RECENSIONI
Youval Noah Harari
Da animali a dèi
I grandi tascabili Bompiani, Traduzione di Giuseppe Bernardi, Pag. 533 Euro 16,00
Breve ma densa, questa storia di taglio evoluzionista traccia un bilancio della carriera dell’Homo Sapiens sul pianeta Terra. Una carriera iniziata da poco tempo, in fondo, solo duecentomila anni, ma di rapidità folgorante nei suoi incredibili sviluppi. Una svolta evolutiva che in natura non si era ancora mai vista, e di cui non è detto che si debba andare fieri. A cominciare dall’impatto ambientale.
…la prima ondata della colonizzazione dei Sapiens fu uno dei più grandi e più rapidi disastri ecologici che siano capitati al regno animale.
Così dice l’Autore, spiegando come il diffondersi della nostra specie abbia prodotto un impressionante sfoltimento delle altre, spesso fino all’estinzione. Intanto abbiamo fatto piazza pulita delle altre specie di Homo, che fino a centomila anni fa erano almeno sei, fra cui gli sfortunati Neanderthal. A dire il vero c’è anche un colpo di scena: pare che un po’ del loro patrimonio genetico sia rimasto in alcuni di noi (no, tranquilli, l’Autore non fa i nomi!)
L’uso di utensili e del fuoco e la capacità di organizzarsi in piccoli gruppi per combattere o cacciare sono stati certamente requisiti utili nella competizione evolutiva, ma Harari situa il vero pilastro del cambiamento nella Rivoluzione Cognitiva che sarebbe avvenuta settantamila anni fa. Ricordate il famoso monolite di 2001 odissea nello spazio? Be’: quello. Non che c’entrino gli alieni, piuttosto forse una mutazione casuale, ma certo in quel momento succede qualcosa di straordinario.
Il cambiamento riguarda il linguaggio. Non solo il Sapiens usa il linguaggio per riferirsi a oggetti e situazioni del suo ambiente, cosa che già faceva prima e che in vari modi riescono a fare anche gli altri animali, ma comincia a usare il linguaggio per parlare di cose che non ha mai visto, toccato o odorato, ovvero di cose che non esistono se non nella sua fantasia. Questa capacità diventa un’arma potentissima, anzi l’unica, per riuscire a convogliare le energie di grandi moltitudini di individui verso obiettivi condivisi.
Raccontare finzioni che funzionino non è facile. (…) come si fa a convincere milioni di persone a credere a storie tanto particolari circa gli dèi, le nazioni o le società a responsabilità limitata? Però, quando succede, ciò conferisce ai Sapiens un immenso potere, poiché fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni.
Il Codice di Hammurabi (1776 a.C.) e la Dichiarazione d’indipendenza americana (1776 d.C.) sono miti che hanno sostenuto immensi imperi creando un “ordine immaginato” che ne costituisce la base. Nessuno, sotto Hammurabi, dubitava del fatto che esistesse una differenza reale fra schiavi, uomini comuni e uomini di rango. Erano qualità considerate intrinseche alla natura delle persone, eppure erano totalmente immaginarie. Ugualmente mitico è il concetto opposto, quello di un’uguaglianza assoluta e utopica.
Straordinaria e unica è poi l’invenzione del denaro, entità simbolica fondata sulla mutua fiducia, sulla previsione del futuro e sulla necessità di inserire qualsiasi bene e servizio in un sistema di scambi capace di omologare le entità più differenti, dalla mela alla consulenza legale. Un meraviglioso strumento di scambio condivisibile su scala mondiale, ma i guai cominciano quando il suo valore diventa più virtuale che reale. Infatti dalla misura d’orzo dei Sumeri, considerata il primo denaro della storia, si è passati al siclo d’argento dei Babilonesi, alle monete, alla carta, e infine a un clic sul computer. Sempre meno tangibile, sempre più immaginato e, alla fine, immaginario.
Le banche hanno il permesso di prestare dieci dollari per ogni dollaro che esse posseggono effettivamente, il che significa che il 90 per cento di tutto il denaro presente nei nostri conti correnti non ha effettiva copertura in termini monetari.
Raccontata con arguzia e passione, quest’avventura umana presenta quesiti affascinanti. Svolte difficili da spiegare, come la Rivoluzione Agricola: il passaggio dell’Homo Sapiens dalla vita di cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore, molto più faticosa e in definitiva meno salubre. Qui l’Autore suggerisce l’acrobatica ipotesi che siano stati i cereali a domesticare l’uomo e non viceversa.
Nella molteplicità delle religioni che l’uomo si è dato, più o meno difficili da mettere in pratica, l’Autore ne individua una di provato successo, che è l’ideale capitalistico-consumistico.
Questa è la prima religione della storia i cui seguaci fanno effettivamente quello che viene chiesto loro. Come facciamo però a sapere che in cambio avremo il paradiso? L’abbiamo visto in televisione.
In generale è difficile, anzi impossibile conciliare tutte le istanze della vita umana. C’è sempre una nota stridente, un dettaglio che richiede di far eccezione, un’esigenza pratica che travalica il principio ideale. Questa è la dissonanza cognitiva, a cui l’Autore attribuisce una funzione importante e necessaria.
Proprio come la cultura medioevale non riuscì a far quadrare la cavalleria con il cristianesimo, così il mondo moderno non riesce a far quadrare la libertà con l’eguaglianza. Ma non si tratta di un difetto. Tali contraddizioni rappresentano una parte importante di tutta la cultura umana. In effetti sono i motori della cultura, responsabili della creatività e del dinamismo della nostra specie.
Il congruo numero di pagine non deve impensierire, in questo saggio che si legge come un romanzo, alleggerito dall’ironia e insaporito dal gusto dell’iperbole e della metafora impertinente, in cui l’Autore compie spesso salti temporali per mettere a confronto aspetti di epoche diverse. Quello che non muta, e che viene spesso ricordato, è il nome della nostra specie. Quando si parla dell’uomo, sia pure ammantato di paramenti regali, non si fa altro che parlare di un mammifero chiamato Homo Sapiens.
di Giovanna Repetto
…la prima ondata della colonizzazione dei Sapiens fu uno dei più grandi e più rapidi disastri ecologici che siano capitati al regno animale.
Così dice l’Autore, spiegando come il diffondersi della nostra specie abbia prodotto un impressionante sfoltimento delle altre, spesso fino all’estinzione. Intanto abbiamo fatto piazza pulita delle altre specie di Homo, che fino a centomila anni fa erano almeno sei, fra cui gli sfortunati Neanderthal. A dire il vero c’è anche un colpo di scena: pare che un po’ del loro patrimonio genetico sia rimasto in alcuni di noi (no, tranquilli, l’Autore non fa i nomi!)
L’uso di utensili e del fuoco e la capacità di organizzarsi in piccoli gruppi per combattere o cacciare sono stati certamente requisiti utili nella competizione evolutiva, ma Harari situa il vero pilastro del cambiamento nella Rivoluzione Cognitiva che sarebbe avvenuta settantamila anni fa. Ricordate il famoso monolite di 2001 odissea nello spazio? Be’: quello. Non che c’entrino gli alieni, piuttosto forse una mutazione casuale, ma certo in quel momento succede qualcosa di straordinario.
Il cambiamento riguarda il linguaggio. Non solo il Sapiens usa il linguaggio per riferirsi a oggetti e situazioni del suo ambiente, cosa che già faceva prima e che in vari modi riescono a fare anche gli altri animali, ma comincia a usare il linguaggio per parlare di cose che non ha mai visto, toccato o odorato, ovvero di cose che non esistono se non nella sua fantasia. Questa capacità diventa un’arma potentissima, anzi l’unica, per riuscire a convogliare le energie di grandi moltitudini di individui verso obiettivi condivisi.
Raccontare finzioni che funzionino non è facile. (…) come si fa a convincere milioni di persone a credere a storie tanto particolari circa gli dèi, le nazioni o le società a responsabilità limitata? Però, quando succede, ciò conferisce ai Sapiens un immenso potere, poiché fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni.
Il Codice di Hammurabi (1776 a.C.) e la Dichiarazione d’indipendenza americana (1776 d.C.) sono miti che hanno sostenuto immensi imperi creando un “ordine immaginato” che ne costituisce la base. Nessuno, sotto Hammurabi, dubitava del fatto che esistesse una differenza reale fra schiavi, uomini comuni e uomini di rango. Erano qualità considerate intrinseche alla natura delle persone, eppure erano totalmente immaginarie. Ugualmente mitico è il concetto opposto, quello di un’uguaglianza assoluta e utopica.
Straordinaria e unica è poi l’invenzione del denaro, entità simbolica fondata sulla mutua fiducia, sulla previsione del futuro e sulla necessità di inserire qualsiasi bene e servizio in un sistema di scambi capace di omologare le entità più differenti, dalla mela alla consulenza legale. Un meraviglioso strumento di scambio condivisibile su scala mondiale, ma i guai cominciano quando il suo valore diventa più virtuale che reale. Infatti dalla misura d’orzo dei Sumeri, considerata il primo denaro della storia, si è passati al siclo d’argento dei Babilonesi, alle monete, alla carta, e infine a un clic sul computer. Sempre meno tangibile, sempre più immaginato e, alla fine, immaginario.
Le banche hanno il permesso di prestare dieci dollari per ogni dollaro che esse posseggono effettivamente, il che significa che il 90 per cento di tutto il denaro presente nei nostri conti correnti non ha effettiva copertura in termini monetari.
Raccontata con arguzia e passione, quest’avventura umana presenta quesiti affascinanti. Svolte difficili da spiegare, come la Rivoluzione Agricola: il passaggio dell’Homo Sapiens dalla vita di cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore, molto più faticosa e in definitiva meno salubre. Qui l’Autore suggerisce l’acrobatica ipotesi che siano stati i cereali a domesticare l’uomo e non viceversa.
Nella molteplicità delle religioni che l’uomo si è dato, più o meno difficili da mettere in pratica, l’Autore ne individua una di provato successo, che è l’ideale capitalistico-consumistico.
Questa è la prima religione della storia i cui seguaci fanno effettivamente quello che viene chiesto loro. Come facciamo però a sapere che in cambio avremo il paradiso? L’abbiamo visto in televisione.
In generale è difficile, anzi impossibile conciliare tutte le istanze della vita umana. C’è sempre una nota stridente, un dettaglio che richiede di far eccezione, un’esigenza pratica che travalica il principio ideale. Questa è la dissonanza cognitiva, a cui l’Autore attribuisce una funzione importante e necessaria.
Proprio come la cultura medioevale non riuscì a far quadrare la cavalleria con il cristianesimo, così il mondo moderno non riesce a far quadrare la libertà con l’eguaglianza. Ma non si tratta di un difetto. Tali contraddizioni rappresentano una parte importante di tutta la cultura umana. In effetti sono i motori della cultura, responsabili della creatività e del dinamismo della nostra specie.
Il congruo numero di pagine non deve impensierire, in questo saggio che si legge come un romanzo, alleggerito dall’ironia e insaporito dal gusto dell’iperbole e della metafora impertinente, in cui l’Autore compie spesso salti temporali per mettere a confronto aspetti di epoche diverse. Quello che non muta, e che viene spesso ricordato, è il nome della nostra specie. Quando si parla dell’uomo, sia pure ammantato di paramenti regali, non si fa altro che parlare di un mammifero chiamato Homo Sapiens.
di Giovanna Repetto
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