CLASSICI
Alfredo Ronci
Resistenza, sempre Resistenza: “Il gallo rosso” di Giovanni Dusi.
Mi sarebbe piaciuto sapere cosa avrebbe potuto dire Claudio Pavone su questo libro che uscì nel 1973 per Marsilio. Per chi non lo sapesse Claudio Pavone è stato lo storico che, tra le altre cose, nel 1991, fece uscire Una guerra civile 1943-1945, saggio storico sulla Resistenza, che fece tremare le vene a parecchi lettori (chiamiamoli così) e che per un certo periodo determinò anche il ritiro del testo dalle librerie.
Perché, direte voi, mi sarebbe piaciuto un suo giudizio? Per il semplice motivo che lo storico affronta il problema della Resistenza da un punto di vista moralistico. Non solo, un altro storico, questo però dal punto di vista letterario, Giorgio Luti (che noi abbiamo conosciuto per il suo La letteratura nel ventennio fascista) nell’introduzione che cura alla ristampa de Il gallo rosso dice: Vi sono stati momenti – ricordo gli anni della crisi del neorealismo, il ’55, il ’56 – in cui alcuni critici appartenenti alla stessa sinistra furono tentati di dimostrare che, a scorno di tutto, addirittura a scorno delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci o di Marcia su Roma e dintorni di Lussu, nella letteratura italiana non vi fosse stata testimonianza della Resistenza. O meglio, che la Resistenza non avesse prodotto quel rinnovamento espressivo che era nei voti di tutti, poiché l’ispirazione degli scrittori era certamente romantica e retorica, perché romantica e retorica era l’interpretazione che in quegli anni si dava della nozione gramsciana di nazional-popolare.
Credete voi dunque che si tratti di due versioni di morale o forse invece non siamo di fronte davvero a una risistemazione del concetto di Resistenza?
Come abbiamo detto Il gallo rosso uscì nel 1973, e il problema della Resistenza era ben oltre le squallide diatribe di questi ultimi tempi e la trama del romanzo, molto sinteticamente, lo affronta anche Marsilio quando nella prima di copertina appunta: un racconto di partigiani divisi sul futuro dell’Italia. Ed è proprio così, e volendo essere ancora più stringati, su chi riesce a sopravvivere alla guerra e chi no.
Le fazioni, chiamiamole così anche se fa un po’ senso, sono quelle del soldato Marco e del comandante Gianni. … per Marco alcune convinzioni restavano chiare e così le parole che le esprimevano: lui aveva conosciuto la dittatura fascista e il contrario della dittatura era la democrazia. E che cosa era la democrazia? La democrazia era la democrazia, la libertà era la libertà, come per Giuseppe il comunismo era il comunismo! E il progresso? Naturalmente il progresso era il progresso. Tutt’al più bisognava usare la precauzione di aggiungere gli aggettivi “vero e autentico”. E poi c’era la democrazia progressiva, la libertà democratica, la rivoluzione che era comunista, democratica e anche liberale. (…) Ma il timore di Gianni era che non fosse così.
Come diceva una vecchia canzone antifascista spagnola… entrarono nell’arena i due galli, fronte a fronte: il gallo nero era forte, ma il gallo rosso era coraggioso.
Qui, come avrete capito, i galli sono dalla stessa parte e crediamo che il nero sia Gianni per il suo acceso comunismo (meglio ancora, trotskijsmo… come lo fa chiaramente capire a circa metà del libro… la Unione Sovietica era dominata da una minoranza di burocrati potenti, Trotskij l’aveva dimostrato da anni, bisognava essere ciechi o cinici per ignorarlo. Il regime sovietico era per molti aspetti, terroristico, poliziesco, nazionalista.) ed il rosso sia Marco che sin dall’inizio sembra tralasciare gli aspetti più duri e risolutori della vicenda.
Dice ancora Giorgio Luti nella sua attenta prefazione, che nel periodo in cui Dusi faceva uscire il suo libro, negli stessi giorni c’era chi, dopo aver letto il testo di Mario Spinella (Memorie della Resistenza) e cioè Paolo Milano, affrontava di nuovo l’annosa questione: come scrivere oggi della Resistenza?
Mi pare che Dusi, giornalista, scrittore e partigiano, abbia messo giustamente in evidenza le diverse posizioni (ma forse erano più di due?): da una parte l’assoluta capacità di alcuni partigiani di rendere la vita per le proprie idee e di farlo al di là di ogni possibile resistenza e l’altra che pur la resistenza la viveva, di farlo attraverso meccanismi più libertari e consapevoli.
Come Il gallo d’oro va a finire sembra quasi la risposta che il Dusi abbia voluto dare non solo al quesito fondamentale, ma al normale svolgersi della vita. Che poi sia giusto o meno saranno i posteri a giudicare.
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Dusi
Il gallo rosso
Marsilio
Perché, direte voi, mi sarebbe piaciuto un suo giudizio? Per il semplice motivo che lo storico affronta il problema della Resistenza da un punto di vista moralistico. Non solo, un altro storico, questo però dal punto di vista letterario, Giorgio Luti (che noi abbiamo conosciuto per il suo La letteratura nel ventennio fascista) nell’introduzione che cura alla ristampa de Il gallo rosso dice: Vi sono stati momenti – ricordo gli anni della crisi del neorealismo, il ’55, il ’56 – in cui alcuni critici appartenenti alla stessa sinistra furono tentati di dimostrare che, a scorno di tutto, addirittura a scorno delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci o di Marcia su Roma e dintorni di Lussu, nella letteratura italiana non vi fosse stata testimonianza della Resistenza. O meglio, che la Resistenza non avesse prodotto quel rinnovamento espressivo che era nei voti di tutti, poiché l’ispirazione degli scrittori era certamente romantica e retorica, perché romantica e retorica era l’interpretazione che in quegli anni si dava della nozione gramsciana di nazional-popolare.
Credete voi dunque che si tratti di due versioni di morale o forse invece non siamo di fronte davvero a una risistemazione del concetto di Resistenza?
Come abbiamo detto Il gallo rosso uscì nel 1973, e il problema della Resistenza era ben oltre le squallide diatribe di questi ultimi tempi e la trama del romanzo, molto sinteticamente, lo affronta anche Marsilio quando nella prima di copertina appunta: un racconto di partigiani divisi sul futuro dell’Italia. Ed è proprio così, e volendo essere ancora più stringati, su chi riesce a sopravvivere alla guerra e chi no.
Le fazioni, chiamiamole così anche se fa un po’ senso, sono quelle del soldato Marco e del comandante Gianni. … per Marco alcune convinzioni restavano chiare e così le parole che le esprimevano: lui aveva conosciuto la dittatura fascista e il contrario della dittatura era la democrazia. E che cosa era la democrazia? La democrazia era la democrazia, la libertà era la libertà, come per Giuseppe il comunismo era il comunismo! E il progresso? Naturalmente il progresso era il progresso. Tutt’al più bisognava usare la precauzione di aggiungere gli aggettivi “vero e autentico”. E poi c’era la democrazia progressiva, la libertà democratica, la rivoluzione che era comunista, democratica e anche liberale. (…) Ma il timore di Gianni era che non fosse così.
Come diceva una vecchia canzone antifascista spagnola… entrarono nell’arena i due galli, fronte a fronte: il gallo nero era forte, ma il gallo rosso era coraggioso.
Qui, come avrete capito, i galli sono dalla stessa parte e crediamo che il nero sia Gianni per il suo acceso comunismo (meglio ancora, trotskijsmo… come lo fa chiaramente capire a circa metà del libro… la Unione Sovietica era dominata da una minoranza di burocrati potenti, Trotskij l’aveva dimostrato da anni, bisognava essere ciechi o cinici per ignorarlo. Il regime sovietico era per molti aspetti, terroristico, poliziesco, nazionalista.) ed il rosso sia Marco che sin dall’inizio sembra tralasciare gli aspetti più duri e risolutori della vicenda.
Dice ancora Giorgio Luti nella sua attenta prefazione, che nel periodo in cui Dusi faceva uscire il suo libro, negli stessi giorni c’era chi, dopo aver letto il testo di Mario Spinella (Memorie della Resistenza) e cioè Paolo Milano, affrontava di nuovo l’annosa questione: come scrivere oggi della Resistenza?
Mi pare che Dusi, giornalista, scrittore e partigiano, abbia messo giustamente in evidenza le diverse posizioni (ma forse erano più di due?): da una parte l’assoluta capacità di alcuni partigiani di rendere la vita per le proprie idee e di farlo al di là di ogni possibile resistenza e l’altra che pur la resistenza la viveva, di farlo attraverso meccanismi più libertari e consapevoli.
Come Il gallo d’oro va a finire sembra quasi la risposta che il Dusi abbia voluto dare non solo al quesito fondamentale, ma al normale svolgersi della vita. Che poi sia giusto o meno saranno i posteri a giudicare.
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Dusi
Il gallo rosso
Marsilio
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