CLASSICI
Alfredo Ronci
Dalle parole ai fatti: “Il marchese di Roccaverdina” di Luigi Capuana.
Gilberto Finzi, nell’introduzione al presente volume, dice: Il marchese di Roccaverdina è il titolo di un romanzo tardivo: se non capolavoro, certamente opera maggiore di uno scrittore più spesso citato che letto.
Aveva ragione. A tutt’oggi parlando di verismo e anche di altre considerazioni sulla letteratura italiana di fine ottocento e primi del novecento, si usa quasi unanimemente citare Giovanni Verga. I motivi? Probabilmente non ci sono, di certo si è verificata una specie di censura che ha nascosto di seguito le potenzialità di uno scrittore rispetto ad un altro. Eppure Capuana fu davvero un punto di riferimento nell’evoluzione delle nostre lettere.
Verrebbe da dire: tutto e il suo contrario. Davvero. Già la sua fuga a Firenze, a dispetto del padre che lo voleva avvocato, lo portò a confrontarsi con la migliore intellettualità del nostro paese. Per non considerare la lettera che scrisse a Neera in cui, anni più tardi, diceva: … io ero a vent’anni, ed anche oltre, un terreno quasi vergine. Mi avevano insegnato poco o nulla, e pochissimo avevo appreso da me. Confidò persino di non conoscere affatto Balzac.
L’abbandono del modello romanzesco di Manzoni e dei suoi epigoni, in seguito, e la esigenza di una forma narrativa che dipinga i caratteri e i costumi della società moderna annunciano il nuovo corso di Capuana.
Scapigliatura prima e naturalismo e verismo poi in qualche modo conclusero il percorso intellettuale dello scrittore siciliano. Che con Il marchese di Roccaverdina raggiunge il massimo della sua espressione letteraria.
L’arretrata condizione del Sud, l’ingiustizia sociale, l’immobilismo della classe dominante costituiscono, nel romanzo di Capuana, il tessuto antropologico e soprattutto culturale del nuovo romanzo ed occupa l’intero spazio della storia eccetto la presenza di una rassegnata e fiera Agrippina che, secondo alcuni critici, rappresentò il ritratto femminile più riuscito ed intenso della narrativa italiana di fine ottocento.
Si narrano le vicende di un nobile siciliano che ha una passione sfrenata per la popolana Agrippina. Il codice sociale vieta all’uomo di sposarla e s’illude di liberarsi di lei dandola in moglie al fedelissimo dipendente Rocco, con la clausola di un matrimonio bianco. Ma la gelosia per Agrippina ingenera nel Roccaverdina il sospetto di rapporti intimi portandolo a commettere l’omicidio di Rocco, ma facendo attribuire il misfatto ad un innocente. Successivamente il disagio interiore e uno sconvolgimento psicologica porteranno l’uomo all’ebetismo.
Questa la trama, ma credo che l’impatto psicologico del marchese, nella esagerata conclusione del romanzo, abbia davvero molto a che fare con Capuana, soprattutto per i vari ritardi che l’opera accumulò nel corso degli anni. Nella realtà Luigi Capuana ebbe effettivamente una storia come quella del marchese. Era terribilmente attratto dalla serva-amante Peppa Sansone.
Apparentemente poco sensibile alle mozioni dei sentimenti, poco interessato come si vedrà alla famiglia che viene formando la relazione con la bella Peppa, ma legato, eccome, alla propria famiglia d’origine, attento soprattutto agli interessi di casa. Perde mesi e mesi di lavoro letterario pur di non allontanarsi da Mineo, piccola cittadina in provincia di Catania di cui fu sindaco per ben due volte, e soprattutto per non perdere gli incontri con l’amante.
Tutto questo, anche se con conclusioni tutto sommato tragiche e avventurose, avviene nel romanzo Il marchese di Roccaverdina: in più il ritratto di una donna, Agrippina-Peppa, ferma nelle sue dinamiche sociali, ma ferma soprattutto nelle dinamiche sentimentali, tanto da farla sembrare una specie di eroina letteraria.
Si diceva in precedenza che Capuana, ai suoi tempi, era davvero considerato uno scrittore di livello europeo. E anche oggi il romanzo in questione lo si confronta con capolavori assoluti. Come per esempio con Delitto e castigo di Dostoevskj. In ambedue le storie, per esempio, vi è il terribile processo interno del castigo dopo il delitto, ed entrambi gli eroi sono spinti alla fine, dalla forza stessa, alla rivelazione di esso.
Nell’opera di Capuana resta il dubbio però che il tracollo del marchese di Roccaverdina sia in qualche modo il tracollo psicologico dello stesso scrittore. Autoassolvendosi con la letteratura.
L’edizione da noi considerata è:
Luigi Capuana
Il marchese di Roccaverdina
Oscar Mondadori
Aveva ragione. A tutt’oggi parlando di verismo e anche di altre considerazioni sulla letteratura italiana di fine ottocento e primi del novecento, si usa quasi unanimemente citare Giovanni Verga. I motivi? Probabilmente non ci sono, di certo si è verificata una specie di censura che ha nascosto di seguito le potenzialità di uno scrittore rispetto ad un altro. Eppure Capuana fu davvero un punto di riferimento nell’evoluzione delle nostre lettere.
Verrebbe da dire: tutto e il suo contrario. Davvero. Già la sua fuga a Firenze, a dispetto del padre che lo voleva avvocato, lo portò a confrontarsi con la migliore intellettualità del nostro paese. Per non considerare la lettera che scrisse a Neera in cui, anni più tardi, diceva: … io ero a vent’anni, ed anche oltre, un terreno quasi vergine. Mi avevano insegnato poco o nulla, e pochissimo avevo appreso da me. Confidò persino di non conoscere affatto Balzac.
L’abbandono del modello romanzesco di Manzoni e dei suoi epigoni, in seguito, e la esigenza di una forma narrativa che dipinga i caratteri e i costumi della società moderna annunciano il nuovo corso di Capuana.
Scapigliatura prima e naturalismo e verismo poi in qualche modo conclusero il percorso intellettuale dello scrittore siciliano. Che con Il marchese di Roccaverdina raggiunge il massimo della sua espressione letteraria.
L’arretrata condizione del Sud, l’ingiustizia sociale, l’immobilismo della classe dominante costituiscono, nel romanzo di Capuana, il tessuto antropologico e soprattutto culturale del nuovo romanzo ed occupa l’intero spazio della storia eccetto la presenza di una rassegnata e fiera Agrippina che, secondo alcuni critici, rappresentò il ritratto femminile più riuscito ed intenso della narrativa italiana di fine ottocento.
Si narrano le vicende di un nobile siciliano che ha una passione sfrenata per la popolana Agrippina. Il codice sociale vieta all’uomo di sposarla e s’illude di liberarsi di lei dandola in moglie al fedelissimo dipendente Rocco, con la clausola di un matrimonio bianco. Ma la gelosia per Agrippina ingenera nel Roccaverdina il sospetto di rapporti intimi portandolo a commettere l’omicidio di Rocco, ma facendo attribuire il misfatto ad un innocente. Successivamente il disagio interiore e uno sconvolgimento psicologica porteranno l’uomo all’ebetismo.
Questa la trama, ma credo che l’impatto psicologico del marchese, nella esagerata conclusione del romanzo, abbia davvero molto a che fare con Capuana, soprattutto per i vari ritardi che l’opera accumulò nel corso degli anni. Nella realtà Luigi Capuana ebbe effettivamente una storia come quella del marchese. Era terribilmente attratto dalla serva-amante Peppa Sansone.
Apparentemente poco sensibile alle mozioni dei sentimenti, poco interessato come si vedrà alla famiglia che viene formando la relazione con la bella Peppa, ma legato, eccome, alla propria famiglia d’origine, attento soprattutto agli interessi di casa. Perde mesi e mesi di lavoro letterario pur di non allontanarsi da Mineo, piccola cittadina in provincia di Catania di cui fu sindaco per ben due volte, e soprattutto per non perdere gli incontri con l’amante.
Tutto questo, anche se con conclusioni tutto sommato tragiche e avventurose, avviene nel romanzo Il marchese di Roccaverdina: in più il ritratto di una donna, Agrippina-Peppa, ferma nelle sue dinamiche sociali, ma ferma soprattutto nelle dinamiche sentimentali, tanto da farla sembrare una specie di eroina letteraria.
Si diceva in precedenza che Capuana, ai suoi tempi, era davvero considerato uno scrittore di livello europeo. E anche oggi il romanzo in questione lo si confronta con capolavori assoluti. Come per esempio con Delitto e castigo di Dostoevskj. In ambedue le storie, per esempio, vi è il terribile processo interno del castigo dopo il delitto, ed entrambi gli eroi sono spinti alla fine, dalla forza stessa, alla rivelazione di esso.
Nell’opera di Capuana resta il dubbio però che il tracollo del marchese di Roccaverdina sia in qualche modo il tracollo psicologico dello stesso scrittore. Autoassolvendosi con la letteratura.
L’edizione da noi considerata è:
Luigi Capuana
Il marchese di Roccaverdina
Oscar Mondadori
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