INTERVISTE
Vuoto all'altezza del cuore
Vuoto
del grano che già raggiunse
(nel sole) l'altezza del cuore.
Giorgio Caproni
Lei racconta la storia di due gemelli siamesi, che vivono quasi in un incubo. Come mai la scelta di un soggetto non facilissimo, quando in giro si pubblica Pulsatilla?
Penso che ognuno faccia delle scelte relativamente a quello che ha bisogno di dire in quel momento, in modo mediato o non mediato. La scelta di Pulsatilla è molto meno mediata, più diretta, però è anche quello di cui c'è bisogno... io son convinto di una cosa, a prescindere da tutto... che nel momento in cui un libro ha un riscontro molto forte con la società, col popolo... quindi è un libro populista... in quel momento risponde a un bisogno del popolo... quindi, indipendentemente dai suoi difetti e dalle sue pretese, vale.
Lei ha scritto un libro su una persona a due teste. Però non ha due teste. O la letteratura non c'entra col soggetto?
La letteratura, quella vera, cioè come insegnano da Dostoevskij a Kafka, non c'entra mai col soggetto... perché non penso che Kafka fosse uno scarafaggio o che Dostoevskij avesse a che fare coi fratelli Karamazov. Se scrivessi un saggio sul nazismo, non sarei necessariamente un nazista.
Come ha contattato la Sua casa editrice, la Halley?
Innanzitutto, non ho fatto il canonico giro di tutti gli editori. Ho conosciuto Francesca (Chiappa, n.d.r) e Cristina (Tizian, n.d.r) l'ho dato a loro perché avevo presentato Alda Teodorani, che mi ha indirizzato ad Halley. Loro hanno letto il romanzo e hanno deciso subito d'inserirlo nel nuovo marchio.
Lei ha scritto le sue cose e l'ha mandate. Dunque, non c'è stato nessuno che prima le ha rivisto i testi?
No, no... adesso è tutto molto diverso, ovviamente... perché ho un agente, perché ho altri tipi di contatti, trattative. All'inizio assolutamente no. C'è stato l'editing di Cristina, in casa editrice. Che però è stato un editing come definisco spesso emotivo... lei ha cercato il più possibile di capire fino a che punto fossi io all'interno del romanzo, e fino a che punto io non fossi... ma non è mai stato l'editing di una persona che voleva sovrapporsi col suo talento e diciamo le sue caratteristiche intime anche di gusti letterari al testo. E' stata molto rispettosa, quindi l'editing è stato davvero leggero, proprio perché fatto in quest'ottica. Poi il romanzo ha una struttura talmente decisa - piaccia o meno -, è talmente chiaro... nel suo essere poi totalmente ambiguo... è talmente chiaro come prodotto che è anche difficile intervenire su di esso.
Ho notato infatti questo editing "leggero". Come, da lettore, ho trovato alcuni incagli nella meccanica della narrazione. Lei pensa di risolverli ispirandosi a scrittori modernissimi come Taro Greenfeld, o ha dei riferimenti classici?
Ogni mio riferimento è classico...in realtà nel momento in cui Lei mi dice che ci sono delle cose che all'interno della struttura narrativa non funzionano rispetto a un canone classico, è vero. Ad esempio, è assurdo il momento in cui arrivano le due ragazze straniere a casa dei gemelli, aprono la porta e cadono a terra stecchite... questo è stato scritto anche da Bertante su Pulp o da Fasanotti. Ma non ha niente a che vedere col romanzo in sé, che non vuole essere un romanzo di genere... e quindi nulla deve riportare a esso. E' una lotta con l'impenetrabile che faccio... a livello narrativo, quindi aldilà di tutto quello che non riguarda i concetti, la filosofia, il simbolo e la metafora, io tendo sempre a rendere molto semplicistica la scena in sé... quindi c'è il ragazzino che ha rapporti sessuali con il cane, c'è il preservativo che si schiaccia in faccia... una cosa questa che non ha nessun senso, è la cosa più stupida che possa esistere, anche tecnicamente non funziona così nella descrizione... ma è un buttarla su un aspetto grottesco che è assolutamente indettivale nei confronti del grottesco stesso in letteratura. Quindi è una lotta che faccio contro un vuoto cosmico... cioè, io quando scrivo mi metto davvero con le spalle al muro...a me interessava in quel libro davvero dire della dimostrazione dell'esistenza di Dio, dire dell'inferno dei protagonisti a contatto con questioni contemporanee come la fecondazione assistita, i pacs, tutta la questione di Tommaso, dire di questa pioggia incessante che cade, di questa dimensione... quindi poi, quello che conta è che tu chiudi il libro e ti resta un universo che io ho saputo ritrarre, e non ti restano quelle scene stupide... questo lo noto siccome c'è spesso nella corrispondenza con i lettori... ma sono consapevole che ci sono delle cose tecniche che non funzionano a livello del romanzo classico alla Tolstoj... il mio modello fa sempre i conti con Dostoevskij, Kafka, Pasolini, Landolfi, cioè una dimensione che è demoniaca, davvero anche quando vuole essere realistica è costantemente simbolica...ma questo mi viene dalla filosofia... cioè io voglio dire qualcosa che non è quella scena, a me non interessa... perché fondamentalmente non mi interessa la narrativa in questi termini...sono un narratore ma non un appassionato di narrativa... non leggerei mai e poi mai uno dei romanzi che escono oggi in cui mi si racconta una storia...perché non mi interessa sentirmi raccontare delle storie...m'interessa avere dei concetti...
Infine: che libro ha sul comodino?
(***) (1) di Thomas Bernhard.
Grazie per l'intervista, e a risentirci al prossimo romanzo.
1) A questo punto un' imperfezione del nastro sul quale veniva registrata l'intervista ha reso impossibile comprendere il titolo. Ce ne scusiamo co' nostri Lettori e, ovvio, con l'Autore.
del grano che già raggiunse
(nel sole) l'altezza del cuore.
Giorgio Caproni
Lei racconta la storia di due gemelli siamesi, che vivono quasi in un incubo. Come mai la scelta di un soggetto non facilissimo, quando in giro si pubblica Pulsatilla?
Penso che ognuno faccia delle scelte relativamente a quello che ha bisogno di dire in quel momento, in modo mediato o non mediato. La scelta di Pulsatilla è molto meno mediata, più diretta, però è anche quello di cui c'è bisogno... io son convinto di una cosa, a prescindere da tutto... che nel momento in cui un libro ha un riscontro molto forte con la società, col popolo... quindi è un libro populista... in quel momento risponde a un bisogno del popolo... quindi, indipendentemente dai suoi difetti e dalle sue pretese, vale.
Lei ha scritto un libro su una persona a due teste. Però non ha due teste. O la letteratura non c'entra col soggetto?
La letteratura, quella vera, cioè come insegnano da Dostoevskij a Kafka, non c'entra mai col soggetto... perché non penso che Kafka fosse uno scarafaggio o che Dostoevskij avesse a che fare coi fratelli Karamazov. Se scrivessi un saggio sul nazismo, non sarei necessariamente un nazista.
Come ha contattato la Sua casa editrice, la Halley?
Innanzitutto, non ho fatto il canonico giro di tutti gli editori. Ho conosciuto Francesca (Chiappa, n.d.r) e Cristina (Tizian, n.d.r) l'ho dato a loro perché avevo presentato Alda Teodorani, che mi ha indirizzato ad Halley. Loro hanno letto il romanzo e hanno deciso subito d'inserirlo nel nuovo marchio.
Lei ha scritto le sue cose e l'ha mandate. Dunque, non c'è stato nessuno che prima le ha rivisto i testi?
No, no... adesso è tutto molto diverso, ovviamente... perché ho un agente, perché ho altri tipi di contatti, trattative. All'inizio assolutamente no. C'è stato l'editing di Cristina, in casa editrice. Che però è stato un editing come definisco spesso emotivo... lei ha cercato il più possibile di capire fino a che punto fossi io all'interno del romanzo, e fino a che punto io non fossi... ma non è mai stato l'editing di una persona che voleva sovrapporsi col suo talento e diciamo le sue caratteristiche intime anche di gusti letterari al testo. E' stata molto rispettosa, quindi l'editing è stato davvero leggero, proprio perché fatto in quest'ottica. Poi il romanzo ha una struttura talmente decisa - piaccia o meno -, è talmente chiaro... nel suo essere poi totalmente ambiguo... è talmente chiaro come prodotto che è anche difficile intervenire su di esso.
Ho notato infatti questo editing "leggero". Come, da lettore, ho trovato alcuni incagli nella meccanica della narrazione. Lei pensa di risolverli ispirandosi a scrittori modernissimi come Taro Greenfeld, o ha dei riferimenti classici?
Ogni mio riferimento è classico...in realtà nel momento in cui Lei mi dice che ci sono delle cose che all'interno della struttura narrativa non funzionano rispetto a un canone classico, è vero. Ad esempio, è assurdo il momento in cui arrivano le due ragazze straniere a casa dei gemelli, aprono la porta e cadono a terra stecchite... questo è stato scritto anche da Bertante su Pulp o da Fasanotti. Ma non ha niente a che vedere col romanzo in sé, che non vuole essere un romanzo di genere... e quindi nulla deve riportare a esso. E' una lotta con l'impenetrabile che faccio... a livello narrativo, quindi aldilà di tutto quello che non riguarda i concetti, la filosofia, il simbolo e la metafora, io tendo sempre a rendere molto semplicistica la scena in sé... quindi c'è il ragazzino che ha rapporti sessuali con il cane, c'è il preservativo che si schiaccia in faccia... una cosa questa che non ha nessun senso, è la cosa più stupida che possa esistere, anche tecnicamente non funziona così nella descrizione... ma è un buttarla su un aspetto grottesco che è assolutamente indettivale nei confronti del grottesco stesso in letteratura. Quindi è una lotta che faccio contro un vuoto cosmico... cioè, io quando scrivo mi metto davvero con le spalle al muro...a me interessava in quel libro davvero dire della dimostrazione dell'esistenza di Dio, dire dell'inferno dei protagonisti a contatto con questioni contemporanee come la fecondazione assistita, i pacs, tutta la questione di Tommaso, dire di questa pioggia incessante che cade, di questa dimensione... quindi poi, quello che conta è che tu chiudi il libro e ti resta un universo che io ho saputo ritrarre, e non ti restano quelle scene stupide... questo lo noto siccome c'è spesso nella corrispondenza con i lettori... ma sono consapevole che ci sono delle cose tecniche che non funzionano a livello del romanzo classico alla Tolstoj... il mio modello fa sempre i conti con Dostoevskij, Kafka, Pasolini, Landolfi, cioè una dimensione che è demoniaca, davvero anche quando vuole essere realistica è costantemente simbolica...ma questo mi viene dalla filosofia... cioè io voglio dire qualcosa che non è quella scena, a me non interessa... perché fondamentalmente non mi interessa la narrativa in questi termini...sono un narratore ma non un appassionato di narrativa... non leggerei mai e poi mai uno dei romanzi che escono oggi in cui mi si racconta una storia...perché non mi interessa sentirmi raccontare delle storie...m'interessa avere dei concetti...
Infine: che libro ha sul comodino?
(***) (1) di Thomas Bernhard.
Grazie per l'intervista, e a risentirci al prossimo romanzo.
1) A questo punto un' imperfezione del nastro sul quale veniva registrata l'intervista ha reso impossibile comprendere il titolo. Ce ne scusiamo co' nostri Lettori e, ovvio, con l'Autore.
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