RECENSIONI
Fulvio Abbate
Roma - guida non conformista alla città
Cooper, Pag. 292 Euro 12,00
...se sei discreto ti mostro lo scroto...
Elio e le Storie Tese
"Urbem fecisti quod prius orbis erat", e viceversa. Rutilio Namaziano, mentre la Città sprofonda con l'Impero occidentale, così la onora, scrivendone l'epitaffio: "Del Mondo facesti una città, d'una Città il mondo". Umbilìco, palcoscenico agit hystrionem, altare, cosmo, la vocazione onnivora di Roma ne fa il perfetto esempio di ossimoro realizzato, congiunzione degli opposti, punto contro punto, coturno e ciabatta: memoria del mondo, sede dell'Uovo Cosmogonico - quello che, andando a rompersi, è origine al Tutto e al Niente -, sterminato reliquiario - in una delle sue chiese si conservava addirittura il lievito per fare la Vita Eterna, casomai servisse, e il moccichìno di candela con cui il Padreterno (cittadino onorario, come Clint Eastwood) accese il sole -, vanta origini divine e stirpe regale, ma i suoi Gemelli vennero allevati da una mignotta: e non a caso, essendo questa segnacolo d'universalità (non rifiuta nessuno, difatti), e quelli di contraddizione.
La Città dei Cesari e degli Augusti, sacra tre volte - agli dei agli eroi agli uomini -, ha dunque sempre convissuto con le suburre, le paludi, l'umanità a pie' di lista: stracciaroli puttane marchettari pipparòli froci e poeti. E' stato un bene: ciò le ha impedito di farsi consumare dalla retorica più bolsa, dal cartonaccio della parola risonante - e vuota. Bene è, dunque, che esistano almanacchi che rendano al passeggère anche i luoghi e le situazioni notevoli da un punto di vista più disinvolto: Giorgio Vigolo, gran protonotario delle lettere capitoline, ed eruditissimo di cose romane, notava di "certe rozze e primitive vedute (che) grandeggiano contro cielo in un favoloso gigantismo che potrebbe anche essere il segreto di una prospettiva dal basso: non dal coturno e dallo zoccolo, ma addirittura da terra, dove posano i piedi scalzi del mimo". (1) Certificando, nella cura che ebbe per l'opera del Belli, l'affezione per la forza bruta della romanesca e sfacciata realtà.
E fin qui, Abbate - panormìta di nascita - rende bene: presenta una Roma unconventional, come certi dizionari anglosassoni pretendono fare con l'inglese ai margini, di gergo - il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche sosteneva che una lingua era comparabile a una città. L'Urbe la figura dunque il Nostro nelle sue pieghe varie e curiose, come stendesse un regesto dialettale: sulla Storia fa premio il dettaglio, come sulla frase compiuta d'una grammatica la mìmesi pluristilistica, lo stylo humilis sul sublime.
Via, allora, col disvelare i minuti enigmi della Capitale: dalla toponomastica rivoltata dei Parioli (piazza Euclide), alla geometria ineuclidea fra Ostiense e via del Mare; dalla contiguità spaziale ma non censuaria delle periferie tirreniche o terragne alla mappa dei locali e ritrovi centrostorici, questurini o femministi che fossero (spesso entrambi nel filare del tempo); dai piloni e segnacoli e fregi e sfregi architettonici più moderni, pretesi moderni, finti moderni, postmoderni sino al luogo ove si vuole che Romolo abbia sgozzato Remo e al costruito dell'urbanistica più complessa e ibrida del pianeta; dalle case della politica repubblicana con i suoi schemi e però anche con la capacità di riunire le masse con forza tranquilla ai ritrovi degli uomini, donne, ragazzi che hanno avuto della partecipazione un concetto assieme più elevato e meno vasto; dai set cinematografici televisivi naturali che han divulgato l'immagine eterna nel mondo o solo fra le plebi ansiose di sesso pettegolezzi e risate; dalle aule e scuole e palazzi che ne hanno certificato la grandezza intellettuale ai percorsi dell'inventiva minore o irregolare o eccentrica o folle; insino ai luoghi ove l'Urbe ribadisce il suo severo destino civile - le lapidi dei suoi figli migliori, caduti perché s'affermassero idee alte, chiare, nobili, fraterne, di giustizia, pace, libertà, decoro. E siccome è generosa, permette che si ricordino anche quelli che tali idee combatterono - senza dimenticare l'abisso che li separa dagli altri, e che li fa memorie del suo fondo peggiore, melmoso, tragico e farsesco assieme, portatore della bestemmia nazifascista.
E via ancora col florilegio delle persone, con la schiera che offre dell'umanità ogni frequenza dello spettro, e oltre: dagli architetti ai borgatari, dai pittori ai figuranti tv, dai papi ai criminali, dagli artisti agli addetti al commercio ai librai alle conservatorie agli ambulanti portuensi, dagli intrallazzatori palazzinari arricchiti agli artigiani ai michelazzi (anche via internet), (2) dai matti ai cantanti, dai politici ai perditempo, dagli avvocati ai giudici alle guardie ai ladri ai preti agli atei, dai pischelli ai centenari, dai comunisti ai fascisti, dalle madri poetesse scrittrici giornaliste mogli-di squinzie alle suore sorelle spose squillo lolite, dai califani-califfi ai nannimoretti, dai coattoni ai pederasti ai marchettari ai saggi ai dottori ai fricchettoni, da chi sciala a chi stenta, da chi s'arrangia a quelli che godono, da chi è arrivato ieri a chi sta qui dalle canoniche sette generazioni, da chi vive-morto a chi è morto-vivo.
Insomma, siamo all'insegna de "la vita è bella perché avariata": cos'è, allora, che non funziona in questa più che talvolta pregevole "guida d'Autore"? Duole dirlo: il difetto è nel manico, nella voce narrante. Eggià: la cosa fastidiosa in Horowitz - che pure è stato uno dei massimi pianisti del Novecento - è che spesso pensava che gente come Bach (via Busoni), Chopin, Listz, Brahms, Ravel, Debussy, Rachmaninov etc. non altro merito avessero se non aver scritto perché lui potesse far tutto con le sue ditine. Se un simile atteggiamento da stoka' è poco sopportabile in una vetta come Vladimir, e appena appena in un settecolle come Arbasino (qui prefatore), figuriamoci in un monte-dei-cocci qual è Fulvio.
Intendiamoci. Come dicono a Napoli, "ogni fesso è un tribunale", e ci mancherebbe altro che non si dovesse far polemica - anche frizzante -, in special modo quando per opinione o scienza si è certi e si può dimostrare che il proprio gusto o giudizio supera l'analogo del contraddittore. Fo il critico: (non) sono pagato esattamente per questo!
Però: se uno scrive d'un tale attore che "s'è guadagnato molta simpatia. Ovviamente sempre rionale", (p. 225) bisognerà prima verificare se la simpatia che si suscita travalichi quegli angusti confini. E se d'un culto qualsiasi si rammenta ironici (ovvero per sostenere l'opposto) che è un "vero esempio di tolleranza", (p. 249) sarà bene prima curare se non si abbiano intolleranze più gravi e più profonde, magari mascherate da una scanzonata prosa. Ad esempio: quando si descrivono luoghi d'incontro e di sesso altrui, li si può (deve!) narrare anche con crudezza, se necessario. Giudichi però il Lettore se questi estratti appartengono a inevitabile realismo, o a malcelata insofferenza: il colle tale "nonostante il tentativo di renderlo inaccessibile per ragioni di decoro e di incolumità pubblica (...) è divenuto uno dei luoghi più rinomati per le marchette di clienti spericolati e insaziabili di cazzo"; (p. 88) la spiaggia talaltra s'apre "con i suoi nudisti, e con i suoi - con rispetto parlando - froci, ricchioni, finocchi (...). Superato l'ottavo cancello, la sabbia prende a mostrare i primi segni di libertà: cicche e rifiuti (...) ma soprattutto ecco i primi cazzi, i primi culi, anzi le prime sacche scrotali (...). Sacche e ancora sacche scrotali che penzolano rosacee (...) o perfino testicoli che s'affacciano da dietro le chiappe come ulteriore spettacolo di libertà e sicuramente anche di provocazione segnaletica: vieni che ti faccio godere, ti faccio venire...". (pp. 177-8) Ora: io ho dato un esame di anatomia umana normale, uno di fisiologia, uno di biologia e uno di genetica, e ne ho viste tante - parlando da vivo - ma "testicoli che s'affacciano da dietro le chiappe" li devo ancora incontrare. Per non dire della "provocazione segnaletica", un concetto che metterebbe in difficoltà persino Bertillon. Ma sono, entrambi, luoghi che trasudano disprezzo risibile (quelle "sacche scrotali", degne di un andrologo arrazzato (e strabico)!). E meno male che l'Autore ha simpatie anarchiche: mi domando cosa avrebbe scritto, fosse stato un sodale dell'onorevole inciliciata.
E' poi tanto convinto Abbate che viale Ippocrate sia "un classico urbanistico cui nessuna città sa fare a meno"? (p. 180) Domanderei in giro: così, tanto per vedere se "una sensibile poetessa molto cattolica", (p. 179) la quale peraltro lo descriveva nel '65, aveva torto a parlarne come d'un posto dove "non arriva mai il sole". (ivi) E, già che ci siamo: il Nostro racconta (p. 205) di quando Ornella Vanoni chiese a Mario Schifano di realizzarle una copertina d'Lp. Lui glissò, rimandandola alle calende greche. Ne disegnò una invece "per un gruppo di musicisti palestinesi". Commenta Abbate: "Probabilmente, riteneva che quei palestinesi con la barba e la kefiah ne avessero più bisogno". Singolare decisione, davvero: fra una signora degnissima e tuttavia senza particolari urgenze, e gente che svolge un'attività artistica in (diciamo) disagiata sede, è incomprensibile che la scelta cada su questi - oltretutto ornati come sono di "barba e kefiah", 'sti burìni! E manco male che non sono ispanici, altrimenti l'Autore li avrebbe guarniti di "sombrero" e "cammesélla de picchè" - torero, torero, olé!
E ciò basti per la stoka'stica. Infine vorrò chiedere, come ogni tanto mi succede, una revisione autoriale e un editing più fermi: Walter Chiari non fa scoppiare delle "miccette", (p. 72) l'architetto di Hitler non è Albert "Speere", (p. 77) il poeta non si chiamava "Hörderlin", (p. 102) Ungaretti, quando leggeva i versi in tv, non aveva una "barba lunga ormai bianca", (p. 109) lo Chassepot non era "ad avancarica" - non avrebbe "fatto meraviglie", altrimenti -, (p. 135)(3) non esiste una "Anne Brancroft", (p. 140) l'incisore non era "Durher", (p. 144) una biposto sportiva non è una "spyder", (p. 147) la Magnani andò ad Alessandria d'Egitto una sola volta, e da ragazza, vivendo perlopiù a Roma con la nonna, (p. 170) non si capisce perché l'illustratore Escher dovesse avere "l'occhio da pazzo furioso" per anamorfosi, (p. 200) e "il Vittorioso" su cui pubblicava Jacovitti non era un "giornalino parrocchiale per ragazzi", (p. 222) ma "era stato voluto e amministrato dalla Gioventù Italiana di Azione Cattolica". (4)
Arrivederci alla prossima edizione.
******
1) vedi la prefazione in G. G. Belli, Er giorno der giudizzio, Mondadori, Milano 1982, p. 7;
2) ricordiamo che l' "arte di Michelazzo" consiste nel "magna', beve' e nun faun cazzo";
3) Abbate cita pure dei non meglio specificati "Remington". Nel caso, dovrebbe essere il fucile mod. 1841, e non la carabina brevetto Jenks. Cito dal Dizionario delle armi (Mondadori, Milano 1978) di Letterio Musciarelli, sub voce. L'Autore accenna pure al mod. 1841 modificato per la guerra di secessione nordamericana, ma non specifica se a cambiare fu la modalità di caricamento;
4) così Domenico Volpi, in Silvano Mezzavilla (a cura di), Italia 50, Editori del Grifo, Montepulciano (SI) 1990, p. 57.
di Marco Lanzòl
Elio e le Storie Tese
"Urbem fecisti quod prius orbis erat", e viceversa. Rutilio Namaziano, mentre la Città sprofonda con l'Impero occidentale, così la onora, scrivendone l'epitaffio: "Del Mondo facesti una città, d'una Città il mondo". Umbilìco, palcoscenico agit hystrionem, altare, cosmo, la vocazione onnivora di Roma ne fa il perfetto esempio di ossimoro realizzato, congiunzione degli opposti, punto contro punto, coturno e ciabatta: memoria del mondo, sede dell'Uovo Cosmogonico - quello che, andando a rompersi, è origine al Tutto e al Niente -, sterminato reliquiario - in una delle sue chiese si conservava addirittura il lievito per fare la Vita Eterna, casomai servisse, e il moccichìno di candela con cui il Padreterno (cittadino onorario, come Clint Eastwood) accese il sole -, vanta origini divine e stirpe regale, ma i suoi Gemelli vennero allevati da una mignotta: e non a caso, essendo questa segnacolo d'universalità (non rifiuta nessuno, difatti), e quelli di contraddizione.
La Città dei Cesari e degli Augusti, sacra tre volte - agli dei agli eroi agli uomini -, ha dunque sempre convissuto con le suburre, le paludi, l'umanità a pie' di lista: stracciaroli puttane marchettari pipparòli froci e poeti. E' stato un bene: ciò le ha impedito di farsi consumare dalla retorica più bolsa, dal cartonaccio della parola risonante - e vuota. Bene è, dunque, che esistano almanacchi che rendano al passeggère anche i luoghi e le situazioni notevoli da un punto di vista più disinvolto: Giorgio Vigolo, gran protonotario delle lettere capitoline, ed eruditissimo di cose romane, notava di "certe rozze e primitive vedute (che) grandeggiano contro cielo in un favoloso gigantismo che potrebbe anche essere il segreto di una prospettiva dal basso: non dal coturno e dallo zoccolo, ma addirittura da terra, dove posano i piedi scalzi del mimo". (1) Certificando, nella cura che ebbe per l'opera del Belli, l'affezione per la forza bruta della romanesca e sfacciata realtà.
E fin qui, Abbate - panormìta di nascita - rende bene: presenta una Roma unconventional, come certi dizionari anglosassoni pretendono fare con l'inglese ai margini, di gergo - il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche sosteneva che una lingua era comparabile a una città. L'Urbe la figura dunque il Nostro nelle sue pieghe varie e curiose, come stendesse un regesto dialettale: sulla Storia fa premio il dettaglio, come sulla frase compiuta d'una grammatica la mìmesi pluristilistica, lo stylo humilis sul sublime.
Via, allora, col disvelare i minuti enigmi della Capitale: dalla toponomastica rivoltata dei Parioli (piazza Euclide), alla geometria ineuclidea fra Ostiense e via del Mare; dalla contiguità spaziale ma non censuaria delle periferie tirreniche o terragne alla mappa dei locali e ritrovi centrostorici, questurini o femministi che fossero (spesso entrambi nel filare del tempo); dai piloni e segnacoli e fregi e sfregi architettonici più moderni, pretesi moderni, finti moderni, postmoderni sino al luogo ove si vuole che Romolo abbia sgozzato Remo e al costruito dell'urbanistica più complessa e ibrida del pianeta; dalle case della politica repubblicana con i suoi schemi e però anche con la capacità di riunire le masse con forza tranquilla ai ritrovi degli uomini, donne, ragazzi che hanno avuto della partecipazione un concetto assieme più elevato e meno vasto; dai set cinematografici televisivi naturali che han divulgato l'immagine eterna nel mondo o solo fra le plebi ansiose di sesso pettegolezzi e risate; dalle aule e scuole e palazzi che ne hanno certificato la grandezza intellettuale ai percorsi dell'inventiva minore o irregolare o eccentrica o folle; insino ai luoghi ove l'Urbe ribadisce il suo severo destino civile - le lapidi dei suoi figli migliori, caduti perché s'affermassero idee alte, chiare, nobili, fraterne, di giustizia, pace, libertà, decoro. E siccome è generosa, permette che si ricordino anche quelli che tali idee combatterono - senza dimenticare l'abisso che li separa dagli altri, e che li fa memorie del suo fondo peggiore, melmoso, tragico e farsesco assieme, portatore della bestemmia nazifascista.
E via ancora col florilegio delle persone, con la schiera che offre dell'umanità ogni frequenza dello spettro, e oltre: dagli architetti ai borgatari, dai pittori ai figuranti tv, dai papi ai criminali, dagli artisti agli addetti al commercio ai librai alle conservatorie agli ambulanti portuensi, dagli intrallazzatori palazzinari arricchiti agli artigiani ai michelazzi (anche via internet), (2) dai matti ai cantanti, dai politici ai perditempo, dagli avvocati ai giudici alle guardie ai ladri ai preti agli atei, dai pischelli ai centenari, dai comunisti ai fascisti, dalle madri poetesse scrittrici giornaliste mogli-di squinzie alle suore sorelle spose squillo lolite, dai califani-califfi ai nannimoretti, dai coattoni ai pederasti ai marchettari ai saggi ai dottori ai fricchettoni, da chi sciala a chi stenta, da chi s'arrangia a quelli che godono, da chi è arrivato ieri a chi sta qui dalle canoniche sette generazioni, da chi vive-morto a chi è morto-vivo.
Insomma, siamo all'insegna de "la vita è bella perché avariata": cos'è, allora, che non funziona in questa più che talvolta pregevole "guida d'Autore"? Duole dirlo: il difetto è nel manico, nella voce narrante. Eggià: la cosa fastidiosa in Horowitz - che pure è stato uno dei massimi pianisti del Novecento - è che spesso pensava che gente come Bach (via Busoni), Chopin, Listz, Brahms, Ravel, Debussy, Rachmaninov etc. non altro merito avessero se non aver scritto perché lui potesse far tutto con le sue ditine. Se un simile atteggiamento da stoka' è poco sopportabile in una vetta come Vladimir, e appena appena in un settecolle come Arbasino (qui prefatore), figuriamoci in un monte-dei-cocci qual è Fulvio.
Intendiamoci. Come dicono a Napoli, "ogni fesso è un tribunale", e ci mancherebbe altro che non si dovesse far polemica - anche frizzante -, in special modo quando per opinione o scienza si è certi e si può dimostrare che il proprio gusto o giudizio supera l'analogo del contraddittore. Fo il critico: (non) sono pagato esattamente per questo!
Però: se uno scrive d'un tale attore che "s'è guadagnato molta simpatia. Ovviamente sempre rionale", (p. 225) bisognerà prima verificare se la simpatia che si suscita travalichi quegli angusti confini. E se d'un culto qualsiasi si rammenta ironici (ovvero per sostenere l'opposto) che è un "vero esempio di tolleranza", (p. 249) sarà bene prima curare se non si abbiano intolleranze più gravi e più profonde, magari mascherate da una scanzonata prosa. Ad esempio: quando si descrivono luoghi d'incontro e di sesso altrui, li si può (deve!) narrare anche con crudezza, se necessario. Giudichi però il Lettore se questi estratti appartengono a inevitabile realismo, o a malcelata insofferenza: il colle tale "nonostante il tentativo di renderlo inaccessibile per ragioni di decoro e di incolumità pubblica (...) è divenuto uno dei luoghi più rinomati per le marchette di clienti spericolati e insaziabili di cazzo"; (p. 88) la spiaggia talaltra s'apre "con i suoi nudisti, e con i suoi - con rispetto parlando - froci, ricchioni, finocchi (...). Superato l'ottavo cancello, la sabbia prende a mostrare i primi segni di libertà: cicche e rifiuti (...) ma soprattutto ecco i primi cazzi, i primi culi, anzi le prime sacche scrotali (...). Sacche e ancora sacche scrotali che penzolano rosacee (...) o perfino testicoli che s'affacciano da dietro le chiappe come ulteriore spettacolo di libertà e sicuramente anche di provocazione segnaletica: vieni che ti faccio godere, ti faccio venire...". (pp. 177-8) Ora: io ho dato un esame di anatomia umana normale, uno di fisiologia, uno di biologia e uno di genetica, e ne ho viste tante - parlando da vivo - ma "testicoli che s'affacciano da dietro le chiappe" li devo ancora incontrare. Per non dire della "provocazione segnaletica", un concetto che metterebbe in difficoltà persino Bertillon. Ma sono, entrambi, luoghi che trasudano disprezzo risibile (quelle "sacche scrotali", degne di un andrologo arrazzato (e strabico)!). E meno male che l'Autore ha simpatie anarchiche: mi domando cosa avrebbe scritto, fosse stato un sodale dell'onorevole inciliciata.
E' poi tanto convinto Abbate che viale Ippocrate sia "un classico urbanistico cui nessuna città sa fare a meno"? (p. 180) Domanderei in giro: così, tanto per vedere se "una sensibile poetessa molto cattolica", (p. 179) la quale peraltro lo descriveva nel '65, aveva torto a parlarne come d'un posto dove "non arriva mai il sole". (ivi) E, già che ci siamo: il Nostro racconta (p. 205) di quando Ornella Vanoni chiese a Mario Schifano di realizzarle una copertina d'Lp. Lui glissò, rimandandola alle calende greche. Ne disegnò una invece "per un gruppo di musicisti palestinesi". Commenta Abbate: "Probabilmente, riteneva che quei palestinesi con la barba e la kefiah ne avessero più bisogno". Singolare decisione, davvero: fra una signora degnissima e tuttavia senza particolari urgenze, e gente che svolge un'attività artistica in (diciamo) disagiata sede, è incomprensibile che la scelta cada su questi - oltretutto ornati come sono di "barba e kefiah", 'sti burìni! E manco male che non sono ispanici, altrimenti l'Autore li avrebbe guarniti di "sombrero" e "cammesélla de picchè" - torero, torero, olé!
E ciò basti per la stoka'stica. Infine vorrò chiedere, come ogni tanto mi succede, una revisione autoriale e un editing più fermi: Walter Chiari non fa scoppiare delle "miccette", (p. 72) l'architetto di Hitler non è Albert "Speere", (p. 77) il poeta non si chiamava "Hörderlin", (p. 102) Ungaretti, quando leggeva i versi in tv, non aveva una "barba lunga ormai bianca", (p. 109) lo Chassepot non era "ad avancarica" - non avrebbe "fatto meraviglie", altrimenti -, (p. 135)(3) non esiste una "Anne Brancroft", (p. 140) l'incisore non era "Durher", (p. 144) una biposto sportiva non è una "spyder", (p. 147) la Magnani andò ad Alessandria d'Egitto una sola volta, e da ragazza, vivendo perlopiù a Roma con la nonna, (p. 170) non si capisce perché l'illustratore Escher dovesse avere "l'occhio da pazzo furioso" per anamorfosi, (p. 200) e "il Vittorioso" su cui pubblicava Jacovitti non era un "giornalino parrocchiale per ragazzi", (p. 222) ma "era stato voluto e amministrato dalla Gioventù Italiana di Azione Cattolica". (4)
Arrivederci alla prossima edizione.
******
1) vedi la prefazione in G. G. Belli, Er giorno der giudizzio, Mondadori, Milano 1982, p. 7;
2) ricordiamo che l' "arte di Michelazzo" consiste nel "magna', beve' e nun faun cazzo";
3) Abbate cita pure dei non meglio specificati "Remington". Nel caso, dovrebbe essere il fucile mod. 1841, e non la carabina brevetto Jenks. Cito dal Dizionario delle armi (Mondadori, Milano 1978) di Letterio Musciarelli, sub voce. L'Autore accenna pure al mod. 1841 modificato per la guerra di secessione nordamericana, ma non specifica se a cambiare fu la modalità di caricamento;
4) così Domenico Volpi, in Silvano Mezzavilla (a cura di), Italia 50, Editori del Grifo, Montepulciano (SI) 1990, p. 57.
di Marco Lanzòl
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