RECENSIONI
Valerio Gentili
Roma combattente
Castelvecchi, Pag. 283 Euro 15,00
Non troppo tempo fa Claudio Magris, sulle pagine del Corriere della Sera, si ritrovava a ragionare sul nostro immiserimento culturale e, quindi, umano (ci sono in giro molte persone a cui è toccato di leggere alcuni classici, e di imparare, magari sui testi di Persio, che c'è un solo bene, il sapere; e un solo male, l'ignoranza, che, come dicono dalle mie parti, è una brutta bestia). Eppure, secondo Magris, l'antidoto naturale alla nostra letteratura, e alla nostra vita, fatta di miserrime narrazioni, di piccoli fatti senza senso, si può agilmente trovare nelle grandi storie, per esempio, dell'epopea patriottica, e quindi progressista e democratica, italiana: quella ovviamente che va da Garibaldi all'impresa fiumana, e che verrà accuratamente mortificata, martoriata, ridicolizzata, mistificata e rimossa dal primo dopoguerra fino ad oggi. Non si tratta, dice Magris, di riparlare la lingua di Manzoni, e nemmeno semplicemente di rimettere in ballo questioni storiografiche. L'urgenza cade nell'ambito dell'epica.
Roma combattente, di Valerio Gentili, è un accurato lavoro storiografico: ricostruisce da vicino, nella sola zona di Roma, il fervido momento spirituale di quella grande rivoluzione implicita che fu la prima guerra mondiale. Lo sforzo documentario di questo libro, unito al suo non inerme slancio interpretativo, rende con vivacità, persona su persona, giorno su giorno la dinamica vitale di una generazione che esce da quella guerra convinta che non si può tornare a ciò che era stato prima. La Fiume di D'Annunzio, con la sua costituzione di ispirazione anarchica e l'instaurazione di una dottrina sociale ed economica imperniata su un corporativismo (sottolinea Renzo De Felice) inconciliabile con quello cattolico e fascista, dimostra che questa spinta vitale e spirituale può dare vita a un'utopia concreta. Con la caduta di Fiume, la convinzione che questa eredità vada raccolta e inverata continua a lottare negli entusiasmi di molti. Come questi entusiasmi dovranno conoscere il martirio, a causa del loro misconoscimento da parte del partito socialista e la trasformazione improvvisa di un movimento progressista, quale era il primo fascismo, nel suo esatto contrario è storia nota. Ed è la storia che questo libro racconta; che racconta cedendo a quell'urgenza di carattere epico a cui faceva appello Claudio Magris.
Certamente si legge, con entusiasmo e curiosità, la narrazione di Gentili per riappropriarsi della conoscenza di fatti e avvenimenti che la storiografia ufficiale ha per lo più trascurato; e questa riappropriazione non manca di dare spesso al lettore il piacere dello stupore.
Ma né la resa dei dati, né il piacere della ricerca sembrano essere l'unico scopo del narratore.
La sua materia non è di sicuro lasciata inerte, ed è anzi raccontata da una voce che si potrebbe perfino immaginare commossa. Troviamo qui una qualche dose di Plutarco, che forniva con i suoi racconti storici, modelli umani sempre validi (e non a caso una sezione di Roma combattente si risolve in una serie di piccole biografie di eroi sconosciuti). Un modello umano che in Gentili sembra essere un modello etico.
Il libro, si presume non a caso, si apre con un esergo: "io sono nel mio nemico/ il mio nemico è in me". L'autore potrebbe averlo tolto da un rituale di iniziazione di qualche popolo cacciatore, o di qualche nazione indiana. Ma potrebbero, questi versi, anche essere posti a commento dell'etica di Lévinas, della sua etica assoluta dell'altro, dell'unica etica possibile: quella in cui ci si accetta come altro. Questa accettazione è data all'uomo in situazioni radicali, come sono la guerra o la rivoluzione; in quella perdita di tutto raccontata da Haniel Long nella sua ricostruzione della fantastica avventura di Cabeza de Vaca.
Anche Roma combattente racconta una avventura fantastica.
di Pier Paolo Di Mino
Roma combattente, di Valerio Gentili, è un accurato lavoro storiografico: ricostruisce da vicino, nella sola zona di Roma, il fervido momento spirituale di quella grande rivoluzione implicita che fu la prima guerra mondiale. Lo sforzo documentario di questo libro, unito al suo non inerme slancio interpretativo, rende con vivacità, persona su persona, giorno su giorno la dinamica vitale di una generazione che esce da quella guerra convinta che non si può tornare a ciò che era stato prima. La Fiume di D'Annunzio, con la sua costituzione di ispirazione anarchica e l'instaurazione di una dottrina sociale ed economica imperniata su un corporativismo (sottolinea Renzo De Felice) inconciliabile con quello cattolico e fascista, dimostra che questa spinta vitale e spirituale può dare vita a un'utopia concreta. Con la caduta di Fiume, la convinzione che questa eredità vada raccolta e inverata continua a lottare negli entusiasmi di molti. Come questi entusiasmi dovranno conoscere il martirio, a causa del loro misconoscimento da parte del partito socialista e la trasformazione improvvisa di un movimento progressista, quale era il primo fascismo, nel suo esatto contrario è storia nota. Ed è la storia che questo libro racconta; che racconta cedendo a quell'urgenza di carattere epico a cui faceva appello Claudio Magris.
Certamente si legge, con entusiasmo e curiosità, la narrazione di Gentili per riappropriarsi della conoscenza di fatti e avvenimenti che la storiografia ufficiale ha per lo più trascurato; e questa riappropriazione non manca di dare spesso al lettore il piacere dello stupore.
Ma né la resa dei dati, né il piacere della ricerca sembrano essere l'unico scopo del narratore.
La sua materia non è di sicuro lasciata inerte, ed è anzi raccontata da una voce che si potrebbe perfino immaginare commossa. Troviamo qui una qualche dose di Plutarco, che forniva con i suoi racconti storici, modelli umani sempre validi (e non a caso una sezione di Roma combattente si risolve in una serie di piccole biografie di eroi sconosciuti). Un modello umano che in Gentili sembra essere un modello etico.
Il libro, si presume non a caso, si apre con un esergo: "io sono nel mio nemico/ il mio nemico è in me". L'autore potrebbe averlo tolto da un rituale di iniziazione di qualche popolo cacciatore, o di qualche nazione indiana. Ma potrebbero, questi versi, anche essere posti a commento dell'etica di Lévinas, della sua etica assoluta dell'altro, dell'unica etica possibile: quella in cui ci si accetta come altro. Questa accettazione è data all'uomo in situazioni radicali, come sono la guerra o la rivoluzione; in quella perdita di tutto raccontata da Haniel Long nella sua ricostruzione della fantastica avventura di Cabeza de Vaca.
Anche Roma combattente racconta una avventura fantastica.
di Pier Paolo Di Mino
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Purple Press , Pag. 236 Euro 14,90L'ultimo grande sussulto dell'arte retorica prima di sfumare definitivamente in pubblicitaria ha avuto luogo in una delle sue patrie d'elezione, l'Italia, nel secondo dopo guerra, quando, come notavano con crudele e divertito realismo i cahiers, scrittori e cineastici italici inventano, con un linguaggio maturato sotto il fascismo, il mito dell'antifascismo: il neorealismo.
Si sa che l'immaginazione vive soprattutto in assenza di immagini, e che non si inventa mai così bene che su una base insussistente.
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