CLASSICI
Alfredo Ronci
C’è guerra e guerra?: “Cielo chiuso” di Gino Montesanto.
Spesso capita, valutando opere letterarie, d’imbattersi in problematicità che, o sono state evitate per problemi di carattere politico (ma anche economici), oppure perché non sono state affrontate perché non meritavano sostegno. Dico questo perché nel leggere il libro di Montesanto, Cielo chiuso, mi si è posta una domanda a cui non so rispondere ma soprattutto che non ha avuto uno svolgimento, nemmeno parziale, nelle vicende dell’epoca. Domanda che mi affretto a lanciare anche se non credo avrà una risposta adeguata (o quanto meno sicura): perché mai il libro di Montesanto, che parla del periodo fascista, ma soprattutto del problema resistenziale (della serie: ci sono due giovani ragazzi che alla caduta del fascismo uno rimane attaccato al regime mentre l’altro si avvia per le strade di montagna e diventa partigiano) ebbe l’accoglienza e la considerazione dovuta, mentre (e riporto esattamente autore e titolo del libro) il romanzo di Giose Rimanelli, Tiro al piccione, che trattava in modo onesto e sincero degli sconquassi di un giovane legato alla Republica di Salò e a tutto quello che successe dopo fu, se non bersagliato, nemmeno tenuto in considerazione?
Cosa c’era di così tremendo in questo libro, tanto da decretare una sorta di allontanamento dell’autore (in effetti ci fu, perché Rimanelli si trasferì per molti anni negli Usa e lì vi morì nel 2018)? Ce lo dice lo stesso protagonista: “La prima vera scelta politica della mia vita è del 1959: feci la valigia e andai negli Stati Uniti. Quegli antifascisti che avevo tanto apprezzato mi chiusero il cancello delle loro case editrici e mi depennarono dalle loro storie letterarie. In America divenni professore. E’ qui che ho iniziato a vivere la vita dei doveri e della società, e soprattutto quella del pensiero e dell’educazione. Mai nessuno mi ha colpito col bastone, mai nessuno mi ha costretto ad iscrivermi a questo o a quel partito. Ho scelto io: sia come uomo che come scrittore sono sempre stato libero”.
Non solo, lo stesso Rimanelli (che forse in quel periodo non si chiese mai della rispettabilità di Montesanto), nel suo libro critico (anche questo ignorato dall’intelligenza italiana, ma che raccontava precise abitudini dell’élite letteraria del tempo) Il mestiere del furbo così diceva: Molti romanzi della resistenza, in quanto opere narrative, sono mediocri oppure prove fallite: lo stesso Uomini e no vittoriniano, o quel Manifesto di Fabrizio Onofri. La lista sarebbe lunga, ma si ricordano: In principio era l’odio di Franco Vicentini, Dopo i leoni di Antonio Guerra, Prologo alle tenebre di Carlo Bernari, I compagni sconosciuti di Franco Lucentini, Maria e i soldati di Nello Sàito, L’Agnese va a morire di Renata Viganò, Il mondo è una prigione di Guglielmo Petroni, Cielo Chiuso di Gino Montesanto. Il fatto però che in ognuno di questi scrittori si sia precisato il bisogno di tracciare un itinerario morale della coscienza (…) è importante.
Al di là di certe tematiche impressioniste di Rimanelli (che per creare un po’ di confusione intellettuale firmò il testo col nome di A.G. Solari) che lo portano, a volte, a mischiare il sacro col profano (ma è vero che può essere utile accomunare, tanto per citare quelli riportati da Rimanelli, un Lucentini con un Guerra?) mi sembra che le cose che afferma sono del tutto vere e riportino il problema, se davvero il problema esiste, ad un bisogno di tracciare un itinerario morale della coscienza.
Cielo Chiuso è un buon libro. E’ la storia di due giovani fratelli, con padre volontario nella Grande Guerra, allevati ai valori risorgimentali (anche se l’uomo, nel raccomandarli dice: Non sentite, non indovinate che c’è molto marcio? Ingiustizie, tradimenti e più ancora un “no” implicito di tanta e tanta gente per questa guerra? E’ grave quel che dico, ma so che è vero.), che decidono di arruolarsi. Il maggiore, Nicola, presterà servizio a Caserta e in Puglia; il minore, Ugo, verrà inviato sul fronte jugoslavo a combattere i partigiani slavi.
Successivamente succede la rottura: sdegnato e amareggiato per la facilità con cui i suoi ex commilitoni gettano le mostrine al vento preferendo disertare, Nicola rimane fedele al fascismo, mentre Ugo diventa partigiano. Sullo sfondo un evocativo paesaggio delle Romagne.
Ci sono ovviamente degli strappi, come quando in un colloquio con un suo pari, Nicola si sente dire: Non ho mai avuto simpatia per i tedeschi e ora mi accorgo di non averne avuta nemmeno per i fascisti: per le loro idee, i loro modi, per tutto quello che ci hanno insegnato. Adesso li vedo come se fossero pazzi, dei barbari, gente incapace di guardare oltre l’Italia.
Poi tutto torna “normale”. Da una parte c’è Ugo e dall’altra c’è Nicola. E anche il finale, veramente drammatico, che in qualche modo anticipa certe tematiche di fiction che Montesanto avrà nella Rai anni più tardi, non sposta di un solo centimetro quello che lo scrittore si era deciso a raccontare. Non “offendendo” nessuno. Anzi. Ad altri non arrivò lo stesso trattamento.
L’edizione da noi considerata è:
Gino Montesanto
Cielo chiuso
Diabasis
Cosa c’era di così tremendo in questo libro, tanto da decretare una sorta di allontanamento dell’autore (in effetti ci fu, perché Rimanelli si trasferì per molti anni negli Usa e lì vi morì nel 2018)? Ce lo dice lo stesso protagonista: “La prima vera scelta politica della mia vita è del 1959: feci la valigia e andai negli Stati Uniti. Quegli antifascisti che avevo tanto apprezzato mi chiusero il cancello delle loro case editrici e mi depennarono dalle loro storie letterarie. In America divenni professore. E’ qui che ho iniziato a vivere la vita dei doveri e della società, e soprattutto quella del pensiero e dell’educazione. Mai nessuno mi ha colpito col bastone, mai nessuno mi ha costretto ad iscrivermi a questo o a quel partito. Ho scelto io: sia come uomo che come scrittore sono sempre stato libero”.
Non solo, lo stesso Rimanelli (che forse in quel periodo non si chiese mai della rispettabilità di Montesanto), nel suo libro critico (anche questo ignorato dall’intelligenza italiana, ma che raccontava precise abitudini dell’élite letteraria del tempo) Il mestiere del furbo così diceva: Molti romanzi della resistenza, in quanto opere narrative, sono mediocri oppure prove fallite: lo stesso Uomini e no vittoriniano, o quel Manifesto di Fabrizio Onofri. La lista sarebbe lunga, ma si ricordano: In principio era l’odio di Franco Vicentini, Dopo i leoni di Antonio Guerra, Prologo alle tenebre di Carlo Bernari, I compagni sconosciuti di Franco Lucentini, Maria e i soldati di Nello Sàito, L’Agnese va a morire di Renata Viganò, Il mondo è una prigione di Guglielmo Petroni, Cielo Chiuso di Gino Montesanto. Il fatto però che in ognuno di questi scrittori si sia precisato il bisogno di tracciare un itinerario morale della coscienza (…) è importante.
Al di là di certe tematiche impressioniste di Rimanelli (che per creare un po’ di confusione intellettuale firmò il testo col nome di A.G. Solari) che lo portano, a volte, a mischiare il sacro col profano (ma è vero che può essere utile accomunare, tanto per citare quelli riportati da Rimanelli, un Lucentini con un Guerra?) mi sembra che le cose che afferma sono del tutto vere e riportino il problema, se davvero il problema esiste, ad un bisogno di tracciare un itinerario morale della coscienza.
Cielo Chiuso è un buon libro. E’ la storia di due giovani fratelli, con padre volontario nella Grande Guerra, allevati ai valori risorgimentali (anche se l’uomo, nel raccomandarli dice: Non sentite, non indovinate che c’è molto marcio? Ingiustizie, tradimenti e più ancora un “no” implicito di tanta e tanta gente per questa guerra? E’ grave quel che dico, ma so che è vero.), che decidono di arruolarsi. Il maggiore, Nicola, presterà servizio a Caserta e in Puglia; il minore, Ugo, verrà inviato sul fronte jugoslavo a combattere i partigiani slavi.
Successivamente succede la rottura: sdegnato e amareggiato per la facilità con cui i suoi ex commilitoni gettano le mostrine al vento preferendo disertare, Nicola rimane fedele al fascismo, mentre Ugo diventa partigiano. Sullo sfondo un evocativo paesaggio delle Romagne.
Ci sono ovviamente degli strappi, come quando in un colloquio con un suo pari, Nicola si sente dire: Non ho mai avuto simpatia per i tedeschi e ora mi accorgo di non averne avuta nemmeno per i fascisti: per le loro idee, i loro modi, per tutto quello che ci hanno insegnato. Adesso li vedo come se fossero pazzi, dei barbari, gente incapace di guardare oltre l’Italia.
Poi tutto torna “normale”. Da una parte c’è Ugo e dall’altra c’è Nicola. E anche il finale, veramente drammatico, che in qualche modo anticipa certe tematiche di fiction che Montesanto avrà nella Rai anni più tardi, non sposta di un solo centimetro quello che lo scrittore si era deciso a raccontare. Non “offendendo” nessuno. Anzi. Ad altri non arrivò lo stesso trattamento.
L’edizione da noi considerata è:
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Diabasis
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