DE FALSU CREDITU
Franco Bieneturdit
Eh?
La Scimmia, Piuma 32, Pag. 1 Euro 9,00
Eh? di Franco Bieneturdit: è con questo solo libro, di questo solo autore (un libro di una sola parola) che nasce e muore il movimento di Letteratura Essenziale.
Raccontare ancora una volta cosa è stato, o cosa non è stato, questo movimento, significa adoperare nuovamente, in maniera permanente, l'arma ermeneutica della penetrazione per guardare attraverso l'essenzialità: l'essenzialità e il suo movimento di letteratura, infatti, furono tutt'uno. L'essenziale ebbe luogo come mai prima e mai dopo solo in quel giugno 1967 in cui per la prima volta l'Edition de Minuit diede alle stampe il capolavoro dell'autore belga.
Cos'è l'essenziale? Certo non qualcosa di scarno, o semplice. Piuttosto il contrario. L'essenziale è evocazione dell'essere: quindi pura complessità; cristallina ridondanza; conchiusa esaltazione.
Ogni termine, qui, si rimanda, in modo compenetrato, all'altro.
Essenziale è puro, cristallino, conchiuso. Rileggiamo la famosa chiosa a Bieneturdit in una intervista ad Ananda Sunya su Mondo Feo: Oggi più che mai la superstizione commerciale con i suoi corollari della causa ed effetto, uso, utilizzo e utilità, efficienza e senso. Gli animali servono a essere mangiati; gli esseri viventi, e tutte le loro capacità, a sopravvivere; le cose per essere usate. E la letteratura a cosa serve? A divertire, interessare, convertire, informare o vendere? E i figli? I figli servono a chi li fa? Servono a qualcuno? O piuttosto gli imperscrutabili e non giudicabili motivi per cui si può volere figliare (o raccontare una storia, o esibire una capacità, o sopravvivere) sono solo un'elaborata strategia (un inganno retorico) del figlio che chiama se stesso ad essere, dell'essere ad essere essenziale?
Ma già lo diceva Walter Benjamin nell' Angelus Novus: nessuna poesia è rivolta al lettore, nessun quadro allo spettatore, nessuna sinfonia agli ascoltatori.
E di nuovo: l'essenziale è complessità, ridondanza, esaltazione.
Ed è ovvio che in questo vertice coincida l'estremo del tutto e del nulla: il luogo privo di immagini che è l'immaginazione in sé. A cosa porta questa esaltazione e ridondanza dell'essenziale se non al vuoto? E sa bene Lévinas come "l'essere si riveli al pensiero come guerra"; la guerra come esaltazione dell'essere e sua perdita nello scontro con l'Altro. E che questo sormontarsi e perdersi nell'Altro sia nella costituzione più remota dell'essere è già nelle sentenza, assoluta ed essenziale, di Eraclito: padre di tutte le cose è guerra.
Questo andiamo a cercare in guerra. Questo in ogni atto estremo: lo svuotamento.
Vuoto è la leggerezza che cerchiamo nella morte dell'estesi. Vuoto è la fame, la fatica e il senso di vera e infinita precarietà che consuma il viaggiatore. Vuoto è la magrezza di febbre del vero assassino: permettetemi di ricordare la descrizione, assunta a predestinazione, del grande Mario Gotti, padre di Letteratura & Delinquenza nell'impareggiabile racconto della sua iniziazione: Mario Gotti era ancora un ragazzino. Magro da mettere paura, ma paura, che manco si poteva vedere con il binocolo pei cavallucci marini.
E così arriviamo (prima di partire, si dovrebbe dire) a Bieneturdit, dove l'essere, altamente sormontato nel massimo di ciò che si può predicare di se stesso (è), si travalica nell'interrogazione attonita (eh?).
Eh?: non è così che tutti noi, essenzialmente, viviamo e moriamo?
Raccontare ancora una volta cosa è stato, o cosa non è stato, questo movimento, significa adoperare nuovamente, in maniera permanente, l'arma ermeneutica della penetrazione per guardare attraverso l'essenzialità: l'essenzialità e il suo movimento di letteratura, infatti, furono tutt'uno. L'essenziale ebbe luogo come mai prima e mai dopo solo in quel giugno 1967 in cui per la prima volta l'Edition de Minuit diede alle stampe il capolavoro dell'autore belga.
Cos'è l'essenziale? Certo non qualcosa di scarno, o semplice. Piuttosto il contrario. L'essenziale è evocazione dell'essere: quindi pura complessità; cristallina ridondanza; conchiusa esaltazione.
Ogni termine, qui, si rimanda, in modo compenetrato, all'altro.
Essenziale è puro, cristallino, conchiuso. Rileggiamo la famosa chiosa a Bieneturdit in una intervista ad Ananda Sunya su Mondo Feo: Oggi più che mai la superstizione commerciale con i suoi corollari della causa ed effetto, uso, utilizzo e utilità, efficienza e senso. Gli animali servono a essere mangiati; gli esseri viventi, e tutte le loro capacità, a sopravvivere; le cose per essere usate. E la letteratura a cosa serve? A divertire, interessare, convertire, informare o vendere? E i figli? I figli servono a chi li fa? Servono a qualcuno? O piuttosto gli imperscrutabili e non giudicabili motivi per cui si può volere figliare (o raccontare una storia, o esibire una capacità, o sopravvivere) sono solo un'elaborata strategia (un inganno retorico) del figlio che chiama se stesso ad essere, dell'essere ad essere essenziale?
Ma già lo diceva Walter Benjamin nell' Angelus Novus: nessuna poesia è rivolta al lettore, nessun quadro allo spettatore, nessuna sinfonia agli ascoltatori.
E di nuovo: l'essenziale è complessità, ridondanza, esaltazione.
Ed è ovvio che in questo vertice coincida l'estremo del tutto e del nulla: il luogo privo di immagini che è l'immaginazione in sé. A cosa porta questa esaltazione e ridondanza dell'essenziale se non al vuoto? E sa bene Lévinas come "l'essere si riveli al pensiero come guerra"; la guerra come esaltazione dell'essere e sua perdita nello scontro con l'Altro. E che questo sormontarsi e perdersi nell'Altro sia nella costituzione più remota dell'essere è già nelle sentenza, assoluta ed essenziale, di Eraclito: padre di tutte le cose è guerra.
Questo andiamo a cercare in guerra. Questo in ogni atto estremo: lo svuotamento.
Vuoto è la leggerezza che cerchiamo nella morte dell'estesi. Vuoto è la fame, la fatica e il senso di vera e infinita precarietà che consuma il viaggiatore. Vuoto è la magrezza di febbre del vero assassino: permettetemi di ricordare la descrizione, assunta a predestinazione, del grande Mario Gotti, padre di Letteratura & Delinquenza nell'impareggiabile racconto della sua iniziazione: Mario Gotti era ancora un ragazzino. Magro da mettere paura, ma paura, che manco si poteva vedere con il binocolo pei cavallucci marini.
E così arriviamo (prima di partire, si dovrebbe dire) a Bieneturdit, dove l'essere, altamente sormontato nel massimo di ciò che si può predicare di se stesso (è), si travalica nell'interrogazione attonita (eh?).
Eh?: non è così che tutti noi, essenzialmente, viviamo e moriamo?
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