RECENSIONI
Jared Cade
Agatha Christie e il mistero della sua scomparsa
Perrone editore, Pag. 326 Euro 16,00
Si è sempre un po' mitizzata la scomparsa della regina del delitto in quei giorni di dicembre del 1926: un po' perché fu davvero curiosa e interessò morbosamente un intero paese, un po' perché riguardava una donna che in quel momento conosceva una popolarità non indifferente e soprattutto perché scriveva 'irrisolvibili' romanzi gialli (aveva già pubblicato L'assassino di Roger Akroyd libro in cui l'assassino, con una mossa audace e scorretta della scrittrice nei confronti del lettore, era lo stesso protagonista che narrava le vicende).
Dunque che cosa fece Agatha Christie in quegli undici, freddi, giorni del dicembre 1926? Secondo il furbissimo autore (e poi vi diremo perché furbissimo), non fece altro che fuggire dal marito con cui aveva ormai un rapporto incrinato a causa delle sue 'frequentazioni' extramatrimoniali. E se ne andò in un albergo di lusso a fare 'le acque'.
In effetti di morboso in questa storia, tranne l'isteria dei mezzi di stampa e di un pubblico a corto di sensazioni forti e grandguignolesche, vi è davvero poco: c'era la scomparsa di una donna che scriveva di delitti e quindi una 'forzata' convergenza (ci verrebbe da dire parallela) tra realtà e finzione.
Tutto qua direte voi? Sì, tutto qua. Poi vi è il ricamo dell'autore, che come si diceva prima, è furbissimo e scaltro. Cosa fa dunque il Cade? Con la scusa della scomparsa ci rifila una specie di biografia della Christie di cui non si aveva assolutamente bisogno perché la stessa scrittrice, poco prima di morire, scrisse una corposa relazione di sé, tralasciando però la questione della sua 'fuga'.
Insomma il libro è strutturato in questo modo: la prima parte è una rappresentazione dei tempi e dei luoghi della regina del delitto e dei suoi esordi. La parte centrale, un centinaio di pagine, è quella che si vorrebbe obbligata, nel senso che 'spulcia' nel sensazionale e nel gossip nel tentativo di dare una spiegazione più che plausibile del 'fattaccio'. L'ultima riannoda i fili del discorso e compie una sorta di transfer tra la realtà e la finzione narrativa: cioè, quanto di quell'episodio determinante nella vita della Christie (più per gli altri che per se stessa, a quanto ci è dato sapere) fu 'transferito' nei gialli della scrittrice più famosa e letta del mondo.
Non ce ne voglia il Cade, ma se dovessimo fare una scelta tra il fascino di una fuga 'apparentemente' inspiegabile ed il fascino dei romanzi gialli della Christie, beh non avremmo dubbi. E' vero, la stessa scrittrice diceva di sé che era una semplice artigiana della penna e che i suoi libri erano soltanto un gioco di società (ma in quei tempi molto di moda e soprattutto influenti nella determinazione dei gusti di lettura della classe media), ma se milioni di lettori, anche ai giorni nostri, continuano a divertirsi con le storie di Poirot e Miss Marple significa che si è innescato un meccanismo di 'riconoscibilità', anche se attraverso una mistificazione, portata all'eccesso, della realtà criminale.
Forse solo un modo di guardare oltre. Quello che pensiamo abbia fatto davvero la Christie in quegli undici giorni per nulla memorabili. Nonostante la grancassa di Jared Cade.
di Alfredo Ronci
Dunque che cosa fece Agatha Christie in quegli undici, freddi, giorni del dicembre 1926? Secondo il furbissimo autore (e poi vi diremo perché furbissimo), non fece altro che fuggire dal marito con cui aveva ormai un rapporto incrinato a causa delle sue 'frequentazioni' extramatrimoniali. E se ne andò in un albergo di lusso a fare 'le acque'.
In effetti di morboso in questa storia, tranne l'isteria dei mezzi di stampa e di un pubblico a corto di sensazioni forti e grandguignolesche, vi è davvero poco: c'era la scomparsa di una donna che scriveva di delitti e quindi una 'forzata' convergenza (ci verrebbe da dire parallela) tra realtà e finzione.
Tutto qua direte voi? Sì, tutto qua. Poi vi è il ricamo dell'autore, che come si diceva prima, è furbissimo e scaltro. Cosa fa dunque il Cade? Con la scusa della scomparsa ci rifila una specie di biografia della Christie di cui non si aveva assolutamente bisogno perché la stessa scrittrice, poco prima di morire, scrisse una corposa relazione di sé, tralasciando però la questione della sua 'fuga'.
Insomma il libro è strutturato in questo modo: la prima parte è una rappresentazione dei tempi e dei luoghi della regina del delitto e dei suoi esordi. La parte centrale, un centinaio di pagine, è quella che si vorrebbe obbligata, nel senso che 'spulcia' nel sensazionale e nel gossip nel tentativo di dare una spiegazione più che plausibile del 'fattaccio'. L'ultima riannoda i fili del discorso e compie una sorta di transfer tra la realtà e la finzione narrativa: cioè, quanto di quell'episodio determinante nella vita della Christie (più per gli altri che per se stessa, a quanto ci è dato sapere) fu 'transferito' nei gialli della scrittrice più famosa e letta del mondo.
Non ce ne voglia il Cade, ma se dovessimo fare una scelta tra il fascino di una fuga 'apparentemente' inspiegabile ed il fascino dei romanzi gialli della Christie, beh non avremmo dubbi. E' vero, la stessa scrittrice diceva di sé che era una semplice artigiana della penna e che i suoi libri erano soltanto un gioco di società (ma in quei tempi molto di moda e soprattutto influenti nella determinazione dei gusti di lettura della classe media), ma se milioni di lettori, anche ai giorni nostri, continuano a divertirsi con le storie di Poirot e Miss Marple significa che si è innescato un meccanismo di 'riconoscibilità', anche se attraverso una mistificazione, portata all'eccesso, della realtà criminale.
Forse solo un modo di guardare oltre. Quello che pensiamo abbia fatto davvero la Christie in quegli undici giorni per nulla memorabili. Nonostante la grancassa di Jared Cade.
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