all'immorale, al disonesto, al corrotto, al depravato, al dissoluto, all'indecente, all'ingiusto.
Veniamo ai dettagli ortografici. Cos'è questa nuova moda (moda o cialtroneria?) di scrivere da anziché dà (verbo dare) e si invece di sì (affermazione)? Dipenderà dall'autore, dal correttore di bozze (ammesso che esista) o dall'editore che risparmia sugli accenti?
Non posso esimermi, infine, da un'osservazione sull'involucro: la copertina fa cagare.
di Giovanna Repetto
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Alessandro Berselli
Cattivo
Perdisapop, Pag.119 Euro 9,00Sotto il cappello della semplicità. Perché fuori diluvia e cosa fai se non vuoi prendere l'acqua? Cerchi un riparo. Lo dice pure il protagonista di questo libriccino: Metti un uomo che spara e uno che muore. Così capiscono tutti, e non c'è nulla da stare a pontificare. Abbiamo perso la capacità di essere semplici. Sovrastrutture, pensieri senza senso. Ho fumato troppo. Meglio andare a dormire.
Direi di sì, glielo suggerirei anch'io, perché la notte in genere porta consiglio.
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