RECENSIONI
Gabriele Dadati
Piccolo testamento
Laurana editore, Pag. 116 Euro 12,00
Mica facile decifrare questo libro. Facile sarebbe se l'editoria, avvezza al culto dello stesso, offrisse un'immagine di sé e quindi del mercato lontana da qualsivoglia condizionamento. Siccome, invece, siamo su un mare procelloso, questa è opera da prendere con le pinze e finanche 'diversa'.
Se ne hanno avvisaglie a pag. 22 sulla necessità delle descrizioni: Le descrizioni in un romanzo sono antieconomiche, non fanno progredire la storia e rallentano la naturale caduta del lettore nel precipizio della trama Mi sembra commovente che qualcuno cerchi di riesumarle e lo faccia soprattutto descrivendo il corpo, che forse è il dato superstite a cui si può ancora aggrappare quando tutto il resto è andato a rotoli... e a pag.63, quando Vittorio, critico letterario ed amico del protagonista, a proposito del romanzo d'esordio dice: ... è un libro che forse vi piacerà o forse no, in cui l'idea di letteratura e l'immaginario che si intravedono potranno corrispondervi oppure no, ma senz'altro deve essere considerato un libro di cui l'autore ha forte consapevolezza.
E non dite che l'elemento sia scontato in un'opera d'ingegno: nel Piccolo testamento Dadati aggiunge dove gli altri sottraggono (gli altri sono tutti quegli autori di cui si legge quotidianamente... ed in più chiedendo all'editore in questione: ma come si fa, in una stessa collana, pubblicare questo e L'onnipotente di Vaccari, sdrucito nella quintessenza di un pulpismo fine a se stesso e morto senza che nessuno se ne sia mai accorto? Siamo sicuri che l'eterogeneità sia l'arma ideale? Magari per un suicidio...), e non credo che si tratti soltanto di aggiunte 'letterarie', dove il corpo della scrittura si irrobustisce per necessità di lingua (si parlava sopra, e giustamente, della necessità delle descrizioni). Si tratta, credo, di un resoconto con la classicità, col senso che una volta si dava ai 'caratteri'.
Non mancano difetti in questo libro: autoreferenzialità ad un passo dall'antipatia ed una sorta di consapevolezza del valore del protagonista (che in un passo gli viene anche debitamente 'rinfacciata') che fa a cazzotti con la resa della storia, come quando biasima un'astrologa durante una ripresa tv di usare... l'imperfetto dell'indicativo (...) sia nella protasi sia nell'apodosi del periodo ipotetico, indifferentemente al posto di congiuntivo e condizionale. (!).
Dadati ci sa fare, ma quel che conta è che si possa parlare del suo libro come una rivendicazione di un'arte, l'arte della scrittura ovviamente. Che poi Piccolo testamento parli anche dell'elaborazione di un lutto, quello per la scomparsa di una persona assai cara al protagonista, una sorta di mentore e consigliere letterario, non può che convincerci ulteriormente che questo è un libriccino una spanna al di sopra delle umane sventure narrative di questa trista epoca.
di Alfredo Ronci
Se ne hanno avvisaglie a pag. 22 sulla necessità delle descrizioni: Le descrizioni in un romanzo sono antieconomiche, non fanno progredire la storia e rallentano la naturale caduta del lettore nel precipizio della trama Mi sembra commovente che qualcuno cerchi di riesumarle e lo faccia soprattutto descrivendo il corpo, che forse è il dato superstite a cui si può ancora aggrappare quando tutto il resto è andato a rotoli... e a pag.63, quando Vittorio, critico letterario ed amico del protagonista, a proposito del romanzo d'esordio dice: ... è un libro che forse vi piacerà o forse no, in cui l'idea di letteratura e l'immaginario che si intravedono potranno corrispondervi oppure no, ma senz'altro deve essere considerato un libro di cui l'autore ha forte consapevolezza.
E non dite che l'elemento sia scontato in un'opera d'ingegno: nel Piccolo testamento Dadati aggiunge dove gli altri sottraggono (gli altri sono tutti quegli autori di cui si legge quotidianamente... ed in più chiedendo all'editore in questione: ma come si fa, in una stessa collana, pubblicare questo e L'onnipotente di Vaccari, sdrucito nella quintessenza di un pulpismo fine a se stesso e morto senza che nessuno se ne sia mai accorto? Siamo sicuri che l'eterogeneità sia l'arma ideale? Magari per un suicidio...), e non credo che si tratti soltanto di aggiunte 'letterarie', dove il corpo della scrittura si irrobustisce per necessità di lingua (si parlava sopra, e giustamente, della necessità delle descrizioni). Si tratta, credo, di un resoconto con la classicità, col senso che una volta si dava ai 'caratteri'.
Non mancano difetti in questo libro: autoreferenzialità ad un passo dall'antipatia ed una sorta di consapevolezza del valore del protagonista (che in un passo gli viene anche debitamente 'rinfacciata') che fa a cazzotti con la resa della storia, come quando biasima un'astrologa durante una ripresa tv di usare... l'imperfetto dell'indicativo (...) sia nella protasi sia nell'apodosi del periodo ipotetico, indifferentemente al posto di congiuntivo e condizionale. (!).
Dadati ci sa fare, ma quel che conta è che si possa parlare del suo libro come una rivendicazione di un'arte, l'arte della scrittura ovviamente. Che poi Piccolo testamento parli anche dell'elaborazione di un lutto, quello per la scomparsa di una persona assai cara al protagonista, una sorta di mentore e consigliere letterario, non può che convincerci ulteriormente che questo è un libriccino una spanna al di sopra delle umane sventure narrative di questa trista epoca.
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