RECENSIONI
Caterina Mortillaro
Devaloka. Il pianeta degli dèi
Delos Digital, Pag. 424 Euro 19,00
È capace di riservare delle sorprese, Caterina Mortillaro, un’autrice emergente nel campo della fantascienza e non solo. Ognuno ha il suo background e il sapervi attingere in modo creativo è uno dei segreti dei bravi scrittori. Per lei, antropologa e specialista nello studio delle religioni, non è trascorso invano il tempo dell’approfondimento svolto in India. A parte l’ovvio arricchimento del bagaglio professionale, ne è scaturito prima un thriller, Bollywood Babilonia, ambientato nella mecca indiana del cinema, e ora questo romanzo di fantascienza vincitore del Premio Odissea 2019.
Devaloka, a ben guardare, è concepito in modo da unire tradizione e innovazione, fondendo temi classici in un crogiuolo da cui escono trasformati. Vediamo come.
La cosa che più incuriosisce, accostandosi alla lettura, è l’originalità dell’ambientazione. Perché, se è vero che il romanzo inizia nella tradizione del perfetto classico di avventure spaziali, con un’astronave alla deriva insieme a tutto l’equipaggio, è anche vero che è un po’ meno classico ritrovare i superstiti sani e salvi su un pianeta che è diventato una colonia dell’India induista, governata secondo rigidi principi religiosi. Sì, le distopie che descrivono regimi teocratici non mancano nella storia della fantascienza, ma mi pare che prima d’ora l’induismo non sia stato rappresentato. Dunque il boccone è ghiotto, anche perché l’autrice sa bene di che cosa parla e non lesina dettagli interessanti. Tutto il romanzo si può leggere su due piani. Quello dell’avventura, e l’avventura non manca. E quello antropologico filosofico e religioso, che è altrettanto approfondito e non meno stimolante.
Detto in breve, la trama racconta la missione di un gruppo di esperti di diverse nazionalità, inviati sul pianeta Devaloka per scoprire che cosa ci sia dietro le presunte manifestazioni divine vantate dai coloni indiani.
Uno dei tanti misteri è quello legato alla fauna autoctona del pianeta. Si tratta di animali che fanno un gran bel vedere, così appariscenti e feroci, ma sono troppo simili ai nostri sauri della preistoria, cosa che presupporrebbe un improbabile percorso evolutivo analogo a quello terrestre. Molta fantascienza classica ha sfruttato il fascino della preistoria senza troppi scrupoli di verosimiglianza, ma in questo caso i personaggi stessi condividono la nostra perplessità e si mettono al lavoro per venirne a capo.
I personaggi, appunto, meritano una particolare attenzione, perché l’autrice ha messo insieme un cast piuttosto eterogeneo e intrigante. La protagonista è una figura già di per sé complessa a causa delle sue contraddizioni personali, essendo un’antropologa studiosa delle religioni e nello stesso tempo una convinta cattolica, ma non per questo immune da qualche sacrilego peccatuccio. La situazione però diventa paradossale e perfino esplosiva quando si accorge che le presunte divinità pagane, di cui dovrebbe studiare la natura e svelare le eventuali mistificazioni, hanno scelto proprio lei come veicolo di comunicazione con i fedeli.
Matasse. La sua vita era diventata un groviglio di matasse. La matassa più grossa e difficile era quella delle visioni. In certi giorni riusciva a controllarle, in altri la afferravano e la portavano dove volevano loro.
Per fortuna, mentre si adopera per far fronte a minacce interne ed esterne e ad ambigui corteggiamenti da parte dei notabili locali, la studiosa ha alle spalle il sostegno di una solida squadra di collaboratori. Primo fra tutti l’affascinante Wade, che sotto l’apparenza di una muscolosa bellezza virile nasconde inesauribili sorprese, così straordinarie da essere, bisogna dirlo, al limite della credibilità. La gustosa caratterizzazione con cui è tratteggiato il resto dell’équipe è uno dei punti di forza del romanzo. Ci si affeziona, nel corso della lettura, a questi tipi così riconoscibili nei pregi e nei difetti, ognuno con il suo spessore umano. Così, a ogni nuovo risvolto della vicenda, il lettore aspetta il momento della riunione d’équipe e pregusta le reazioni di ciascuno, sufficientemente prevedibili da aderire al carattere del personaggio, ma con quel po’ di imprevedibilità che serve a movimentare la scena. Si assiste intanto all’evolvere di simpatie, antipatie, conflitti aperti e problematici amori, mentre sorprese e pericoli incombono ininterrottamente nel corso delle oltre quattrocento pagine del romanzo. Che a dire il vero passano in fretta, perché Devaloka, con tutto il suo bagaglio filosofico così adeguatamente argomentato, si offre pur sempre al lettore come una godibile storia di avventure.
di Giovanna Repetto
Devaloka, a ben guardare, è concepito in modo da unire tradizione e innovazione, fondendo temi classici in un crogiuolo da cui escono trasformati. Vediamo come.
La cosa che più incuriosisce, accostandosi alla lettura, è l’originalità dell’ambientazione. Perché, se è vero che il romanzo inizia nella tradizione del perfetto classico di avventure spaziali, con un’astronave alla deriva insieme a tutto l’equipaggio, è anche vero che è un po’ meno classico ritrovare i superstiti sani e salvi su un pianeta che è diventato una colonia dell’India induista, governata secondo rigidi principi religiosi. Sì, le distopie che descrivono regimi teocratici non mancano nella storia della fantascienza, ma mi pare che prima d’ora l’induismo non sia stato rappresentato. Dunque il boccone è ghiotto, anche perché l’autrice sa bene di che cosa parla e non lesina dettagli interessanti. Tutto il romanzo si può leggere su due piani. Quello dell’avventura, e l’avventura non manca. E quello antropologico filosofico e religioso, che è altrettanto approfondito e non meno stimolante.
Detto in breve, la trama racconta la missione di un gruppo di esperti di diverse nazionalità, inviati sul pianeta Devaloka per scoprire che cosa ci sia dietro le presunte manifestazioni divine vantate dai coloni indiani.
Uno dei tanti misteri è quello legato alla fauna autoctona del pianeta. Si tratta di animali che fanno un gran bel vedere, così appariscenti e feroci, ma sono troppo simili ai nostri sauri della preistoria, cosa che presupporrebbe un improbabile percorso evolutivo analogo a quello terrestre. Molta fantascienza classica ha sfruttato il fascino della preistoria senza troppi scrupoli di verosimiglianza, ma in questo caso i personaggi stessi condividono la nostra perplessità e si mettono al lavoro per venirne a capo.
I personaggi, appunto, meritano una particolare attenzione, perché l’autrice ha messo insieme un cast piuttosto eterogeneo e intrigante. La protagonista è una figura già di per sé complessa a causa delle sue contraddizioni personali, essendo un’antropologa studiosa delle religioni e nello stesso tempo una convinta cattolica, ma non per questo immune da qualche sacrilego peccatuccio. La situazione però diventa paradossale e perfino esplosiva quando si accorge che le presunte divinità pagane, di cui dovrebbe studiare la natura e svelare le eventuali mistificazioni, hanno scelto proprio lei come veicolo di comunicazione con i fedeli.
Matasse. La sua vita era diventata un groviglio di matasse. La matassa più grossa e difficile era quella delle visioni. In certi giorni riusciva a controllarle, in altri la afferravano e la portavano dove volevano loro.
Per fortuna, mentre si adopera per far fronte a minacce interne ed esterne e ad ambigui corteggiamenti da parte dei notabili locali, la studiosa ha alle spalle il sostegno di una solida squadra di collaboratori. Primo fra tutti l’affascinante Wade, che sotto l’apparenza di una muscolosa bellezza virile nasconde inesauribili sorprese, così straordinarie da essere, bisogna dirlo, al limite della credibilità. La gustosa caratterizzazione con cui è tratteggiato il resto dell’équipe è uno dei punti di forza del romanzo. Ci si affeziona, nel corso della lettura, a questi tipi così riconoscibili nei pregi e nei difetti, ognuno con il suo spessore umano. Così, a ogni nuovo risvolto della vicenda, il lettore aspetta il momento della riunione d’équipe e pregusta le reazioni di ciascuno, sufficientemente prevedibili da aderire al carattere del personaggio, ma con quel po’ di imprevedibilità che serve a movimentare la scena. Si assiste intanto all’evolvere di simpatie, antipatie, conflitti aperti e problematici amori, mentre sorprese e pericoli incombono ininterrottamente nel corso delle oltre quattrocento pagine del romanzo. Che a dire il vero passano in fretta, perché Devaloka, con tutto il suo bagaglio filosofico così adeguatamente argomentato, si offre pur sempre al lettore come una godibile storia di avventure.
di Giovanna Repetto
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