RECENSIONI
Marcel Jouhandeau
Il cadavere rapito
Adelphi, Pag. 88 Euro 10.00
Non è mica facile da capire Marcel Jouhandeau. Nello stesso tempo sì. Certo non era tenero sopravvivere intorno alla metà del secolo scorso (e anche meno) con voglie simili: pur tentando di resistere cristianamente (era un fervido cattolico) erano conosciute a tutti le sue ossessioni omosessuali. Nel 1953 l’Osservatore Romano lo accuserà di distillare gli umori più dissolventi e brucianti del vizio, di usare espressioni macabre e sacrileghe, lo definirà alchimista del demoniaco, ultimo anello di una catena volutamente infernale e infine dichiarandolo nemico di Dio.
Che fare dunque con una nomea del genere? Jouhandeau ha sofferto, ma la sua passione e il senso tutto sommato civico delle sue ossessioni lo hanno portato a trasmettere ai suoi lettori una presenza incessante nella cultura e nella vita di tutti i giorni. Quel che più ci preme sottolineare soprattutto a noi italiani è che la pochezza delle sue uscite narrative (pochezza nostrana, perché in Francia è stato pubblicato tutto, compreso Il cadavere rapito, che fa parte di un’opera assai più vasta e dinamica) non ci permette poi di affrontare con la dovuta serietà e considerazione un autore così complesso e vario.
Il cadavere rapito è la storia di un parroco poco ben voluto dagli abitanti della cittadina di Port-Salut. Tutto di questo strano personaggio suscita uno stupore e nello stesso tempo scandalo. Ma nessuno in qualche modo può accusarlo di nulla senza una previa conoscenza dei fatti. Fatti che si sapranno solo alla fine e che riporteranno l’autore a confrontarsi con le sue ossessioni più spinte: avevo più di vent’anni, quando un bambino che adoravo (…) pronunciò in mia presenza una parola, una sola, la sola che potesse ferire il mio orgoglio, soprattutto perché veniva da quel cuore e da quella bocca. Tuttavia, per una, due ore, credetti di aver perdonato, quando a un tratti il caso mi fece capitare davanti agli occhi il colpevole nell’angolo più oscuro della casa. Lo strinsi contro il muro. La mia mano destra vagava smarrita intorno a lui, senza toccarlo, ma i miei occhi, che sapevo terribili anche se ne scorgevo solo il riflesso sul fragile viso stravolto e muto, suscitarono in me stesso una tale paura che fuggii a nascondermi in soffitta per il resto del giorno. (…) tre giorni dopo era morto.
C’è poco altro da dire. Oltre ad Adelphi ci fu una piccola casa editrice di Napoli che stampò il libro autobiografico di Jouhandeau con tutte le sue avventure omosessuali. Per chi davvero avesse bisogno di riflettere senza farsi del male.
di Alfredo Ronci
Che fare dunque con una nomea del genere? Jouhandeau ha sofferto, ma la sua passione e il senso tutto sommato civico delle sue ossessioni lo hanno portato a trasmettere ai suoi lettori una presenza incessante nella cultura e nella vita di tutti i giorni. Quel che più ci preme sottolineare soprattutto a noi italiani è che la pochezza delle sue uscite narrative (pochezza nostrana, perché in Francia è stato pubblicato tutto, compreso Il cadavere rapito, che fa parte di un’opera assai più vasta e dinamica) non ci permette poi di affrontare con la dovuta serietà e considerazione un autore così complesso e vario.
Il cadavere rapito è la storia di un parroco poco ben voluto dagli abitanti della cittadina di Port-Salut. Tutto di questo strano personaggio suscita uno stupore e nello stesso tempo scandalo. Ma nessuno in qualche modo può accusarlo di nulla senza una previa conoscenza dei fatti. Fatti che si sapranno solo alla fine e che riporteranno l’autore a confrontarsi con le sue ossessioni più spinte: avevo più di vent’anni, quando un bambino che adoravo (…) pronunciò in mia presenza una parola, una sola, la sola che potesse ferire il mio orgoglio, soprattutto perché veniva da quel cuore e da quella bocca. Tuttavia, per una, due ore, credetti di aver perdonato, quando a un tratti il caso mi fece capitare davanti agli occhi il colpevole nell’angolo più oscuro della casa. Lo strinsi contro il muro. La mia mano destra vagava smarrita intorno a lui, senza toccarlo, ma i miei occhi, che sapevo terribili anche se ne scorgevo solo il riflesso sul fragile viso stravolto e muto, suscitarono in me stesso una tale paura che fuggii a nascondermi in soffitta per il resto del giorno. (…) tre giorni dopo era morto.
C’è poco altro da dire. Oltre ad Adelphi ci fu una piccola casa editrice di Napoli che stampò il libro autobiografico di Jouhandeau con tutte le sue avventure omosessuali. Per chi davvero avesse bisogno di riflettere senza farsi del male.
di Alfredo Ronci
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