RECENSIONI
Sandro Dell'Orco
Delfi
Hacca, Pag.372 Euro 13.50
Immaginate l'emozione nostra alla lettura di quel cognome: Dell'Orco. Praticamente uno di famiglia. Si è pensato a fare festa, a raccogliere quattro amici e a brindare al colpaccio del destino, alle coincidenze più astruse, alla vita. Anche se, e non lo nascondiamo, l'essere orchi, per noi orchi, è una sorta di benedizione dall'alto, e le aggiunte, più o meno consentite, sono approvate solo per rivelazione (quasi alla stregua di una epifania di una madonna piangente sangue).
A dire il vero Sandro Dell'Orco, almeno stando alla terza di copertina, è persona di concreta presenza, per niente orchesco, semmai di figura gradevole ed ordinata.
Del suo libro e della trama, al primo approccio, abbiamo letto: L'investigatore Egon Hereafter, ricevuto l'incarico di indagare su una misteriosa intrusione nel tempio di Apollo, arriva in una Delfi allucinante e surreale, dominata dal Controllo e dai suoi elusivi ed equivoci rappresentanti. Così la sua indagine, invece di progredire, si avvita in una oppressiva spirale di ulteriori quesiti, passi falsi, e azioni incomprensibili che lo spingono a poco a poco in una situazione inimmaginabile. Al di là della storia in primo piano – un enigma che si chiude ermeticamente ad ogni attacco della ragione – appare tra le righe, come in filigrana, l'estrema resistenza dell'individuo alla sua incombente liquidazione.
Di lettura poi, come sempre, si è fatta una scorta, ma ahimé, l'orco di turno – io me medesimo come avrebbe detto Totò – non ha trovata empatia o lacci. Reminiscenze letterarie mi hanno indotto a legare il romanzo ad altre storie (nodi, venivano chiamati in una rubrica di libri di un ormai scomparso settimanale italiano di sinistra): ecco allora l'inevitabile 1984 o una fregnacciata di qualche anno fa di un intellettuale attento e pungente, Gore Vidal, che chissà, forse inebetito dal dolce far niente in quel di Capri o sulla costiera amalfitana, partorì In diretta dal Golgota (Longanesi) che ancora adesso, sempre l'orco, che sarei io me medesimo, stenta a digerire.
Dell'Orco – madonna mia mi sembra la settimana enigmistica - sa (e ormai i nostri lettori più esigenti avranno subodorato che, nonostante il nome, l'animalesca virulenza dell'arte dall'uomo è lontana) che non basta cognizione di sé e del proprio mestiere per fare una cosa riuscita. Delfi è velleitario e sfuggente allo stesso tempo. E non si fa capire.
Questo è il brutto: non si fa capire. Ma è un giallo? E' un poliziesco? E' romanzo surreale? E' romanzo psicologico? Ilaro-tragoedia? Ma posso anche fare atto di misura e di umiltà e confessare ai più che è l'orco animalesco, che sarei sempre io me medesimo, a non avere i giusti agganci e a sventolar bandiera bianca.
Dunque sventolo per modestia. Ma nulla mi toglie dalla testa – ma allora che modestia è – che non ho colpe più di quante ne avesse Chichibio nel vedere una zampa di gru invece che due.
A buon intenditor poche parole.
di Alfredo Ronci
A dire il vero Sandro Dell'Orco, almeno stando alla terza di copertina, è persona di concreta presenza, per niente orchesco, semmai di figura gradevole ed ordinata.
Del suo libro e della trama, al primo approccio, abbiamo letto: L'investigatore Egon Hereafter, ricevuto l'incarico di indagare su una misteriosa intrusione nel tempio di Apollo, arriva in una Delfi allucinante e surreale, dominata dal Controllo e dai suoi elusivi ed equivoci rappresentanti. Così la sua indagine, invece di progredire, si avvita in una oppressiva spirale di ulteriori quesiti, passi falsi, e azioni incomprensibili che lo spingono a poco a poco in una situazione inimmaginabile. Al di là della storia in primo piano – un enigma che si chiude ermeticamente ad ogni attacco della ragione – appare tra le righe, come in filigrana, l'estrema resistenza dell'individuo alla sua incombente liquidazione.
Di lettura poi, come sempre, si è fatta una scorta, ma ahimé, l'orco di turno – io me medesimo come avrebbe detto Totò – non ha trovata empatia o lacci. Reminiscenze letterarie mi hanno indotto a legare il romanzo ad altre storie (nodi, venivano chiamati in una rubrica di libri di un ormai scomparso settimanale italiano di sinistra): ecco allora l'inevitabile 1984 o una fregnacciata di qualche anno fa di un intellettuale attento e pungente, Gore Vidal, che chissà, forse inebetito dal dolce far niente in quel di Capri o sulla costiera amalfitana, partorì In diretta dal Golgota (Longanesi) che ancora adesso, sempre l'orco, che sarei io me medesimo, stenta a digerire.
Dell'Orco – madonna mia mi sembra la settimana enigmistica - sa (e ormai i nostri lettori più esigenti avranno subodorato che, nonostante il nome, l'animalesca virulenza dell'arte dall'uomo è lontana) che non basta cognizione di sé e del proprio mestiere per fare una cosa riuscita. Delfi è velleitario e sfuggente allo stesso tempo. E non si fa capire.
Questo è il brutto: non si fa capire. Ma è un giallo? E' un poliziesco? E' romanzo surreale? E' romanzo psicologico? Ilaro-tragoedia? Ma posso anche fare atto di misura e di umiltà e confessare ai più che è l'orco animalesco, che sarei sempre io me medesimo, a non avere i giusti agganci e a sventolar bandiera bianca.
Dunque sventolo per modestia. Ma nulla mi toglie dalla testa – ma allora che modestia è – che non ho colpe più di quante ne avesse Chichibio nel vedere una zampa di gru invece che due.
A buon intenditor poche parole.
di Alfredo Ronci
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