RECENSIONI
Carlo Cannella
Tutto deve crollare
Perdisa pop, Pag, 240 Euro 15,00
"I giornalisti hanno con la vita lo stesso rapporto che le cartomanti hanno con la metafisica, passano metà del loro tempo a parlare di ciò che non conoscono e l'altra metà a tacere di ciò che sanno". Questa frase, folgorante e vera, mi sembra una buona introduzione al libro di Carlo Cannella Tutto deve crollare, romanzo ricco di immagini di grande, straordinaria potenza. Il personaggio principale è un italiano senza scrupoli che in Brasile impara l'arte del crimine - sfruttamento della prostituzione prima, traffico di organi e su scala mondiale poi. Ha un braccio destro, Fernando, che lo aiuta a rapire una bambina india, Isabel, che lui trasformerà in moglie (schiava personale, per la precisione). Con la figlia nata dal rapporto, lo scenario di violenza si allarga. L'uomo dovrà scoprire che nonostante l'onnipotenza da lui teorizzata e praticata, nella quale il capitalismo finanziario mostra il suo presente volto criminale, verrà tradito da tutti – Fernando compreso, che farà impazzire la moglie india e la figlia afflitta da un sorta di sindrome di Stoccolma.
Tutto questo nel libro è reso attraverso una grande forza visiva, plastica, immaginativa. Conosciamo dal di dentro il punto di vista del criminale, e nello sguardo disincantato e feroce di cui esso dispone, com'è della buona letteratura - che lo voglia o meno l'autore empirico e per quanto la cosa appaia ributtante – non stupisce scovare punti di vista controversi. Un buon romanzo, benché sappia da che parte stare com'è in questo caso, sa offrire ragioni paradossali al punto di vista del nemico. In questo senso Tutto deve crollare fa benissimo il suo dovere, fino al punto forse di risultare indigeribile per molti lettori che cercano consolazione con i buoni sentimenti. A mio avviso, invece, ciò che dimostra molto bene, non so con quanta intenzionalità da parte dell'autore, è che la vera letteratura non è pericolosa solo per i tiranni ma per le stesse democrazie.
Leggo in rete queste parole dell'autore in risposta a una domanda sui fini che si era proposto con il libro, dapprima pubblicato in vibrisselibri, la casa editrice "virtuale" di Giulio Mozzi: "Dare una rappresentazione esaustiva del male: mostrarne il volto, scenderne alle radici, spiegarne le ragioni".
Gli è riuscito benissimo. Tutto deve crollare in certi momenti impressiona. Impressiona la scrittura, l'esattezza nominale che non teme di dire la violenza per quello che è, la totale assenza di consolazione (non ci aspettiamo infatti che la sinistra ne faccia un vessillo – oggi la sinistra in Italia si accampa nelle lagne di Vecchioni). Dire come fa Cannella nella stessa occasione che è importante "descrivere l'atto nella sua crudezza" che una "radicalità della visione (volgare perché volgare è la violenza) è un dovere delle parole" può trovarci d'accordo. Così anche questa proposizione: "Se la letteratura si limita a rappresentare il senso di pietà, la commiserazione per l'osceno, e non a dare una visione reale e cruda della violenza, diventa inevitabilmente romantica."
Fosse tutto così liscio questo sarebbe uno dei più grandi libri degli ultimi vent'anni. E invece qualcosa non funziona a dovere. Il niccianesimo paraculo del personaggio principale è verboso, grava sulle azioni sottraendogli spessore (ne avrebbe di enorme) per la tendenza a dire troppo. Sull'analisi dei paradigmi simbolici che governano o subiscono il mondo si può concordare. Che l'arroganza gigantesca delle oligarchie oggi al potere abbia bisogno di milioni di cretini, lo sappiamo, solo che qui è detto in dialoghi o sermoni monologanti troppo lunghi: difetto non raro di certa letteratura italiana corrente. In questi thriller d'idee (penso a quella sorta di romanzo "storico" che è L'odore acido di quei giorni, di Paolo Grugni, sugli anni Settanta, oppure al romanzo "epistemologico" di Bruno Arpaia, L'energia del vuoto – entrambi recensiti qui), i personaggi in certi momenti rischiano di sparire dietro alle idee stesse, di diventare mere funzioni astratte e valoriali. Parlo di economia letteraria, va da sé.
Nella seconda parte, la figlia va a cercare la madre in Brasile. Pure qui non mancano le pagine pleonastiche, per esempio quelle sulla crescita culturale della ragazza, sulla musica che ascolta, sui gusti che cambiano con il tempo. E quando entra in scena il deus ex machina della vicenda, un ex militante di Lotta Continua ossessionato dal bisogno di regolare i conti con il padre della ragazza, accade che le scene in situazione siano appesantite dal bisogno di concettualizzare ciò che dovrebbe essere evidente in sé. Sarebbe bastato lasciarli agire, i personaggi – nel libro di Cannella, il rischio sarebbe stato il capolavoro. Di quelli veri. Non arriva a tanto, ma resta un libro importante. Sul serio.
di Michele Lupo
Tutto questo nel libro è reso attraverso una grande forza visiva, plastica, immaginativa. Conosciamo dal di dentro il punto di vista del criminale, e nello sguardo disincantato e feroce di cui esso dispone, com'è della buona letteratura - che lo voglia o meno l'autore empirico e per quanto la cosa appaia ributtante – non stupisce scovare punti di vista controversi. Un buon romanzo, benché sappia da che parte stare com'è in questo caso, sa offrire ragioni paradossali al punto di vista del nemico. In questo senso Tutto deve crollare fa benissimo il suo dovere, fino al punto forse di risultare indigeribile per molti lettori che cercano consolazione con i buoni sentimenti. A mio avviso, invece, ciò che dimostra molto bene, non so con quanta intenzionalità da parte dell'autore, è che la vera letteratura non è pericolosa solo per i tiranni ma per le stesse democrazie.
Leggo in rete queste parole dell'autore in risposta a una domanda sui fini che si era proposto con il libro, dapprima pubblicato in vibrisselibri, la casa editrice "virtuale" di Giulio Mozzi: "Dare una rappresentazione esaustiva del male: mostrarne il volto, scenderne alle radici, spiegarne le ragioni".
Gli è riuscito benissimo. Tutto deve crollare in certi momenti impressiona. Impressiona la scrittura, l'esattezza nominale che non teme di dire la violenza per quello che è, la totale assenza di consolazione (non ci aspettiamo infatti che la sinistra ne faccia un vessillo – oggi la sinistra in Italia si accampa nelle lagne di Vecchioni). Dire come fa Cannella nella stessa occasione che è importante "descrivere l'atto nella sua crudezza" che una "radicalità della visione (volgare perché volgare è la violenza) è un dovere delle parole" può trovarci d'accordo. Così anche questa proposizione: "Se la letteratura si limita a rappresentare il senso di pietà, la commiserazione per l'osceno, e non a dare una visione reale e cruda della violenza, diventa inevitabilmente romantica."
Fosse tutto così liscio questo sarebbe uno dei più grandi libri degli ultimi vent'anni. E invece qualcosa non funziona a dovere. Il niccianesimo paraculo del personaggio principale è verboso, grava sulle azioni sottraendogli spessore (ne avrebbe di enorme) per la tendenza a dire troppo. Sull'analisi dei paradigmi simbolici che governano o subiscono il mondo si può concordare. Che l'arroganza gigantesca delle oligarchie oggi al potere abbia bisogno di milioni di cretini, lo sappiamo, solo che qui è detto in dialoghi o sermoni monologanti troppo lunghi: difetto non raro di certa letteratura italiana corrente. In questi thriller d'idee (penso a quella sorta di romanzo "storico" che è L'odore acido di quei giorni, di Paolo Grugni, sugli anni Settanta, oppure al romanzo "epistemologico" di Bruno Arpaia, L'energia del vuoto – entrambi recensiti qui), i personaggi in certi momenti rischiano di sparire dietro alle idee stesse, di diventare mere funzioni astratte e valoriali. Parlo di economia letteraria, va da sé.
Nella seconda parte, la figlia va a cercare la madre in Brasile. Pure qui non mancano le pagine pleonastiche, per esempio quelle sulla crescita culturale della ragazza, sulla musica che ascolta, sui gusti che cambiano con il tempo. E quando entra in scena il deus ex machina della vicenda, un ex militante di Lotta Continua ossessionato dal bisogno di regolare i conti con il padre della ragazza, accade che le scene in situazione siano appesantite dal bisogno di concettualizzare ciò che dovrebbe essere evidente in sé. Sarebbe bastato lasciarli agire, i personaggi – nel libro di Cannella, il rischio sarebbe stato il capolavoro. Di quelli veri. Non arriva a tanto, ma resta un libro importante. Sul serio.
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