CLASSICI
Alfredo Ronci
Scrittore o psichiatra? “Per le antiche scale” di Mario Tobino.
Tutto ciò è narrato attraverso i personaggi, non discusso: è presentato per mezzo della vita dei miei eroi, ospiti del castello, alienati e psichiatri.
Così Tobino parlava del suo libro, e in generale della sua opera completa, in una intervista rilasciata nell’agosto del 1971 al Corriere della Sera. E ci porta di nuovo a ragionare su ciò che l’uomo fu: scrittore o psichiatra?
Tutti sono d’accordo nel dire che Per le antiche scale è il perfetto proseguo de Le libere donne di Magliano, classico anche questo e sul quale trattammo anche noi (fu una stringente necessità, il desiderio di mostrare 'l'altro mondo', quello che con superficiale atteggiamento, se non con criminale approssimazione, fu sempre creduto, almeno fino ad allora, pericoloso e deviante.), ma c’è anche una distanza di tempo che in psichiatria ha, a volte, grande importanza. Ma c’è soprattutto, attraverso le vite dei protagonisti, una sorta di storia che è sì psichiatrica ma anche, anzi soprattutto, umana.
A cominciare dal titolo: Per le antiche scale sembrerebbe una liaison, un legamento con la scienza e, questo lo abbiamo detto, con l’evoluzione di essa, a cominciare dall’uso degli psicofarmaci. Ma forse quella qualifica, conoscendo (si fa per dire) le intenzioni dello scrittore Tobino, è un richiamo all’origine di tutto, cioè alla presenza di un luogo (una volta lo si poteva chiamare ricovero per matti) che testimoni il lavoro (prezioso) fatto dagli uomini e dai pazienti.
C’è un castello sulla collina; tutto all’intorno è campagna. Il castello è colmo di stanze, cameroni, anditi, anfratti, giardini interni, si scende, si sale, appartamenti privati…
Il castello, se vogliamo indicarlo geograficamente, si trova nella campagna lucchese e costituisce l’essenza stessa del romanzo (se vogliamo… dei romanzi), e ci racconta tutto quello che è successo prima, durante e dopo il fascismo e ancora di più. Ma del fascismo c’è poca traccia, ma lo vedremo poi.
La storia è costituita da una ventina di racconti (meglio sarebbe dire capitoli), ma ciò che occupa lo spazio maggiore è quello in cui si delinea la figura del dottor Bonaccorsi, una specie di totem del posto, una specie di tutto fare, ma anche croce e delizia del posto. Così per ogni altra faccenda dell’Istituto, per i lavori, aprire quella porta, chiudere l’altra, sui precisi tempi della sorveglianza; era lui a ritoccare quel tale particolare del servizio, dove l’infermiere era necessario stesse in quel camerone, in quale punto; come si doveva svolgere la dispensa; chi doveva mettere le pietanze nei piatti; come i ricoverati ex contadini dovevano incolonnarsi per recarsi al podere e così via, in ogni fitto e ragionato particolare…
La seconda parte del libro invece racconta le vicissitudini di un giovane ricercatore, il dottor Anselmo, che Tobino gli fa inaugurare il romanzo (Il dottor Anselmo abitava in manicomio. Mangiava alla mensa; aveva una stanza. Lo stipendio era gramo. Tutto era ristretto.), per poi abbandonarlo quando parla del dottor Bonaccorsi per poi riprenderlo a meno della metà del libro.
Un dottore molto umano (sicuramente autobiografico) che opera nel pieno rispetto degli eventi storici e scientifici e che tenta disperatamente di comunicare con i pazienti. A volte riuscendoci, a volte no. C’è per esempio Solera che indossa da nudo una sottana di una paziente morta, c’è Cherubino che si è innamorato della suora che l’accudiva, c’è un’altra suora che non riesce a controllare il suo istinto di bestemmiare ferocemente, c’è Meschi, un altro paziente, che improvvisamente suona il sax e c’è (non cito tutti gli episodi del libro) infine il racconto, forse il più bello e intenso di tutta la raccolta, del federale che tuona contro il fascismo affermando che nulla esiste, compreso Mussolini.
Come ho già detto in precedenza, non si parla molto di fascismo in questo libro, ogni tanto c’è qualche leggero richiamo alla situazione, ma in questo particolare scritto, la figura del federale che tuona contro il regime è di assoluta bellezza.
Non sappiamo se la persona del federale, meglio ancora, quello che l’uomo dice al suo dottore, sia in realtà una metafora per indicare la nullità delle tragedie, e quindi delle guerre, e quindi di noi stessi, ma è indubbio che se anche non fosse tutto questo, ma semplicemente un disturbo psichiatrico, l’evento in sé assume una forte connotazione sociologica.
Possiamo rispondere con più serenità al quesito essenziale: Tobino scrittore o psichiatra? Verrebbe da dire tutti e due. O forse è solo una nostra immaginazione.
L’edizione da noi considerata è:
Mario Tobino
Per le antiche scale
Oscar Mondadori
Così Tobino parlava del suo libro, e in generale della sua opera completa, in una intervista rilasciata nell’agosto del 1971 al Corriere della Sera. E ci porta di nuovo a ragionare su ciò che l’uomo fu: scrittore o psichiatra?
Tutti sono d’accordo nel dire che Per le antiche scale è il perfetto proseguo de Le libere donne di Magliano, classico anche questo e sul quale trattammo anche noi (fu una stringente necessità, il desiderio di mostrare 'l'altro mondo', quello che con superficiale atteggiamento, se non con criminale approssimazione, fu sempre creduto, almeno fino ad allora, pericoloso e deviante.), ma c’è anche una distanza di tempo che in psichiatria ha, a volte, grande importanza. Ma c’è soprattutto, attraverso le vite dei protagonisti, una sorta di storia che è sì psichiatrica ma anche, anzi soprattutto, umana.
A cominciare dal titolo: Per le antiche scale sembrerebbe una liaison, un legamento con la scienza e, questo lo abbiamo detto, con l’evoluzione di essa, a cominciare dall’uso degli psicofarmaci. Ma forse quella qualifica, conoscendo (si fa per dire) le intenzioni dello scrittore Tobino, è un richiamo all’origine di tutto, cioè alla presenza di un luogo (una volta lo si poteva chiamare ricovero per matti) che testimoni il lavoro (prezioso) fatto dagli uomini e dai pazienti.
C’è un castello sulla collina; tutto all’intorno è campagna. Il castello è colmo di stanze, cameroni, anditi, anfratti, giardini interni, si scende, si sale, appartamenti privati…
Il castello, se vogliamo indicarlo geograficamente, si trova nella campagna lucchese e costituisce l’essenza stessa del romanzo (se vogliamo… dei romanzi), e ci racconta tutto quello che è successo prima, durante e dopo il fascismo e ancora di più. Ma del fascismo c’è poca traccia, ma lo vedremo poi.
La storia è costituita da una ventina di racconti (meglio sarebbe dire capitoli), ma ciò che occupa lo spazio maggiore è quello in cui si delinea la figura del dottor Bonaccorsi, una specie di totem del posto, una specie di tutto fare, ma anche croce e delizia del posto. Così per ogni altra faccenda dell’Istituto, per i lavori, aprire quella porta, chiudere l’altra, sui precisi tempi della sorveglianza; era lui a ritoccare quel tale particolare del servizio, dove l’infermiere era necessario stesse in quel camerone, in quale punto; come si doveva svolgere la dispensa; chi doveva mettere le pietanze nei piatti; come i ricoverati ex contadini dovevano incolonnarsi per recarsi al podere e così via, in ogni fitto e ragionato particolare…
La seconda parte del libro invece racconta le vicissitudini di un giovane ricercatore, il dottor Anselmo, che Tobino gli fa inaugurare il romanzo (Il dottor Anselmo abitava in manicomio. Mangiava alla mensa; aveva una stanza. Lo stipendio era gramo. Tutto era ristretto.), per poi abbandonarlo quando parla del dottor Bonaccorsi per poi riprenderlo a meno della metà del libro.
Un dottore molto umano (sicuramente autobiografico) che opera nel pieno rispetto degli eventi storici e scientifici e che tenta disperatamente di comunicare con i pazienti. A volte riuscendoci, a volte no. C’è per esempio Solera che indossa da nudo una sottana di una paziente morta, c’è Cherubino che si è innamorato della suora che l’accudiva, c’è un’altra suora che non riesce a controllare il suo istinto di bestemmiare ferocemente, c’è Meschi, un altro paziente, che improvvisamente suona il sax e c’è (non cito tutti gli episodi del libro) infine il racconto, forse il più bello e intenso di tutta la raccolta, del federale che tuona contro il fascismo affermando che nulla esiste, compreso Mussolini.
Come ho già detto in precedenza, non si parla molto di fascismo in questo libro, ogni tanto c’è qualche leggero richiamo alla situazione, ma in questo particolare scritto, la figura del federale che tuona contro il regime è di assoluta bellezza.
Non sappiamo se la persona del federale, meglio ancora, quello che l’uomo dice al suo dottore, sia in realtà una metafora per indicare la nullità delle tragedie, e quindi delle guerre, e quindi di noi stessi, ma è indubbio che se anche non fosse tutto questo, ma semplicemente un disturbo psichiatrico, l’evento in sé assume una forte connotazione sociologica.
Possiamo rispondere con più serenità al quesito essenziale: Tobino scrittore o psichiatra? Verrebbe da dire tutti e due. O forse è solo una nostra immaginazione.
L’edizione da noi considerata è:
Mario Tobino
Per le antiche scale
Oscar Mondadori
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