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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un ‘giallista’ anomalo: “Uno, due, tre” di Tito A.Spagnol.

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Vale la pena parlare di uno scrittore che, nonostante tutto, cioè nonostante le ristrettezze del regime fascista, seppe in qualche modo portare avanti un discorso letterario, anche se poi vedremo che questo discorso sarà segnato anche e soprattutto dai risvolti economici, onesto e per certi versi convincente.
Disse di sé Tito Spagnol, nel 1970, cioè a meno di dieci anni dalla sua morte, in una intervista sulla sua attività narrativa: … lavori di penna meno impegnativi, che però (…) mi avevano procurato tanti lettori da procacciarmi un pane: il che può far meraviglia oggi, pensando che allora il mestiere di penna fruttava solo a chi era impegnato col fascismo, mentre io n’ero stato fuori, anzi tenuto a vista.
Aveva ragione: nel 1944 dovette fuggire perché ritenuto dal regime un anti-fascista. Fuga questa che però le consentì di curare maggiormente la sua attività di giornalista.
Ma perché parliamo di Spagnol? Perché tra le tante cose che fece, tra cui anche regista, nei primi anni venti, di due film muti, e di collaborazioni come sceneggiatore di Frank Capra, si arrangiò anche a scrivere dei gialli, sia di scuola hard-boiled, sia di pura investigazione, tanto da essere ricordato come uno dei migliori giallisti del periodo fascista.
Ma ahimè, il fascismo imponeva dei divieti. Nel 1937 il MinCulPop fa presente che nel giallo nazionale l’assassino non deve essere assolutamente italiano e non può sfuggire in alcun modo alla giustizia. Albero Tedeschi, direttore pluridecennale del Giallo Mondadori, raccontò in una intervista quanto accadeva nella sua redazione in quel periodo: Ad un certo punto arrivò l’ordine di non presentare mai un criminale con un cognome italiano. Era il momento in cui il romanzo poliziesco scopriva la mafia e i veri criminali avevano nomi come Anastasia o Valachi. Ebbene, per amore della mia collana, presi a trasformare i membri di Cosa Nostra in Lopez o Longaron o Gomez.
Spagnol, che non era uno sciocco, capì che al romanzo giallo italiano venivano a mancare delle basi essenziali. Diceva: E’ solo merito della procedura penale anglo-sassone se esiste il romanzo poliziesco, specialità inglese e americana. Con la nostra procedura, i romanzi avrebbero poco da esercitare lo loro fantasia, giacché da noi, appena si sospetta qualcuno, lo si mette in prigione e allora addio intreccio romanzesco.
Nonostante ciò Spagnol scrive dei gialli. In particolare due hanno risvegliato la nostra attenzione: La bambola insanguinata del 1935 e Uno, due, tre del 1937 in cui il protagonista principale è un prete, una specie di padre Brown all’italiana (sappiamo certamente delle conoscenze del panorama poliziesco internazionale da parte dello Spagnol). Si chiama don Poldo, ha ottanta anni ed è studioso di scienze naturali. Vive a Formeniga, in cima a una delle colline che circondano Vittorio Veneto, paese natale dello scrittore e luogo in cui lo Stesso Spagnol morì nel 1979.
Intendiamoci, questa figura del prete, anche se vuole imitare un modello, quello di padre Brown di Chesterton, è lontano da esso. Innanzi tutto fugge a qualsiasi proponimento religioso e poi, anche questo è codice del MinCulPop letterario, l’ambientazione del giallo non può risiedere in città, cioè non deve avere una collocazione metropolitana, ma solo in ambiente agreste e provinciale (a tale proposito si ricordi che i primi gialli di Scerbanenco, quelli cioè dell’investigatore Jelling degli anni ’40 erano ambientati a Boston).
Ecco dunque dove si svolge Uno, due, tre: Cozzuolo è un paese di appena quattromila abitanti, che sorge sulle prime pendici di quell’incantevole giro di colline che cinge Vittorio Veneto.
Dunque ricapitoliamo: nel 1937 un poliziesco non deve avere un omicida italiano, ma solo straniero (ricordate i nomi ironicamente astratti de La trappola colorata di Luciano Folgore?), non può essere ambientato in città, ma solo in provincia e soprattutto non deve avere nessun segnale antifascista.
La trama di Uno, due, tre è abbastanza semplice: in una villa a Cozzuolo viene trovato il corpo senza vita della signora Claudia. Dopo le prime indagine viene confermato l’arresto della nipote della signora, Cesira Sbrina che, alla lettura del testamento della deceduta, ha praticamente ricevuta tutta l’eredità. Seguiranno altre indagini e soprattutto ci saranno altri cadaveri. Ma a risolvere tutte le questioni c’è appunto Don Poldo, il prete del paese.
Al di là di certe fragilità, il romanzo si legge con assoluto garbo, ma è soprattutto testimonianza di cosa volesse essere il regime fascista e come, nonostante tutto, e nonostante il giallo, nel 1943, fosse assolutamente proibito nel paese, certa letteratura, per quanto minima, sopravvivesse agli strali del potere.




Tito A.Spagnol
Uno, due, tre
Giallo Mondadori



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