RECENSIONI
Càrola Susàni
Pecore vive
Minimum fax, Pag. 138 Euro 9,50
Sono cinque racconti. In scena, ragazze e donne definite per negazione: Chiara che a quattordici anni non è figlia - vive affidata -, la diciannovenne Irene e la protagonista di "vero amore" non sono madri - abortisce la prima e la seconda ha fatto di tutto per avere un distacco di placenta -, Gemma è doppiamente negata - non è sana e non muore -, la donna delle pulizie de "il viaggiatore" non è medico - ma salva un uomo.
A seguire: chi sono i deuteragonisti? Questo vecchio infartuato, delle malate terminali, un bambino con ritardo fisico e mentale dovuto a una rara patologia genetica, l'interruzione d'una gravidanza, una madre anaffettiva, stressata e, per mettere il cotto sul bollito, pure strabica.
Ce ne sarebbe per confezionare una tamaronata pazzesca, un porno del dolore come solo la casta Susanna potrebbe, un'esibizione di viscere e coratèlle buona a far lagrimare le comari. Invece la (casta?) Susàni limpida e però con mano ferma consegna al Lettore una "suite" di storie che colgono i protagonisti in una loro statica transitorietà, con la donna mutàcica per essenza, siccome "un maschio è sempre uguale a sé stesso", p. 37). S'agitano nei racconti, dunque, esseri abbozzati in cui si distingue la forma nuova nella vecchia, che non sono già più, né sono ancora - di nuovo il gioco delle coppie di negativi. Sciascia, riflettendo sul processo fotografico, per definirlo imprestava dal lessico filosofico l'entelechìa: un uomo che muore a trent'anni è in ogni momento della sua vita un uomo che muore a trent'anni, e la foto, che cristallizza, dovrebbe permettere di vederlo.
Non "pornografia del quore", dunque: ma le patologie mostrate conducono l'Autrice a una pathos-logia, all'individuare l'unico sentimento non transitorio possibile nella metamorfosi gelata che interessa la vita degli attori del libro: quella "compulsiva capacità di dedizione" (p. 90) che si ravvisa nelle pecore. Da qui il titolo, e la proliferazione nel testo di babysitter, badanti, madri vicarie, e associazioni di mutuo soccorso - siano ONLUS mediche, siano di volontari che spasseggiano i figli delle galeotte Rom o italiche (altri irregolari, nel brulichìo d'infanti quasi tutti sradicati che popola queste pagine).
Con tono dimesso, colloquiale, si dà conto insomma di un'umanità dai corpi disfunzionali, vago ricordo dei bimbi senescenti di Brian the Brain. Essa non è angosciata (non ne ha il tempo, deve fare la spesa, deve pagare le bollette), ma i film citati nel testo sono Kill Bill e Scream, a fare da Es e a suggerire un magma che ruggisce sotto la crosta del quotidiano arrancare. E con la propria e altrui fisicità ha un rapporto impacciato; malattia e mutazione (cfr. pp. 64 e 75) configurano tale confronto come ambiguo: un organismo muta, e così evolve. Ma cellule mutagene sono quelle del cancro. Questa anfibologia (e anfi-biologia) fa che il processo della vita e della morte siano analoghi, e dà ai personaggi una coloritura di disperata speranza che, assieme alla emotività sforzata e smorzata e però problematica (il massimo d'espansione emotiva è "se devi, getta il mio cuore ai porci, ai pesci no", (p. 51)) è l'aspetto, come dire, etico del testo - un'etica "per modus actus". M'è capitato rare volte di usare questa parola in una recensione - e a impicciarmi dei libri altrui mi ci sono fatto vecchio. Ma c'è una caratura di storia morale in queste narrazioni che dà loro un senso d'apologo difficilmente rinvenibile altrove - ci sarebbe Giulio Mozzi, però in lui la tensione morale talvolta rovina in... moralismo? Nemmeno. Forse in retorica.
Due chiacchiere, infine, sull'asettico aspetto stilistico della Susàni, siccome permette di affrontare un tema più vasto. A che punto è la lingua letteraria italiana? La si intuisce, nella fine anni '30-inizio '40, nascere dal connubio tra il seme proletario del neorealismo (è tradizione citare come incipit della tendenza Tre operai) invaginato nella "grazia sotto pressione" statunitense - manco a dirlo, Americana. Adolescente, cresce affidata alle cure del papà ormai famoso e della mamma sempre più "casta meretrix", avendo padrini quali Arbasino e Calvino, e come pedanti i neoavanguardisti e il tecnoitaliano norditaliota, nuova questione linguistica che diventerà vecchia grazie a Nora Galli De' Paratesi. Giunta all'età del matrimonio, la vanerella convola prima con un giovanotto così perbene, almeno all'apparenza, e tanto tanto americano: il minimalismo. Ma son nozze di breve durata - lui è algido e impotente -, preludio alle nozze di sangue con lo splatter-gore-hannibalthecannibalismo.
Così, l'attuale "italiano per letterati" prevede uno spazio delimitato in basso dalle Melisse P. , Valerie Parrelle, i "coniglietti" (cioè i gggiovani pubblicati da Francesco Coniglio) - e anche, sui generis, da Adelmo dove sei?: è l'italiano ticchettante, scaciàto e decasillabo, coordinato per asindeto, imprestato, impastato e impestato di lemmi e forme dialettali o mutuate dal francese e dall'inglese, siccome ormai "oltre Chiasso" (Ceronetti) ci si sente a casa - d'altra parte. Poi c'è la zona equatoriale, alla quale appartengono a vario titolo Farinetti, Gene Gnocchi, SimonaVinci-du' palle, Andrea De Marchi, l'ultimo Ammanniti, Silvia Ballestra, Vitaliano Trevisan-altre du'pàlle (e so' quattro), Pino Cacucci e i noir-desiderosi alla Carlotto-Lucarelli-Fois: pulizia e nitore, proprietà lessicale senza o con moderati avventurismi, subordinazione e coordinazione sorvegliate se non paratattiche, architetture narrative di fattura classica o arieggianti un "genere" - massimo del brivido, qualche frèmito tondellàro o arbasinante, o du' cortellàte calde calde (o Decatalde-calde). Brizzi, come altrimenti Erri De Luca, Bugaro (ma dovrei leggere l'ultimo) e Tommaso Pincio, sono al confine tra la fascia mediana e la superiore; raggiunta nel suo primo gradino da Andrea De Carlo, Veronesi, Eco.
L'ultima latitudine d'esta cartografia (che se la batte con le peculiarità stilistiche e non con la bravura), si distingue per una più spinta elaborazione della sintassi, per il rigoglio aggettivale, per il "gliòmmero" gaddiano o viceversa per la volpìna mìmesi del parlato, dello sciatto, del generico, del cazzeggiante, insomma per un esercizio tra il kitsch-cheap-trash-camp e la trombonaggine sublime a tutto Gassman. Gaddùsi sono Camilleri e Baricco (con un piede, forse involontario, anche nel cialtronismo); mimetico-zozzoni sono invece Aldo Nove, l'inutile Tiziano Scarpa, il primo Ammanniti a modo suo.
Dove collocare la Susàni? Direi giusta giusta all'equatore, con (ad es.) Martino Ferro: anzi, il suo "bello stilo" costante ma non palloso, "a regime" come un motore, mi sembra un perfetto esempio di italiano medioletterario, la corrente credo più rappresentativa fra tutte, almeno nella quantità di Autori che la praticano. Non solo dunque in politica, ma anche in letteratura si converge al centro. Certo, facendo meno danni. O almeno, più facilmente rimediabili.
di Marco Lanzòl
A seguire: chi sono i deuteragonisti? Questo vecchio infartuato, delle malate terminali, un bambino con ritardo fisico e mentale dovuto a una rara patologia genetica, l'interruzione d'una gravidanza, una madre anaffettiva, stressata e, per mettere il cotto sul bollito, pure strabica.
Ce ne sarebbe per confezionare una tamaronata pazzesca, un porno del dolore come solo la casta Susanna potrebbe, un'esibizione di viscere e coratèlle buona a far lagrimare le comari. Invece la (casta?) Susàni limpida e però con mano ferma consegna al Lettore una "suite" di storie che colgono i protagonisti in una loro statica transitorietà, con la donna mutàcica per essenza, siccome "un maschio è sempre uguale a sé stesso", p. 37). S'agitano nei racconti, dunque, esseri abbozzati in cui si distingue la forma nuova nella vecchia, che non sono già più, né sono ancora - di nuovo il gioco delle coppie di negativi. Sciascia, riflettendo sul processo fotografico, per definirlo imprestava dal lessico filosofico l'entelechìa: un uomo che muore a trent'anni è in ogni momento della sua vita un uomo che muore a trent'anni, e la foto, che cristallizza, dovrebbe permettere di vederlo.
Non "pornografia del quore", dunque: ma le patologie mostrate conducono l'Autrice a una pathos-logia, all'individuare l'unico sentimento non transitorio possibile nella metamorfosi gelata che interessa la vita degli attori del libro: quella "compulsiva capacità di dedizione" (p. 90) che si ravvisa nelle pecore. Da qui il titolo, e la proliferazione nel testo di babysitter, badanti, madri vicarie, e associazioni di mutuo soccorso - siano ONLUS mediche, siano di volontari che spasseggiano i figli delle galeotte Rom o italiche (altri irregolari, nel brulichìo d'infanti quasi tutti sradicati che popola queste pagine).
Con tono dimesso, colloquiale, si dà conto insomma di un'umanità dai corpi disfunzionali, vago ricordo dei bimbi senescenti di Brian the Brain. Essa non è angosciata (non ne ha il tempo, deve fare la spesa, deve pagare le bollette), ma i film citati nel testo sono Kill Bill e Scream, a fare da Es e a suggerire un magma che ruggisce sotto la crosta del quotidiano arrancare. E con la propria e altrui fisicità ha un rapporto impacciato; malattia e mutazione (cfr. pp. 64 e 75) configurano tale confronto come ambiguo: un organismo muta, e così evolve. Ma cellule mutagene sono quelle del cancro. Questa anfibologia (e anfi-biologia) fa che il processo della vita e della morte siano analoghi, e dà ai personaggi una coloritura di disperata speranza che, assieme alla emotività sforzata e smorzata e però problematica (il massimo d'espansione emotiva è "se devi, getta il mio cuore ai porci, ai pesci no", (p. 51)) è l'aspetto, come dire, etico del testo - un'etica "per modus actus". M'è capitato rare volte di usare questa parola in una recensione - e a impicciarmi dei libri altrui mi ci sono fatto vecchio. Ma c'è una caratura di storia morale in queste narrazioni che dà loro un senso d'apologo difficilmente rinvenibile altrove - ci sarebbe Giulio Mozzi, però in lui la tensione morale talvolta rovina in... moralismo? Nemmeno. Forse in retorica.
Due chiacchiere, infine, sull'asettico aspetto stilistico della Susàni, siccome permette di affrontare un tema più vasto. A che punto è la lingua letteraria italiana? La si intuisce, nella fine anni '30-inizio '40, nascere dal connubio tra il seme proletario del neorealismo (è tradizione citare come incipit della tendenza Tre operai) invaginato nella "grazia sotto pressione" statunitense - manco a dirlo, Americana. Adolescente, cresce affidata alle cure del papà ormai famoso e della mamma sempre più "casta meretrix", avendo padrini quali Arbasino e Calvino, e come pedanti i neoavanguardisti e il tecnoitaliano norditaliota, nuova questione linguistica che diventerà vecchia grazie a Nora Galli De' Paratesi. Giunta all'età del matrimonio, la vanerella convola prima con un giovanotto così perbene, almeno all'apparenza, e tanto tanto americano: il minimalismo. Ma son nozze di breve durata - lui è algido e impotente -, preludio alle nozze di sangue con lo splatter-gore-hannibalthecannibalismo.
Così, l'attuale "italiano per letterati" prevede uno spazio delimitato in basso dalle Melisse P. , Valerie Parrelle, i "coniglietti" (cioè i gggiovani pubblicati da Francesco Coniglio) - e anche, sui generis, da Adelmo dove sei?: è l'italiano ticchettante, scaciàto e decasillabo, coordinato per asindeto, imprestato, impastato e impestato di lemmi e forme dialettali o mutuate dal francese e dall'inglese, siccome ormai "oltre Chiasso" (Ceronetti) ci si sente a casa - d'altra parte. Poi c'è la zona equatoriale, alla quale appartengono a vario titolo Farinetti, Gene Gnocchi, SimonaVinci-du' palle, Andrea De Marchi, l'ultimo Ammanniti, Silvia Ballestra, Vitaliano Trevisan-altre du'pàlle (e so' quattro), Pino Cacucci e i noir-desiderosi alla Carlotto-Lucarelli-Fois: pulizia e nitore, proprietà lessicale senza o con moderati avventurismi, subordinazione e coordinazione sorvegliate se non paratattiche, architetture narrative di fattura classica o arieggianti un "genere" - massimo del brivido, qualche frèmito tondellàro o arbasinante, o du' cortellàte calde calde (o Decatalde-calde). Brizzi, come altrimenti Erri De Luca, Bugaro (ma dovrei leggere l'ultimo) e Tommaso Pincio, sono al confine tra la fascia mediana e la superiore; raggiunta nel suo primo gradino da Andrea De Carlo, Veronesi, Eco.
L'ultima latitudine d'esta cartografia (che se la batte con le peculiarità stilistiche e non con la bravura), si distingue per una più spinta elaborazione della sintassi, per il rigoglio aggettivale, per il "gliòmmero" gaddiano o viceversa per la volpìna mìmesi del parlato, dello sciatto, del generico, del cazzeggiante, insomma per un esercizio tra il kitsch-cheap-trash-camp e la trombonaggine sublime a tutto Gassman. Gaddùsi sono Camilleri e Baricco (con un piede, forse involontario, anche nel cialtronismo); mimetico-zozzoni sono invece Aldo Nove, l'inutile Tiziano Scarpa, il primo Ammanniti a modo suo.
Dove collocare la Susàni? Direi giusta giusta all'equatore, con (ad es.) Martino Ferro: anzi, il suo "bello stilo" costante ma non palloso, "a regime" come un motore, mi sembra un perfetto esempio di italiano medioletterario, la corrente credo più rappresentativa fra tutte, almeno nella quantità di Autori che la praticano. Non solo dunque in politica, ma anche in letteratura si converge al centro. Certo, facendo meno danni. O almeno, più facilmente rimediabili.
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