CLASSICI
Alfredo Ronci
Una farsa all’ombra della Scapigliatura: “Alpinisti ciabattoni” di Achille Giovanni Cagna.
Fu merito di Giovanni Faldella (di cui è recente un testo presente proprio in questa rubrica, e cioè Donna Folgore) se c’è permesso di mettere l’occhio nelle opere e soprattutto in questo libro fortunato, appunto Alpinisti ciabattoni.
Merito certo, ma anche merito di un momento culturale favorevole alla rivolta contro certi schemi preordinati ed illanguiditi entro i quali la riforma manzoniana pareva obbligare senza scampo la lingua italiana dell’età post-unitaria. E in più, almeno da parte del Cagna e anche e soprattutto del Faldella, c’era la ricerca di un modo, anche spiccio, di trasformare appunto questa lingua in un qualcosa forse più moderno, ma non per questo meno comprensivo.
Ecco dunque arrivare il dialetto e la lingua dei puristi. Il Cagna, per esempio, usa il dialetto sia per indicare un’oggettistica comune, sia facendo riferimento alla tradizione che si voleva il toscano come forma più adatta al colloquio. Quel che ne esce fuori, a volte, sono periodi pieni d’ironica presa che tentano di rendere preziosa la vis letteraria. Come ad esempio un passo che andiamo a trasferire e che ci consegna la figura di un prete assai lontano dalla chiarezza di un Manzoni.
Li fiutò da lontano un custode cicerone. Una specie di prete, ibrido fra scagnozzo e sagrestano; impaludato in una cappa sbrendolata di lustrina che gli scendeva fin quasi alle caviglie, lasciandogli allo scoperto un tratto di calzoni e le scarpacce fruste insafardate. Occhi balogi e scerpellini, naso famiolesco, la faccia grinza, chiazzata di macule e sporca di barba disfatta da un mese.
Questo libro, cioè Alpinisti ciabattoni, secondo alcuni è una zarzuela indulgentemente faceta sulle disavventure campagnole di due coniugi bottegai, o ancora una realtà pensata come oggetto tramite l’autonomia della parola. Per carità, lucidi elementi, che però a volte superano le stesse intenzioni degli autori.
Voleva davvero questo il Cagna quando decise di raccontare le disavventure di due onesti lavoratori che, nei pochi giorni che si sono messi a disposizioni per le vacanze, si trovano a dover affrontare insidie che li portano anche a dar conto della propria esistenza?
Mi piace certe volte, anche quando si tratta di episodi che in qualche modo possono deviare discorsi più propriamente letterari, attingere a situazioni che possono non entrarci per nulla, ma che però danno un senso quasi definitivo alla questione. Per esempio… se qualcuno di voi ha visto (chi davvero non lo ha fatto?) i film di Fantozzi, soprattutto quelli in cui moglie e marito tentano di superare gli imprevisti di una vacanza organizzata o addirittura le pellicole in cui Alberto Sordi, accompagnato da una moglie definiamola impreparata, subisce le angherie più che di una persona, di un contesto culturale… beh, non siamo molto lontani dagli effetti procurati da Alpinisti ciabattoni.
Anche l’impegno politico sembra, in questo contesto, del tutto mancare. Se si eccettua una situazione in cui un cliente di un albergo se la prende in modo del tutto evidente contro gli altri frequentatori a proposito del rispetto e della considerazione che si deve portare nei confronti di un personaggio come Giuseppe Garibaldi, il resto scivola via in un contesto che non possiamo non definire ironico, ma privo di agganci politici.
Si è parlato spesso di un qualcosa che cerca l’eccezione lirica a un mondo preordinato, o addirittura di un movimento letterario, alcuni lo definiscono scapigliatura democratica (perché democratica?) che è attenta invece agli aspetti politico-sociali della modernizzazione, della trasformazione industriale e urbana dell’Italia più progredita.
Ci sfugge ancora quel che di sincero volesse fare il Cagna, se non fosse stato, in epoche del tutto impegnative, dell’interesse di alcuni eminentissimi personaggi della cultura italiana per il suo operato. Croce per esempio l’aveva accolto con schietto apprezzamento nella raccolta sugli scrittori della nuova Italia. E nel 1925, quando la sua opera fu riprodotta da Piero Gobetti, un giovanissimo di allora, Eugenio Montale, mise in rilievo il suo operato e la sua lingua vistosa che dipinge a guazzo. Era l’avvio di una scoperta che avrebbe trovato in Gianfranco Contini il più illustre esploratore.
Quello di Alpinisti ciabattoni rimane comunque un tentativo riuscito di capovolgere le acque della nostra letteratura, soprattutto in fatto di umorismo, così insolito davvero nei nostri fogli narrativi. Tentativo appunto riuscito che nel proseguo del tempo avrebbe dato risultati del tutto convincenti al di là delle diverse scapigliature.
L’edizione da noi considerata è:
Achille Giovanni Cagna
Alpinisti ciabattoni
Einaudi - Centopagine
Merito certo, ma anche merito di un momento culturale favorevole alla rivolta contro certi schemi preordinati ed illanguiditi entro i quali la riforma manzoniana pareva obbligare senza scampo la lingua italiana dell’età post-unitaria. E in più, almeno da parte del Cagna e anche e soprattutto del Faldella, c’era la ricerca di un modo, anche spiccio, di trasformare appunto questa lingua in un qualcosa forse più moderno, ma non per questo meno comprensivo.
Ecco dunque arrivare il dialetto e la lingua dei puristi. Il Cagna, per esempio, usa il dialetto sia per indicare un’oggettistica comune, sia facendo riferimento alla tradizione che si voleva il toscano come forma più adatta al colloquio. Quel che ne esce fuori, a volte, sono periodi pieni d’ironica presa che tentano di rendere preziosa la vis letteraria. Come ad esempio un passo che andiamo a trasferire e che ci consegna la figura di un prete assai lontano dalla chiarezza di un Manzoni.
Li fiutò da lontano un custode cicerone. Una specie di prete, ibrido fra scagnozzo e sagrestano; impaludato in una cappa sbrendolata di lustrina che gli scendeva fin quasi alle caviglie, lasciandogli allo scoperto un tratto di calzoni e le scarpacce fruste insafardate. Occhi balogi e scerpellini, naso famiolesco, la faccia grinza, chiazzata di macule e sporca di barba disfatta da un mese.
Questo libro, cioè Alpinisti ciabattoni, secondo alcuni è una zarzuela indulgentemente faceta sulle disavventure campagnole di due coniugi bottegai, o ancora una realtà pensata come oggetto tramite l’autonomia della parola. Per carità, lucidi elementi, che però a volte superano le stesse intenzioni degli autori.
Voleva davvero questo il Cagna quando decise di raccontare le disavventure di due onesti lavoratori che, nei pochi giorni che si sono messi a disposizioni per le vacanze, si trovano a dover affrontare insidie che li portano anche a dar conto della propria esistenza?
Mi piace certe volte, anche quando si tratta di episodi che in qualche modo possono deviare discorsi più propriamente letterari, attingere a situazioni che possono non entrarci per nulla, ma che però danno un senso quasi definitivo alla questione. Per esempio… se qualcuno di voi ha visto (chi davvero non lo ha fatto?) i film di Fantozzi, soprattutto quelli in cui moglie e marito tentano di superare gli imprevisti di una vacanza organizzata o addirittura le pellicole in cui Alberto Sordi, accompagnato da una moglie definiamola impreparata, subisce le angherie più che di una persona, di un contesto culturale… beh, non siamo molto lontani dagli effetti procurati da Alpinisti ciabattoni.
Anche l’impegno politico sembra, in questo contesto, del tutto mancare. Se si eccettua una situazione in cui un cliente di un albergo se la prende in modo del tutto evidente contro gli altri frequentatori a proposito del rispetto e della considerazione che si deve portare nei confronti di un personaggio come Giuseppe Garibaldi, il resto scivola via in un contesto che non possiamo non definire ironico, ma privo di agganci politici.
Si è parlato spesso di un qualcosa che cerca l’eccezione lirica a un mondo preordinato, o addirittura di un movimento letterario, alcuni lo definiscono scapigliatura democratica (perché democratica?) che è attenta invece agli aspetti politico-sociali della modernizzazione, della trasformazione industriale e urbana dell’Italia più progredita.
Ci sfugge ancora quel che di sincero volesse fare il Cagna, se non fosse stato, in epoche del tutto impegnative, dell’interesse di alcuni eminentissimi personaggi della cultura italiana per il suo operato. Croce per esempio l’aveva accolto con schietto apprezzamento nella raccolta sugli scrittori della nuova Italia. E nel 1925, quando la sua opera fu riprodotta da Piero Gobetti, un giovanissimo di allora, Eugenio Montale, mise in rilievo il suo operato e la sua lingua vistosa che dipinge a guazzo. Era l’avvio di una scoperta che avrebbe trovato in Gianfranco Contini il più illustre esploratore.
Quello di Alpinisti ciabattoni rimane comunque un tentativo riuscito di capovolgere le acque della nostra letteratura, soprattutto in fatto di umorismo, così insolito davvero nei nostri fogli narrativi. Tentativo appunto riuscito che nel proseguo del tempo avrebbe dato risultati del tutto convincenti al di là delle diverse scapigliature.
L’edizione da noi considerata è:
Achille Giovanni Cagna
Alpinisti ciabattoni
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