INTERVISTE
Giovanni Truppi
Intanto presentati ai numerosi lettori del Paradiso.
Ciao, mi chiamo Giovanni Truppi. Faccio il musicista.
Il tuo album offre numerosi spunti. Partirei dal primo. Sotto un'apparente leggerezza di fondo (penso a brani come 'Scomparire', 'Mario' e 'Manuela') c'è una rappresentazione del male di vivere. Giusto?
E se tu ci vedi il male di vivere mica ti posso contraddire! Io volevo – se proprio ci devo andare a ricercare un'intenzionalità, che a dire il vero c'è poco ed è "a posteriori" - fare un disco che parlasse di cose intime con leggerezza, ecco tutto. Poi le cose intime, ovviamente, possono anche essere dolorose... ma non è il male di vivere: è la vita.
Ho messo il naso nella tua biografia e ho scoperto una tua passione per il canto jazz, evidente tra l'altro nel brano 'Mandorle' vero e proprio pezzo di bravura dal punto di vista vocale.
Sì: c'è stato un periodo della mia formazione nel quale ho avuto un grande interesse per la vocalità jazz. In realtà poi mi sono reso conto che fondamentalmente mi appassionavano le canzoni che cantano e suonano i jazzisti... che sono brani pop degli Stati Uniti degli anni '30.
Convieni con me che, tranne qualche eccezione, penso agli artisti degli anni cinquanta (Natalino Otto o il Quartetto Cetra) e a Gegè Telesforo, in Italia manchi una tradizione della vocalità jazz?
Convengo in parte. Da un certo punto di vista non mi sembra una cosa strana: è come dire che ai brasiliani manchi una cultura della tarantella! Ovviamente questa è un'esagerazione e la tarantella non ha influenzato la musica del mondo occidentale come la tradizione jazzistica, ma appunto in virtù di questa influenza ci sono moltissimi autori e cantanti italiani nella cui opera si può individuare una matrice jazzistica fino ad arrivare a jazzisti puri. Basti pensare a Tenco, Paoli, Conte, Nicola Arigliano, lo stesso Lucio Dalla (che nello scat dà una pista a Gegé Telesforo), passando per Sergio Caputo e Pino Daniele, fino ad arrivare – oggi – a gente come John De Leo, Cinzia Spata, Maria Pia De Vito, Cristina Zavalloni. Forse una tradizione vera e propria – consolidata – manca (e mi sembra sano che sia così), ma per come è la cultura occidentale da molti decenni si può dire anche che è difficile trovare musicisti interessanti che non si siano almeno confrontati con il jazz.
Ennesimo spunto dal tuo album: scorgo agganci al nuovo cantautorato. Penso a Silvestri e soprattutto a Bersani (anche se nuovissimi non sono).
Purtroppo ascolto poco quello che tu definisci "nuovo cantautorato": prevalentemente Vinicio Capossela. Ma mi sembra assolutamente plausibile che vi siano relazioni e debiti, nella musica che faccio, con quella di persone che la fanno da molto più tempo di me nello stesso paese.
Considerando la tua eterogeneità dell'offerta, il tuo prossimo lavoro sarà sempre così o pensi di indirizzarti verso un cammino più preciso?
Stavolta sto lavorando in maniera molto più programmatica: sarà un disco più "preciso" sicuramente.
Visto che sei un giovane cantautore, che ne pensi di programmi come X –Factor?
Non mi interessano e non li giudico: possono essere un intrattenimento piacevole per gli spettatori, possono giovare alla carriera di alcuni artisti. Amen.
Una volta mi hai confessato che sei attratto dal nazional popolare e non è un caso che nel tuo album c'è una riuscitissima e ironica cover di Raffaella Carrà. Visto che sei napoletano apprezzi anche i neo-melodici? (non so se t'interessa, ma al sottoscritto piace molto Maria Nazionale e Angela Luce).
Questa domanda mi tenta su risposte lunghissime e non credo sia la sede adatta. In sintesi ti posso dire che conosco poco i neo-melodici e che non apprezzo il poco che ne conosco: non mi piace la loro musica, non mi piacciono i loro testi, non mi piace la produzione dei loro dischi e mi sembra che esprimano solo gli aspetti peggiori della cultura della città dove sono nato.
Inoltre non li difinirei nemmeno nazional-popolari, in quanto - ad ascoltarli con attenzione – è evidente che le loro opere mancando del tutto di quel coefficiente di "universalità" (se vuoi anche banalizzante) che è proprio una delle caratteristiche del "nazional-popolare". E non a caso, se mi permetti – da napoletano – di correggerti, non limiterei Angela Luce e Maria Nazionale nel fenomeno dei neo-melodici: le trovo molto più legate, anche se nel necessario rinnovamento, alla onorata tradizione della musica napoletana classica. Che poco ha a che fare con la musica, anche se prodotta a Napoli, a cui accenni nella domanda.
Anche se trattiamo spesso di musica noi siamo essenzialmente una rivista di letteratura. La domanda che ti sto per fare è un classico: che libro hai sul comodino?
Da dove sto chiamando, di Raymond Carver.
Ciao, mi chiamo Giovanni Truppi. Faccio il musicista.
Il tuo album offre numerosi spunti. Partirei dal primo. Sotto un'apparente leggerezza di fondo (penso a brani come 'Scomparire', 'Mario' e 'Manuela') c'è una rappresentazione del male di vivere. Giusto?
E se tu ci vedi il male di vivere mica ti posso contraddire! Io volevo – se proprio ci devo andare a ricercare un'intenzionalità, che a dire il vero c'è poco ed è "a posteriori" - fare un disco che parlasse di cose intime con leggerezza, ecco tutto. Poi le cose intime, ovviamente, possono anche essere dolorose... ma non è il male di vivere: è la vita.
Ho messo il naso nella tua biografia e ho scoperto una tua passione per il canto jazz, evidente tra l'altro nel brano 'Mandorle' vero e proprio pezzo di bravura dal punto di vista vocale.
Sì: c'è stato un periodo della mia formazione nel quale ho avuto un grande interesse per la vocalità jazz. In realtà poi mi sono reso conto che fondamentalmente mi appassionavano le canzoni che cantano e suonano i jazzisti... che sono brani pop degli Stati Uniti degli anni '30.
Convieni con me che, tranne qualche eccezione, penso agli artisti degli anni cinquanta (Natalino Otto o il Quartetto Cetra) e a Gegè Telesforo, in Italia manchi una tradizione della vocalità jazz?
Convengo in parte. Da un certo punto di vista non mi sembra una cosa strana: è come dire che ai brasiliani manchi una cultura della tarantella! Ovviamente questa è un'esagerazione e la tarantella non ha influenzato la musica del mondo occidentale come la tradizione jazzistica, ma appunto in virtù di questa influenza ci sono moltissimi autori e cantanti italiani nella cui opera si può individuare una matrice jazzistica fino ad arrivare a jazzisti puri. Basti pensare a Tenco, Paoli, Conte, Nicola Arigliano, lo stesso Lucio Dalla (che nello scat dà una pista a Gegé Telesforo), passando per Sergio Caputo e Pino Daniele, fino ad arrivare – oggi – a gente come John De Leo, Cinzia Spata, Maria Pia De Vito, Cristina Zavalloni. Forse una tradizione vera e propria – consolidata – manca (e mi sembra sano che sia così), ma per come è la cultura occidentale da molti decenni si può dire anche che è difficile trovare musicisti interessanti che non si siano almeno confrontati con il jazz.
Ennesimo spunto dal tuo album: scorgo agganci al nuovo cantautorato. Penso a Silvestri e soprattutto a Bersani (anche se nuovissimi non sono).
Purtroppo ascolto poco quello che tu definisci "nuovo cantautorato": prevalentemente Vinicio Capossela. Ma mi sembra assolutamente plausibile che vi siano relazioni e debiti, nella musica che faccio, con quella di persone che la fanno da molto più tempo di me nello stesso paese.
Considerando la tua eterogeneità dell'offerta, il tuo prossimo lavoro sarà sempre così o pensi di indirizzarti verso un cammino più preciso?
Stavolta sto lavorando in maniera molto più programmatica: sarà un disco più "preciso" sicuramente.
Visto che sei un giovane cantautore, che ne pensi di programmi come X –Factor?
Non mi interessano e non li giudico: possono essere un intrattenimento piacevole per gli spettatori, possono giovare alla carriera di alcuni artisti. Amen.
Una volta mi hai confessato che sei attratto dal nazional popolare e non è un caso che nel tuo album c'è una riuscitissima e ironica cover di Raffaella Carrà. Visto che sei napoletano apprezzi anche i neo-melodici? (non so se t'interessa, ma al sottoscritto piace molto Maria Nazionale e Angela Luce).
Questa domanda mi tenta su risposte lunghissime e non credo sia la sede adatta. In sintesi ti posso dire che conosco poco i neo-melodici e che non apprezzo il poco che ne conosco: non mi piace la loro musica, non mi piacciono i loro testi, non mi piace la produzione dei loro dischi e mi sembra che esprimano solo gli aspetti peggiori della cultura della città dove sono nato.
Inoltre non li difinirei nemmeno nazional-popolari, in quanto - ad ascoltarli con attenzione – è evidente che le loro opere mancando del tutto di quel coefficiente di "universalità" (se vuoi anche banalizzante) che è proprio una delle caratteristiche del "nazional-popolare". E non a caso, se mi permetti – da napoletano – di correggerti, non limiterei Angela Luce e Maria Nazionale nel fenomeno dei neo-melodici: le trovo molto più legate, anche se nel necessario rinnovamento, alla onorata tradizione della musica napoletana classica. Che poco ha a che fare con la musica, anche se prodotta a Napoli, a cui accenni nella domanda.
Anche se trattiamo spesso di musica noi siamo essenzialmente una rivista di letteratura. La domanda che ti sto per fare è un classico: che libro hai sul comodino?
Da dove sto chiamando, di Raymond Carver.
CERCA
NEWS
-
12.11.2024
La nave di Teseo.
Settembre nero. -
12.11.2024
Tommaso Pincio
Panorama. -
4.11.2024
Alessandro Barbero
Edizioni Effedi. La voglia dei cazzi.
RECENSIONI
-
Han Kang
La vegetariana
-
Han Kang
Atti umani
-
Giuliano Pavone
Per diventare Eduardo
ATTUALITA'
-
Ettore Maggi
La grammatica della Geopolitica.
-
marco minicangeli
CAOS COSMICO
-
La redazione
Trofeo Rill. I risultati.
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La gita scolastica
-
Marco Minicangeli
Juniper - Un bicchiere di gin
-
Lorenzo Lombardi
IL NERD, IL CINEFILO E IL MEGADIRETTORE GENERALE
RACCONTI
-
Fiorella Malchiodi Albedi
Ad essere infelici sono buoni tutti.
-
Roberto Saporito
30 Ottobre
-
Marco Beretti
Tonino l'ubriacone