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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Adriano Stabile

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Innanzitutto voglio chiederti il criterio che hai adottato per scegliere i personaggi più rappresentativi e che il libro racconta.



Con l'editore abbiamo voluto inserire, oltre ai calciatori, anche dirigenti, allenatori e, novità assoluta, i tifosi. Il criterio di scelta non è soltanto legato all'importanza dei risultati ottenuti sul campo, ma ho voluto nel mio libro anche personaggi che hanno avuto un significato comunque "storico" per la Roma. Un caso emblematico è quello di Lionello Manfredonia, buon giocatore, rimasto in giallorosso non per molto (due anni e mezzo), ma entrato nella storia per la spaccatura irreparabile, e di cui ancora oggi si vedono le conseguenze, che ha provocato nella Curva Sud.

E lo stesso si può dire per Eriksson, che in tre anni ha fatto bene soltanto per 6 mesi, ma dando vita forse alla più spettacolare Roma di sempre. E così Maestrelli, di cui mi ha affascinato il suo essere un'icona laziale pur avendo un passato da stimato capitano giallorosso, poi Turone, buon difensore ricordato quasi esclusivamente per un gol-scudetto annullato, o Nakata, meteora romanista ma nella storia per il suo ruolo fondamentale in quel Juve-Roma del terzo scudetto.

Ho cercato di inserire uomini e personaggi legati alla città e al popolo romano. Gente venuta da fuori che è rimasta "folgorata" dalla Capitale. Basti pensare, solo guardando agli ultimi 25 anni, a giocatori come Rizzitelli, Delvecchio, Candela e Mexes.

Allo stesso tempo sono rimasti fuori giocatori come Perrotta, che pure è un campione del mondo, Scopelli, asso argentino degli anni '30, Emerson, eccellente centrocampista del terzo scudetto, e Luis Del Sol, che nei primi anni '70 fece sognare i tifosi con la sua classe.



Sono in ordine alfabetico, ma puoi dirci di quanto si torna indietro.



Si parte dall'inizio, dalla fondazione del 1927, raccontata nel profilo di Italo Foschi, il primo presidente della Roma e l'ideatore del sodalizio giallorosso. Nel libro troverete così anche William Garbutt, il primo allenatore, e il mitico Attilio Ferraris, primo capitano, grande combattente e romano fino al midollo.



L'uomo che ha fatto grande l'AS Roma che tu reputi più importante? Magari due va...



I numeri dicono Francesco Totti senza dubbio. E' il giocatore che ha disputato più partite nella storia della Roma segnando il maggior numero di reti. Inoltre ha vinto uno scudetto, cosa non da poco per una squadra che ne ha conquistati soltanto tre in 84 anni.

Dovendone citare un altro scelgo Dino Viola. Diventato presidente nel 1979, ha trasformato definitivamente la Roma in una big. Da allora non abbiamo sentito più parlare di "Rometta" ed è iniziato un ciclo che, di fatto, continua tuttora.



Sono più importanti i calciatori o i presidenti, o i dirigenti che lavorano nell'ombra ma azzeccano le mosse al momento giusto?



Io dico i calciatori senza alcun dubbio. Sono loro che vanno in campo. Sono loro che lottano e fanno i gol. Senza giocatori bravi nessuna squadra è in grado di vincere nulla.



Parliamo di Paulo Roberto Falcao



Io sono cresciuto con la sua Roma. Quella di Liedholm, Viola, Tancredi, Ancelotti, Di Bartolomei,

Conti e Pruzzo. La classe del "Divino" è fuori discussione, è stato un giocatore fondamentale. Quella Roma, senza Falcão in campo, era menomata. Io però sono sempre stato critico nei suoi confronti per il suo modo "superprofessionistico" di gestirsi. Con il suo agente Cristoforo Colombo era molto attento ai contratti e agli ingaggi. Falcão, non dimentichiamolo, vinse lo scudetto del 1983 con un piede già a Milano, sponda Inter. L'accordo con i nerazzurri era fatto, poi Viola, dopo una trattativa di un mese e mezzo, gli rinnovò il contratto e lo tenne a Roma.

Il pubblico romanista lo ha tuttavia amato tantissimo e lo ama ancora. Per questo mi piace ricordare, e nel libro lo faccio, l'episodio forse più bello della carriera di Falcão, 17 anni dopo il suo addio alla Capitale. Il 10 febbraio 2002, prima di un Roma-Juve, venne casualmente inquadrato nel maxi-schermo dell'Olimpico e dagli spalti partì un applauso che sembrava non finire mai. Lui se ne accorse e rispose facendo il gesto di gettare il cuore ai tifosi. Un'emozione davvero unica.



Da tifoso ho notato una cosa, non sempre i giocatori o i dirigenti romani e romanisti che hanno avuto la fortuna di militare nella Roma hanno poi fatto la sua fortuna (se si eccettuano Conti e Totti), o mi sbaglio?



In tanti la pensano così, ma io non credo sia vero. La verità è che per tanti giocatori romani e romanisti la Roma è stato il grande amore, magari finito in modo traumatico. Come in tutte le storie d'amore ci sono alti e bassi, c'è la gelosia, tutto è ampliato nel bene e nel male dall'amore reciproco. In tal senso è emblematica la storia di Giuseppe Giannini: è stato 15 anni alla Roma, da alcuni tifosi non è stato mai apprezzato davvero, si è lasciato male con la famiglia Sensi, ma facendo un'analisi fredda della sua carriera il bicchiere è assolutamente ben più che mezzo pieno.



Parliamo un attimo di Totti, di quello che ha significato per Roma e del modo in cui gestiresti il suo ultimo periodo di grande campione in lento declino.



Parlare di Totti è sempre delicato. Come ogni buon romano doc è un bravissimo ragazzo, ma permaloso. Così come sono romani veri e suscettibili i suoi tifosi. E' stato ed è un grandissimo giocatore, un simbolo per la Roma. Non mi piace però ergerlo a simbolo della città. E' un calciatore, le cose serie lasciamole ad altri.

Checché se ne dica credo che la gestione migliore del suo declino sia quella attuata da Ranieri. L'ha schierato con raziocinio e, guarda caso, per la prima volta dopo tanti anni Totti non è rimasto vittima di alcun infortunio.



Secondo te la Roma andrà agli americani, ringrazieremo finalmente la famiglia Sensi e riusciremo a sprovincializzare questa piazza a volte un po' troppo umorale?



Sto seguendo molto da vicino l'arrivo degli americani e credo di essere ben informato sull'argomento. E' un'avventura che mi affascina tantissimo. Sono perfettamente d'accordo con te sulla necessità di sprovincializzare la piazza capitolina. Anche per questo sono sicuro che per la cordata di DiBenedetto non sarà facile farsi capire dai tifosi romanisti, già adesso diffidenti. I prossimi mesi saranno duri per gli americani: si troveranno tifosi ostili e un calcio italiano restio alle novità. L'altra faccia della medaglia è però una Roma che sarà assolutamente all'avanguardia in Italia e, in parte, in Europa. DiBenedetto e soci vogliono introdurre un modello di società nuovo: una società economicamente virtuosa ma capace di spendere tanti soldi grazie alle entrate delle attività commerciali legate al marchio AS Roma. La società giallorossa aprirà una strada che tra qualche anno dovrà necessariamente essere percorsa da tutti gli altri grandi club. E partire prima, si sa, è un grosso vantaggio.



Prossimo libro?



Sono passati 10 anni da una grande gioia giallorossa. Il prossimo libro sarà ancora sulla Roma.







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