RECENSIONI
Unai Elorriaga
Un tram a s.p.
Gran vía, Pag. 155 Euro 12,50
Leggo la definizione "anacoluto" sul vocabolario della lingua italiana Treccani: Costrutto sintattico consistente nel susseguirsi di due costruzioni diverse in uno stesso periodo, la prima delle quali resta incompiuta, mentre la seconda non manca di alcun elemento essenziale e porta a compimento il pensiero (...) Più genericamente, qualsiasi costrutto in cui non viene osservata la sintassi normale (...) Molto frequente nel parlar familiare e nei proverbi (...) è spesso adoperato come figura sintattica dagli scrittori, o per maggior efficacia o per riprodurre il linguaggio del popolo.
Porrei l'attenzione su "non viene osservata la sintassi normale" e "spesso adoperato come figura sintattica dagli scrittori".
Perché di questo si vuole trattare ed allargare il concetto: del come uno scrittore possa far suo un modo della lingua e non usarlo per "espressioni", ma per costrutto.
Sarò più chiaro: Unai Elorriaga, giovane scrittore basco (così presumiamo dal cognome e dal fatto che il libro è stato scritto in basco e successivamente, dallo stesso, tradotto in castigliano), ha elaborato una sorta di gigantesco anacoluto, non disgiunto da un uso di metonimie e sineddoche, che pone il lettore di fronte ad uno sviluppo originale, ma a tratti decisamente bizzarro, della storia e dei suoi personaggi.
Storia che si può raccogliere in una manciata di parole: Lucas dopo una lunga malattia torna, accompagnato da sua sorella Marìa, a casa, trovandovi un ospite inatteso, un ragazzo senza lavoro e senza dimora che approfitta dell'accoglienza dei due per rimanere e contribuire successivamente alle spese. Ma Lucas, afflitto da un male che gli cancella la memoria, piano piano si spegne, mentre Marcos, il ragazzo, conosce l'amore: una ragazza di nome Roma.
Ci si chiede sulla quarta di copertina: "nella terza età esistono ancora il desiderio e la creatività?". Non so se questa è la domanda giusta per trovare un senso ultimo al romanzo. Vedrei meglio una chiave di lettura che prediliga il ritorno alla natura, all'essenza stessa del vivere.
Dice Marcos di fronte all'esigenza di fornire il "vecchio" Lucas di pannolino per non sporcarsi: Ma noi ridiamo dei pannoloni e di cosa vuol dire doversi mettere i pannoloni. Perché siamo bambini quanto Lucas, o bambini quanto gli stessi pannoloni, o bambini quanto gli adesivi dei pannoloni, che a volte, senza preavviso, smettono di aderire (...) E sia a me che a Roma sembra giusto essere bambini quanto gli adesivi dei pannoloni; se non possiamo essere – per esempio – scrittori o registi, la cosa migliore che possiamo fare è essere bambini quanto l'adesivo di un pannolone, che a volte aderisce e a volte non ha voglia di aderire.
Roma vuole andare a Lisbona. Non ho i soldi.
Frase essenziale e dimostrativa: dell'uso dell'anacoluto di cui si discettava all'inizio (ma il romanzo è costruito in modo che la sintassi tutta della trama non venga mai rispettata) e del perché, in fondo, si racconti una storia di un rapporto tra un giovane ed una persona anziana. Perché il tratto distintivo dell'uno e dell'altra è ritrovare l'essenza dell'infanzia, lontana però dalla rappresentazione asettica della contemporaneità che la vuole inattaccabile e impersonale.
di Alfredo Ronci
Porrei l'attenzione su "non viene osservata la sintassi normale" e "spesso adoperato come figura sintattica dagli scrittori".
Perché di questo si vuole trattare ed allargare il concetto: del come uno scrittore possa far suo un modo della lingua e non usarlo per "espressioni", ma per costrutto.
Sarò più chiaro: Unai Elorriaga, giovane scrittore basco (così presumiamo dal cognome e dal fatto che il libro è stato scritto in basco e successivamente, dallo stesso, tradotto in castigliano), ha elaborato una sorta di gigantesco anacoluto, non disgiunto da un uso di metonimie e sineddoche, che pone il lettore di fronte ad uno sviluppo originale, ma a tratti decisamente bizzarro, della storia e dei suoi personaggi.
Storia che si può raccogliere in una manciata di parole: Lucas dopo una lunga malattia torna, accompagnato da sua sorella Marìa, a casa, trovandovi un ospite inatteso, un ragazzo senza lavoro e senza dimora che approfitta dell'accoglienza dei due per rimanere e contribuire successivamente alle spese. Ma Lucas, afflitto da un male che gli cancella la memoria, piano piano si spegne, mentre Marcos, il ragazzo, conosce l'amore: una ragazza di nome Roma.
Ci si chiede sulla quarta di copertina: "nella terza età esistono ancora il desiderio e la creatività?". Non so se questa è la domanda giusta per trovare un senso ultimo al romanzo. Vedrei meglio una chiave di lettura che prediliga il ritorno alla natura, all'essenza stessa del vivere.
Dice Marcos di fronte all'esigenza di fornire il "vecchio" Lucas di pannolino per non sporcarsi: Ma noi ridiamo dei pannoloni e di cosa vuol dire doversi mettere i pannoloni. Perché siamo bambini quanto Lucas, o bambini quanto gli stessi pannoloni, o bambini quanto gli adesivi dei pannoloni, che a volte, senza preavviso, smettono di aderire (...) E sia a me che a Roma sembra giusto essere bambini quanto gli adesivi dei pannoloni; se non possiamo essere – per esempio – scrittori o registi, la cosa migliore che possiamo fare è essere bambini quanto l'adesivo di un pannolone, che a volte aderisce e a volte non ha voglia di aderire.
Roma vuole andare a Lisbona. Non ho i soldi.
Frase essenziale e dimostrativa: dell'uso dell'anacoluto di cui si discettava all'inizio (ma il romanzo è costruito in modo che la sintassi tutta della trama non venga mai rispettata) e del perché, in fondo, si racconti una storia di un rapporto tra un giovane ed una persona anziana. Perché il tratto distintivo dell'uno e dell'altra è ritrovare l'essenza dell'infanzia, lontana però dalla rappresentazione asettica della contemporaneità che la vuole inattaccabile e impersonale.
di Alfredo Ronci
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