RECENSIONI
Alì Eteraz
Il bambino che leggeva il Corano
Newton Compton Editori, Pag. 284 Euro 14.90
Un altro dei casi editoriali, dopo quello della scrittrice Azadeh Moaveni, che la Newton Compton ha lanciato sul mercato italiano è quello di Alì Eteraz, di origini pakistane ma ormai cittadino americano, che con il suo romanzo autobiografico Il bambino che leggeva il Corano (Children of dust; a memoir of Pakistan) sta facendo conoscere al pubblico italiano aspetti della religione islamica che ben l'allontanano dallo stereotipo con cui la si vorrebbe rappresentare. La storia è autobiografica e comincia da Lahore, in Pakistan assumendo subito toni solenni con un viaggio alla Mecca in cui viene stipulato un patto direttamente con Allah; al piccolo Eteraz viene dato il nome di Abir Ul Islam (letteralmente 'Il profumo dell'Islam') e il suo compito sarebbe di diffondere il credo religioso musulmano nella sua integrità e servire Allah.
Inizia così l'odissea spirituale di questo ragazzo all'interno di una famiglia devota che vede Jinn (demoni) in ogni angolo della vita, che tenta di rispettare alla lettera la parola del profeta ma che scivola sulle interpretazioni, che bandisce il contatto fisico uomo-donna e costringe il bambino e poi l'adolescente Abir a tormentate privazioni sessuali. Che lo spedisce in varie madrasse (le temibili scuole coraniche) per acquisire un'educazione religiosa che sia degna del nome che porta ma che lo riaccoglie in casa per ben due volte dopo aver scoperto che i distinti mullah barbuti si divertivano sadicamente a torturare (e non solo quello) i fanciulli più indisponenti. Il periodo di Lahore è particolarmente denso di sensazioni. Tattili, olfattive, visive. Le strade piene di fango ed escrementi in cui si rotolano ragazzini mezzi nudi, l'odore delle corti con la vita in comune e i cibi speziati; il tifo che spezza carne e ossa e svuota il corpo col sudore di una febbre bruciante e delirante.
C'è poi il trasferimento in America. Il padre medico riesce a trovare un lavoro in Alabama, nel cuore bianco della "Cintura della Bibbia". Ed è qui che esplodono tutte le contraddizioni del giovane studente Abir. Sono le donne che gliele accendono. Come si può rinunciare al piacere carnale? Perché dover vivere una vita di costrizioni? E come è tollerabile, nello stesso tempo, tutta questa libertà dei costumi da parte di chi dovrebbe servire l'uomo (il maschio), come le scritture del Profeta stabiliscono? Abir passa fasi diametralmente opposte. Prima vorrebbe sradicarsi, occidentalizzarsi, disconoscere il suo nome; poi si pente (la causa è sempre una donna): vorrebbe vivere il suo profumo dell'Islam fino in fondo, far sì che ogni dettame e tradizione venga rispettata, anche e soprattutto nell'Occidente 'satanico' e in preda alle pulsioni più dissennate. Dopo alcuni anni passati in America, la famiglia di Abir torna in Pakistan per una visita ai vecchi parenti. E' lì che avverrà la svolta, l'illuminazione: invece di trovare, come sperava, religiosi devoti che rispettano e fanno rispettare l'Islam e le sue regole, ad aspettarlo ci saranno ex amici che gli tendono trappole infami. La sua famiglia tutta (anche quelli rimasti) ormai è considerata americana e nemica, collusa con il Grande Satana; c'è in atto una guerra e i devoti di un tempo oggi sono guerriglieri accecati dall'odio. E' a questo punto che Abir rimette in discussione i suoi insegnamenti e la sua formazione. Il racconto apre una cesura fra 'Il Profumo dell'Islam' e un certo modo di concepire il rapporto con la sua religione. Eteraz oggi è un uomo libero, anche di mettersi a capo di un movimento riformatore che vorrebbe bandire dall'Islam martiri e bombaroli. Saranno due gli obiettivi che il nuovo Abir, che muterà il suo nome in Alì Eteraz (che vuol dire Nobile Protesta!) si porrà per riformare la sua cultura religiosa: la libertà di coscienza e di parola. Per farlo giungerà fino nel Qatar dove avrà una nuova illuminazione. Ha bisogno di alcuni esempi viventi, di veri e propri testimonial: uno Shaykh, a simboleggiare la libertà di coscienza, uno scultore, a simboleggiare la libertà di espressione, una principessa, ovvero una sensibile finanziatrice delle sue iniziative. Il suo progetto può avere seguito una volta tornato negli Stati Uniti, la terra che lo ha aiutato a compiere più di ogni altro il viaggio dentro di sé. Il bambino che leggeva il Corano è un libro che porta per mano il lettore, una piccola formazione per apprendisti curiosi, una finestra su un mondo che a noi appare fiabesco e lontano ma che, quando ci si avvicina (con la multirazzialità coatta e 'necessaria'), sembra esploderci in mano come una miccia a lungo sfrigolante e che si credeva incantata, incapace di farsi davvero fuoco.
di Adriano Angelini
Inizia così l'odissea spirituale di questo ragazzo all'interno di una famiglia devota che vede Jinn (demoni) in ogni angolo della vita, che tenta di rispettare alla lettera la parola del profeta ma che scivola sulle interpretazioni, che bandisce il contatto fisico uomo-donna e costringe il bambino e poi l'adolescente Abir a tormentate privazioni sessuali. Che lo spedisce in varie madrasse (le temibili scuole coraniche) per acquisire un'educazione religiosa che sia degna del nome che porta ma che lo riaccoglie in casa per ben due volte dopo aver scoperto che i distinti mullah barbuti si divertivano sadicamente a torturare (e non solo quello) i fanciulli più indisponenti. Il periodo di Lahore è particolarmente denso di sensazioni. Tattili, olfattive, visive. Le strade piene di fango ed escrementi in cui si rotolano ragazzini mezzi nudi, l'odore delle corti con la vita in comune e i cibi speziati; il tifo che spezza carne e ossa e svuota il corpo col sudore di una febbre bruciante e delirante.
C'è poi il trasferimento in America. Il padre medico riesce a trovare un lavoro in Alabama, nel cuore bianco della "Cintura della Bibbia". Ed è qui che esplodono tutte le contraddizioni del giovane studente Abir. Sono le donne che gliele accendono. Come si può rinunciare al piacere carnale? Perché dover vivere una vita di costrizioni? E come è tollerabile, nello stesso tempo, tutta questa libertà dei costumi da parte di chi dovrebbe servire l'uomo (il maschio), come le scritture del Profeta stabiliscono? Abir passa fasi diametralmente opposte. Prima vorrebbe sradicarsi, occidentalizzarsi, disconoscere il suo nome; poi si pente (la causa è sempre una donna): vorrebbe vivere il suo profumo dell'Islam fino in fondo, far sì che ogni dettame e tradizione venga rispettata, anche e soprattutto nell'Occidente 'satanico' e in preda alle pulsioni più dissennate. Dopo alcuni anni passati in America, la famiglia di Abir torna in Pakistan per una visita ai vecchi parenti. E' lì che avverrà la svolta, l'illuminazione: invece di trovare, come sperava, religiosi devoti che rispettano e fanno rispettare l'Islam e le sue regole, ad aspettarlo ci saranno ex amici che gli tendono trappole infami. La sua famiglia tutta (anche quelli rimasti) ormai è considerata americana e nemica, collusa con il Grande Satana; c'è in atto una guerra e i devoti di un tempo oggi sono guerriglieri accecati dall'odio. E' a questo punto che Abir rimette in discussione i suoi insegnamenti e la sua formazione. Il racconto apre una cesura fra 'Il Profumo dell'Islam' e un certo modo di concepire il rapporto con la sua religione. Eteraz oggi è un uomo libero, anche di mettersi a capo di un movimento riformatore che vorrebbe bandire dall'Islam martiri e bombaroli. Saranno due gli obiettivi che il nuovo Abir, che muterà il suo nome in Alì Eteraz (che vuol dire Nobile Protesta!) si porrà per riformare la sua cultura religiosa: la libertà di coscienza e di parola. Per farlo giungerà fino nel Qatar dove avrà una nuova illuminazione. Ha bisogno di alcuni esempi viventi, di veri e propri testimonial: uno Shaykh, a simboleggiare la libertà di coscienza, uno scultore, a simboleggiare la libertà di espressione, una principessa, ovvero una sensibile finanziatrice delle sue iniziative. Il suo progetto può avere seguito una volta tornato negli Stati Uniti, la terra che lo ha aiutato a compiere più di ogni altro il viaggio dentro di sé. Il bambino che leggeva il Corano è un libro che porta per mano il lettore, una piccola formazione per apprendisti curiosi, una finestra su un mondo che a noi appare fiabesco e lontano ma che, quando ci si avvicina (con la multirazzialità coatta e 'necessaria'), sembra esploderci in mano come una miccia a lungo sfrigolante e che si credeva incantata, incapace di farsi davvero fuoco.
di Adriano Angelini
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